Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3846 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. II, 17/02/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 17/02/2020), n.3846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25488-2013 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIA

COLONNA 32, presso lo studio dell’avvocato MARIA FEDERICA OLIVIERI,

rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

FRATELLI RU. COSTRUZIONI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2659/2012 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI,

depositata il 23/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. Nel 1992 il Condominio dello stabile sito in (OMISSIS) si opponeva al decreto con era stato condannato a pagare Lire 116.453.259 in favore della società Fratelli Ru., a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per i lavori di ristrutturazione dello stabile. Nel corso del giudizio intervenivano alcuni condomini, aderendo all’opposizione instaurata dal Condominio e insistendo per il risarcimento dei danni arrecati alle loro unità abitative. Il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 1614/2004, si pronunciava sull’opposizione, revocando il decreto di ingiunzione e condannando il Condominio a pagare Euro 25.259,36.

2. Contro la sentenza proponevano appello principale il Condominio e alcuni dei condomini intervenuti in primo grado; la società faceva valere appello incidentale. La Corte d’appello di Napoli – con sentenza 23 luglio 2012, n. 2659 – ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale.

3. R.R., condomino intervenuto nel giudizio di primo grado e uno degli appellanti principali, ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della società Fratelli Ru..

L’intimata società Fratelli Ru. Costruzioni s.r.l. non ha proposto difese.

Il ricorrente ha depositato due memorie e un documento intitolato “sviluppo calcoli rivalutazione e interessi”.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in otto motivi.

1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 100,111 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5:

il giudice d’appello, nel ritenere non provata la legittimazione del ricorrente quale successore a titolo particolare, avrebbe palesemente violato e falsamente applicato le disposizioni richiamate, in quanto il ricorrente, all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa, ha provveduto a depositare l’atto dal quale risultava la sua qualità di proprietario esclusivo dell’immobile facente parte del condominio per essersi reso acquirente della quota spettante ai propri germani.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello, rilevato che il gravame è stato proposto, oltrechè dal Condominio in persona dell’amministratore Ra.Ra. e da V., da ” R.G.R. in proprio e R.R., quali successori a titolo particolare nel diritto controverso”, ha concluso che, in mancanza di qualsiasi precisazione in ordine al “diritto controverso” nel quale sarebbero succeduti a titolo particolare, non era possibile ritenere Ra.Ra. e R.R. legittimati all’appello se non con riguardo alla posizione sostanziale fatta valere in primo grado e quindi – per il ricorrente – quale comproprietario dell’appartamento già di proprietà di R.V.. Conclusione, quella della Corte d’appello, condivisibile, non essendo sufficiente, in mancanza di specifica indicazione, la mera produzione del documento da cui sarebbe risultata la qualità del ricorrente di proprietario esclusivo dell’appartamento, a legittimare a tale titolo la sua partecipazione al giudizio d’appello.

2. Il secondo motivo fa valere violazione o falsa applicazione della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, e 5 e 345: la Corte d’appello avrebbe ritenuto erroneamente ammissibile in secondo grado la produzione di nuova documentazione da parte della società appellata.

Il motivo è infondato. Il giudice d’appello – a prescindere dal rilievo relativo alla applicazione del testo dell’art. 345 precedente la modifica introdotta dalla L. n. 353 del 1990 – ha ritenuto la documentazione ammissibile perchè indispensabile (“fa cadere la principale eccezione su cui si è fondata la difesa dell’opponente”) ed ha quindi seguito l’orientamento di questa Corte, per cui “nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, quella di per sè idonea a eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (Cass., sez. un., n. 10790/2017).

3. Il terzo motivo contesta “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione”: la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare le risultanze cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, risultanze dal valore probatorio assorbente rispetto a documenti di formazione unilaterale, quali la contabilità redatta dal direttore dei lavori e l’attestazione circa la presunta regolarità delle opere.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello ha infatti considerato la consulenza tecnica d’ufficio esperita nel processo, valorizzandone la prima relazione (v. p. 8 della sentenza impugnata).

4. Il quarto motivo denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, error in procedendo, omessa pronuncia e vizio motivazione ex art. 360, n. 5”: la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciare sul “capo di domanda specificamente formulato dalla difesa del Condominio, sia nel corso del giudizio di primo grado che in quello di gravame, in relazione ai pagamenti effettuati dai condomini a titolo di accollo delle spese versate direttamente all’impresa”.

Il motivo non può essere accolto: a prescindere dal fatto che non ci troveremmo di fronte ad omessa pronuncia su una domanda, la Corte d’appello ha considerato che l’opponente Condominio aveva contestato che “la somma richiesta non teneva comunque conto delle somme versate dai condomini all’impresa a titolo di accollo spesa” (p. 6 della sentenza impugnata) e ha poi ritenuto, sulla base della documentazione prodotta in appello (supra, sub 2), approvata dal Condominio la contabilità finale dei lavori, con assorbimento pertanto della contestazione circa la mancata considerazione delle somme versate dai singoli condomini.

5. Il quinto e il sesto motivo concernono il rigetto del terzo motivo d’appello, per il quale il Tribunale erroneamente avrebbe ritenuto i condomini decaduti, ai sensi dell’art. 1667 c.c., dall’azione di risarcimento dei danni alla loro proprietà esclusiva:

a) il quinto motivo contesta “violazione degli artt. 115 c.p.c. e segg. e artt. 2697,1667 e 1665 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5”, per avere il Tribunale prima, e la Corte d’appello poi, omesso di valutare la documentazione depositata dal Condominio nel corso di tre udienze del giudizio di primo grado;

b) il sesto motivo fa valere “violazione degli artt. 1131 e 2702 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5”, per avere escluso che l’amministratore del Condominio fosse legittimato anche per l’esercizio delle azioni relative a diritti esclusivi dei singoli condomini. Il quinto motivo, che, di non facile lettura, sembra volto a contestare che la consegna dell’opera sia avvenuta il 12 aprile 1990, data della contabilità finale, non può essere accolto: il giudice d’appello ha ritenuto, con valutazione in fatto non censurabile da questa Corte, che il ricorrente/appellante non abbia provato una data di consegna del proprio appartamento diversa da quella del 12 aprile 1990 (cfr. p. 11 della sentenza impugnata).

Anche il sesto motivo non può essere accolto: il giudice d’appello, a fronte di un motivo (di cui il ricorrente non deduce una diversa formulazione) che lamentava che “il Tribunale non aveva tenuto conto che i vizi non erano riconoscibili e, comunque, che erano state esibite agli atti del giudizio le denunzie fatte dai condomini e vi era stato riconoscimento da parte dell’impresa che si era impegnata alla loro eliminazione, ed infine che non era vero che la consegna era avvenuta alla data di ultimazione dei lavori”, ha anzitutto richiamato l’orientamento secondo cui, in tema di condominio, l’amministratore di condominio non può proporre, in difetto di mandato rappresentativo del singolo condomino, l’azione risarcitoria per i danni subiti nell’unità immobiliare di sua proprietà. Secondo questa Corte, infatti, se va riconosciuta “la legittimazione dell’amministratore del condominio a promuovere l’azione di cui all’art. 1669 c.c., a tutela indifferenziata dell’edificio nella sua unitarietà, in un contesto nel quale i pregiudizi derivava da vizi afferenti le parti comuni dell’immobile, ancorchè interessanti di riflesso anche quelle costituenti proprietà esclusiva di condomini, ed a chiederne la relativa rimozione, eliminandone radicalmente le comuni cause o condannando il costruttore alle relative spese, tale legittimazione non può tuttavia estendersi anche alla proposizione, senza alcun mandato rappresentativo da parte dei singoli condomini, delle azioni risarcitorie, in forma specifica o per equivalente pecuniario, relative ai danni subiti dai singoli condomini nei rispettivi immobili di proprietà esclusiva” (così Cass. 22656/2010, richiamata dalla sentenza impugnata). Che poi tale mandato sia invece stato specificamente conferito risulta per la prima volta davanti a questa Corte (la questione non emerge dalla pronuncia impugnata nè il ricorrente deduce di averla in precedenza fatta valere) e in modo generico, non trascrivendo il ricorrente la delibera in cui il mandato sarebbe stato conferito, limitandosi a dire che era stato conferito all’amministratore “il potere di rappresentarli in giudizio”.

6. Il settimo motivo fa valere “violazione dell’art. 360, n. 5, contraddittorietà della motivazione”: la Corte d’appello, dopo avere riconosciuto la natura di debito di valore del risarcimento del danno spettante al Condominio, avrebbe ritenuto “con motivazione illogica e contraddittoria”, che il riconoscimento non aveva utilità pratica per effetto della compensazione.

Il motivo non può essere accolto, in quanto generico: il ricorrente si limita a tacciare di illogicità e contraddittorietà il ragionamento del giudice d’appello e a trascriverne la motivazione, quando invece “il ricorso per cassazione con cui si facciano valere vizi di motivazione della sentenza a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nella formulazione precedente la novella del 2012 – richiede la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni ovvero la specificazione di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi emersi in giudizio un significato fuori dal senso comune, o in mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi nell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e nell’insanabile contrasto degli stessi” (così Cass. 12960/1997).

7. L’ottavo motivo denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4”: la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il Condominio, nelle sue conclusioni, avesse chiesto la condanna della società appellata a pagare a titolo di risarcimento del danno arrecato alla struttura condominiale la somma di Euro 34.883,67; la Corte avrebbe poi omesso di considerare che l’atto di appello è stato proposto anche da G.A. e dai signori P. rappresentati dal loro procuratore V..

Il motivo non può essere accolto: i vizi contestati non sono sicuramente riconducibili alla omessa pronuncia su domanda o su eccezioni, dolendosi il ricorrente, se ben si comprende, della mancata trascrizione letterale delle proprie conclusioni d’appello (si confrontino quanto trascritto dal ricorrente alle pp. 29 e 30 del ricorso, con quanto riportato dalla pronuncia impugnata a p. 4) e della mancata indicazione quali appellanti dei signori P. (invece indicati, cfr. pp. 1 e 5) e di G.A., il quale peraltro non risulta, dalla ricostruzione del processo fatta dal giudice (ricostruzione che il ricorrente si limita a riprodurre), che abbia proposto appello e che è in ogni caso vizio del quale il ricorrente non ha interesse a dolersi.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Nulla si dispone in punto spese, non avendosi la società intimata difesa nel presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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