Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3846 del 16/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3846 Anno 2018
Presidente: MATERA LINA
Relatore: DONGIACOMO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 21578-2013 proposto da:
RUFFINENGO EMANUELE ed ROGGERO ELENA, elettivamente
domiciliati a ROMA, piazza di Villa Carpegna 58, presso lo
studio dell’Avvocato MARCO PETRINI, unitamente agli Avvocati
FABRIZIO D’AGOSTINI e SILVIA GIANINO, li rappresenta e
difende, anche disgiuntamente, per procura speciale a margine
del ricorso;
– ricorrenti contro
UNICREDIT s.p.a., nella qualità di società incorporante
UNICREDIT BANCA s.p.a., elettivamente domiciliata a ROMA,
via Alberigo II 33, presso lo studio dell’Avvocato ELIO LUDINI,

Data pubblicazione: 16/02/2018

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che la rappresenta e difende per procura speciale a margine
del controricorso
– controricorrente —
FERRARA ANNA

avverso la sentenza n. 764/2013 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 15/2/2013;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica
dell’8/11/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore Generale della Repubblica, dott. LUCIO CAPASSO,
il quale ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione
del secondo motivo ed il rigetto degli altri motivi del ricorso
principale, e rigetto del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
Emanuele Ruffinengo ed Elena Roggero hanno convenuto in
giudizio, innanzi al tribunale di Pavia, Anna Ferrara ed hanno
proposto domanda di risoluzione del contratto con il quale, in
data 3/11/1999, avevano venduto a quest’ultima un immobile,
deducendo l’inadempimento della compratrice per il mancato
pagamento delle rate del mutuo fondiario, gravante
sull’immobile, che la stessa si era accollata ai fini del
pagamento del prezzo.
Il tribunale, con sentenza del 23/1.6/3/2009, ha respinto la
domanda di risoluzione ritenendo, da un lato, che i ritardi nei
pagamenti delle rate di mutuo dovessero essere imputati “alla
confusione dell’istituto mutuante Un/credito Italiano s.p.a.”, e,

dall’altro, che i venditori non avessero prestato, come sarebbe
stato loro “onere”, “la propria opera per consentire alla Ferrara
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

– intimata –

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di adempiere in modo corretto la propria obbligazione (assolta
con l’accollo cui non aveva immediatamente aderito l’istituto
mutuante)”.
quindi,

esclusa

inadempimento della compratrice

la

sussistenza

di

un

“rilevante ai fini della

risoluzione del contratto di vendita”,

ha respinto “tutte le

conseguenti domande” risarcitorie formulate dagli attori.
Il tribunale, poi, ritenuta la carenza della legittimazione
attiva e passiva della s.p.a. UGC Banca, quale mandataria della
s.p.a. Unicredit Banca, per tutti i rapporti diversi da quelli
inerenti il conto corrente bancario n. 14750/00, in quanto “sorti
in capo al diverso soggetto Unicredito Italiano spa”,

ha

condannato la Ferrara al pagamento, in favore della s.p.a.
Unicredit Banca, rappresentata in giudizio dalla mandataria UCG
Banca s.p.a., della somma di C. 30.588,00, quale saldo passivo
del (predetto) conto corrente, alla data del 30/6/2007.
Il tribunale, infine, ha compensato le spese di lite tra tutte le
parti.
Emanuele Ruffinengo ed Elena Roggero hanno, quindi,
proposto appello. Lo stesso ha fatto la s.p.a. Unicredit Credit
Management Bank, già s.p.a. UGC Banca.
La corte d’appello di Milano, riuniti gli appelli proposti, con
sentenza del 15/2/2013, ha, innanzitutto, rilevato, quanto
all’appello proposto da Emanuele Ruffinengo ed Elena Roggero,
che “a ragione i coniugi Ruffinengo e Roggero … lamentano che
il tribunale ne abbia indebitamente respinto la domanda di
risoluzione del contratto di compravendita 3.11.1999 per
inadempimento di Ferrara Anna, laddove ha concluso: – che
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

Il tribunale,

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l’inadempimento non fosse imputabile alla Ferrara, bensì
principalmente all’istituto bancario mutuante a causa della
confusione da quest’ultimo indotta nella Ferrara, che si era
accollata il mutuo gravante sull’immobile da essa acquistato …

pagamento delle rate di mutuo” e che i venditori, “pur gravati
dal relativo onere, non avessero prestato la dovuta
collaborazione … per consentire alla Ferrara di adempiere in
modo corretto la propria obbligazione (assunta con l’accollo cui
non aveva immediatamente aderito l’istituto mutuante) potendo
essere adempiuta tale obbligazione solo con la necessaria
condotta collaborativa dei venditori mutuatari”.
Al contrario – ha osservato la corte – “non può parlarsi di

inadempimento imputabile alla Banca con riferimento al
rapporto de quo, dal momento che l’istituto di credito è terzo
sia rispetto al contratto (intervenuto tra la sola Ferrara e i
Ruffinengo), sia rispetto alla azione da questi ultimi promossa
per ottenere la risoluzione del contratto di compravendita de
quo (intentata infatti nei confronti della sola Ferrara)”.
Inoltre, ha aggiunto la corte, “è incontroverso che la Ferrara

non abbia provveduto alla fondamentale obbligazione,
scaturente dal contratto, di pagare l’immobile oggetto della
compravendita e tale rilievo è di per sé dirimente”.
Del resto, ha osservato ancora la corte, prima
dell’instaurazione del giudizio, la Ferrara, per giustificare il
proprio inadempimento, non aveva mai fatto riferimento alla
difficoltà di individuare il proprio soggetto creditore ma si era
limitata a lamentare la mancata adesione del mutuante
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

in ordine al soggetto legittimato a chiedere e ricevere il

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all’accollo, di non essere riuscita ad ottenere in tempo utile dati
e gli avvisi di pagamento, di non essere stata informata
dell’importo residuo del mutuo e di non avere certezza circa gli
accrediti dei suoi pagamenti. Il fatto che l’inadempimento della

al quale pagare le rate del mutuo è palesato – ha aggiunto la
corte – dalla circostanza che, nel corso dei primi due anni dopo
la conclusione del contratto, la stessa, sia pure in maniera
parziale e saltuaria, ha versato alcune rate, tant’è che, in una
missiva del 15/5/2002, la stessa, lungi dal rappresentare
difficoltà legate all’individuazione dell’ente mutuante,
semplicemente riconosceva l’inadempimento e si impegnava a
porvi rimedio al più presto.
La corte, quindi, in accoglimento del gravame, ha ritenuto
che dovesse essere pronunciata la risoluzione del contratto di
compravendita per inadempimento della Ferrara all’obbligo di
pagare il prezzo, affermando che la stessa,
“conseguentemente”, dovrà “restituire agli appellanti l’immobile
oggetto della compravendita”, così come gli appellanti avranno
l’obbligo di

“restituire alla Ferrara quanto ad essi dalla

medesima in ipotesi versato in esecuzione del contratto”.
La corte, poi, ha ritenuto che la Ferrara dovesse essere
condannata al rimborso, in favore degli appellanti, della somma
di C. 3.542,99, pari alla rata di mutuo pagata dai Ruffinengo nel
mese di gennaio del 2000, in quanto scadente in data
successiva a quella della stipulazione, il 23/11/1999, del
contratto di compravendita.
La corte, invece, ha ritenuto di non poter accogliere
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

“la

Ferrara non fosse dovuto alla difficoltà di individuare il soggetto

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richiesta” con la quale i coniugi Ruffinengo hanno chiesto “la
remissione della causa in istruttoria per la nomina di CTU volta
a determinare il valore locativo dell’immobile, ovvero la
determinazione del danno in via equitativa”:

gli appellanti,

domande del precedente grado facendo generico rinvio,
nell’atto di appello, alle difese svolte nella precedente fase,
senza invece specificamente indicare nell’atto di gravame come invece era loro onere – la rilevanza delle prove e, dunque,
le ragioni che ne fondano la richiesta, tanto più che la richiesta
CTU sarebbe meramente esplorativa”.
La corte d’appello, inoltre, esaminando l’appello proposto
dalla Unicredit Credit Management Bank s.p.a., già UCG Banca
s.p.a., ha ritenuto che fosse “privo di qualsiasi utilità esaminare
i motivi di gravame della UGC in quanto – anche ove in ipotesi
ritenuti fondati – non consentirebbero, in ogni caso, di
pervenire alla invocata condanna della Ferrara al pagamento
delle somme di euro 61.026,11 e di euro 149.592,11 afferenti
rispettivamente al mutuo fondiario del 18/12/98 e al mutuo
fondiario “Ruffinengo-Roggero” (v. il punto 3 delle conclusioni di
appello). La UGC limita infatti le proprie doglianze al vizio di
omessa motivazione e di ultra petita in cui sarebbe incorso il
tribunale laddove ha accertato in capo ad essa appellante il
difetto di legittimazione relativamente ai rapporti (di cui ai
menzionati contratti di mutuo) intercorso tra la Ferrara e la
società Unicredito Italiano spa, ma neppure adombra, né
tantomeno specifica (come invece sarebbe stato suo onere) le
ragioni per le quali – ove riconosciuta la legittimazione di essa
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

infatti, ha osservato la corte, si sono limitati “a riproporre le

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UGC – dovrebbero essere accolte le pretese di cui al punto 3)
delle menzionate conclusioni. A ciò aggiungasi, ed il rilievo è
dirimente, che – in ogni caso – si tratta di questioni già decise
dal tribunale in altra causa pendente tra le stesse parti (RG

preclusa dal divieto del “ne bis in idem””.
La corte, infine, ha accolto l’appello con il quale la Ferrara si
è doluta del fatto che il tribunale l’abbia condannata al
pagamento della somma di C. 30.588,00 in favore della UGC,
quale scoperto del c/c n. 14750 che la stessa intratteneva
presso il Credito Italiano s.p.a., lamentando, in particolare, che
il tribunale aveva ritenuto legittimo l’addebito di ottantasette
milioni di lire operato dalla banca con valuta del 12/2/1999.
La corte, in particolare, ha evidenziato che tale addebito,
riferito ad un assegno presentato dalla Ferrara all’incasso e
tornato insoluto, fosse illegittimo

“in quanto non è stato

preceduto dall’accredito di un pari importo in favore di essa
Ferrara” né è risultato che “alla Ferrara sia stata corrisposta la
somma equivalente in contanti”.
In conseguenza dei rilievi sopra esposti, la corte d’appello,
in parziale riforma della sentenza del tribunale, ha, innanzitutto,
dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita del
3/11/1999, stipulato tra Emanuele Ruffinengo ed Elena
Roggero, da un lato, ed Anna Ferrara, dall’altro, ed ha
condannato quest’ultima al pagamento, in favore degli
appellanti, della somma di C. 3.542,99, oltre interessi legali dal
mese di gennaio del 2000.
La corte, poi, ha condannato la UGC Banca s.p.a., “quale
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

838/2006) per cui ogni ulteriore pronuncia sul punto sarebbe

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mandataria di Unicredit Management Bank s.p.a.”,

al

pagamento, in favore di Anna Ferrara, della somma di C.
31.373,00, oltre interessi legali dal 23/7/2007.
La corte, infine, ha condannato Anna Ferrara a rimborsare

provvedendo alla relativa liquidazione, tanto per il primo,
quanto per il secondo grado, così come ha condannato, tanto
per il primo, quanto per il secondo grado, la UGC Banca s.p.a.,
quale mandataria di Unicredit Management Bank s.p.a., a
rimborsare ad Anna Ferrara le spese di giudizio, provvedendo
alla relativa liquidazione.
Emanuele Ruffinengo ed Elena Roggero, con ricorso
notificato il 20/9/2013 sia ad Anna Ferrara che alla Unicredit
Credit Management Bank s.p.a., già UGC Banca s.p.a., e
depositato il 10/10/2013, hanno proposto, per tre motivi, la
parziale cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello,
non notificata.
Ha resistito, con controricorso notificato ai ricorrenti il
30/10/2013 e ad Anna Ferrara il 30/10.6/11/2013, la s.p.a.
UNICREDIT, nella qualità di società che, in forza di atto di
fusione del 19/10/2010, ha incorporato la s.p.a. UNICREDIT
BANCA, la quale ha anche proposto ricorso incidentale,
affidandolo a sei motivi, per la parziale cassazione della
sentenza.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, i ricorrenti, ai sensi dell’art. 360 n. 4
c.p.c., hanno denunciato la nullità della sentenza impugnata
nella parte in cui la corte d’appello, pronunciandosi solo
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

ad Emanuele Ruffinengo ed Elena Roggero le spese di giudizio,

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sull’istanza istruttoria concernente la richiesta di disporre una
consulenza tecnica d’ufficio per la determinazione del valore
locativo dell’immobile, ha omesso di pronunciarsi, in violazione
dell’art. 112 c.p.c., sul merito della domanda risarcitoria

delle conclusioni assunte, con l’atto di appello, ed ha omesso di
motivare, se non apparentemente, in violazione dell’art. 132
c.p.c., letto in comb.disp. con l’art. 156, comma 2°, c.p.c. e con
l’art. 111 Cost., sul rigetto di tale domanda (ove sia ritenuta
tale pronuncia relativa alla richiesta di rimessione della causa in
istruttoria per la nomina del consulente tecnico) relativamente
ai danni patiti in conseguenza dell’inadempimento della Ferrara,
in ragione, in particolare, del controvalore del godimento
dell’immobile venduto, dei maggiori interessi moratori che la
banca ha preteso, pretende e pretenderà per il mutuo che la
Ferrara non ha estinto né ridotto, e delle difficoltà che i
ricorrenti hanno dovuto affrontare in conseguenza del loro
inserimento, per effetto dell’inadempimento della Ferrara,
nell’elenco della Centrale Rischi della Banca d’Italia e del
relativo danno all’immagine, anche commerciale.
2.11 motivo è infondato. L’omessa pronuncia, quale vizio
della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con
riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in
ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente
proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto.
Tale vizio, pertanto, dev’essere escluso in relazione al caso in
cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della
domanda proposta (Cass. n. 264/2006; Cass. n. 3435/2001),
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

/——–

avanzata in primo grado e ritualmente riproposta, nell’ambito

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così come dev’essere escluso nel caso in cui sussista la
decisione, implicita o esplicita, da parte del giudice sulla
domanda ma sia priva di (idonea) motivazione: l’omessa
pronuncia su una domanda ritualmente introdotta in giudizio,

il pronunciato, integra, infatti, un difetto di attività del giudice di
secondo grado che si distingue dal vizio di omessa motivazione
il quale, al contrario, presuppone che il giudice del merito abbia
preso in esame la questione oggetto di doglianza ma l’abbia
risolta senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la
decisione resa al riguardo (Cass. n. 22759/2014, in motiv.;
Cass. SU n. 23071/2006; Cass. n. 1755/2006; Cass. n.
5444/2006, in motiv., per la quale “la differenza fra l’omessa
pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa
motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n.
5 dell’art. 360 cod. proc. civ. si coglie … nel senso che nella
prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od
un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo
d’appello uno dei fatti costituitivi della “domanda” di appello),
mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del
giudice che si assume omessa non concerne la domanda o
l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove
valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei
fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su
uno dei fatti cd. principali della

controversia…”;

Cass. n. 17580/2014, per la quale non è configurabile il vizio di
omessa pronuncia quando una domanda, pur non
espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e

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pronuncia implicita – rigettata perché indissolubilmente avvinta
ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il
necessario antecedente logico-giuridico, decisa e rigettata dal
giudice).

respinto “la richiesta” con la quale gli appellanti hanno chiesto
“la remissione della causa in istruttoria per la nomina di CTU
volta a determinare il valore locativo dell’immobile, ovvero la
determinazione del danno in via equitativa”,

in tal modo

implicitamente ma inequivocamente pronunciandosi sulla
domanda, dagli stessi riproposta con l’atto di appello (così
come illustrata nella formulazione del secondo motivo: v. il
ricorso, p. 10), al risarcimento dei danni subìti in conseguenza
dell’inadempimento commesso dalla compratrice.
3.Con il secondo motivo, i ricorrenti, ai sensi dell’art. 360
n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte
in cui la corte d’appello, in violazione degli artt. 345 e/o 346
c.p.c. nonché degli artt. 336, 342 e 359 c.p.c., in combinato
disposto tra loro, ha ritenuto di respingere la domanda
risarcitoria esplicitamente riproposta nell’atto di appello sul
rilievo che, in tale scritto, gli appellanti si sarebbero limitati ad
un generico rinvio alle difese svolte nella precedente fase,
senza svolgere uno specifico motivo d’appello relativo a tale
domanda e senza svolgere, sempre in tale sede, alcuna
argomentazione sulla rilevanza delle prove non ammesse dal
tribunale, laddove, al contrario – a fronte di una sentenza in
cui il tribunale aveva rigettato tutte le domande risarcitorie
svolte dagli attori Ruffinengo e Roggero semplicemente per
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

Nel caso in esame, come visto, la corte d’appello ha

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aver escluso un inadempimento della convenuta Ferrara
rilevante ai fini della risoluzione del contratto – i ricorrenti,
nelle conclusioni assunte con l’atto di appello, hanno
espressamente riproposto sia la domanda risarcitoria sia le

grado, vale a dire la consulenza tecnica di ufficio per la
determinazione del valore locativo dell’immobile.
4.11 motivo è fondato. I ricorrenti, come emerge dal testo
della sentenza impugnata (v. la p. 2 del “foglio di precisazione

delle conclusioni” per gli appellanti), hanno chiesto che la corte
d’appello, ad integrale riforma della sentenza resa dal
tribunale di Pavia in data 23/1.6/3/2009, procedesse a

“dichiarare tenuta e condannare la sig.ra Ferrara Anna al
risarcimento dei danni agli attori derivati dal suo
inadempimento, nell’importo che risulterà determinato in corso
di causa”,

rimettendosi,

“per la parte non esattamente

determinabile”, “… alla valutazione equitatíva del giudice ai
sensi dell’art. 1226 c.c.”, “previa, ove ritenuto utile ed
opportuno, eventuale revoca dell’ordinanza istruttoria del
13/12/2006 ed ammissione della richiesta CTU, concernente la
determinazione del valore locativo dell’immobile
compravenduto”.

Si tratta, del resto – come dimostrato

dall’esame diretto degli atti processuali da parte della Corte,
consentito a fronte di un vizio che, ad onta della norma
invocata, integra la denuncia di un vero e proprio error in

procedendo

(Cass. n. 23381/2017) – delle medesime

conclusioni assunte nell’atto di appello (v. l’atto di citazione in
appello, notificato il 2.6/7/2009, p. 13, 14).
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

istanze istruttorie ad essa funzionali e non ammesse in primo

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La corte d’appello, però, dopo aver evidenziato che il
tribunale – una volta esclusa la sussistenza di un
inadempimento della compratrice

“rilevante ai fini della

risoluzione del contratto di vendita” – aveva respinto “tutte le

ritenuto che gli appellanti si fossero limitati “a riproporre le

domande del precedente grado facendo generico rinvio,
nell’atto di appello, alle difese svolte nella precedente fase,
senza … specificamente indicare nell’atto di gravame – come
invece era loro onere – la rilevanza delle prove e, dunque, le
ragioni che ne fondano la richiesta, tanto più che la richiesta
CTU sarebbe meramente esplorativa”, rigettando, quindi, “la
richiesta” con la quale gli appellanti hanno domandato

“la

remissione della causa in istruttoria per la nomina di CTU volta
a determinare il valore locativo dell’immobile, ovvero la
determinazione del danno in via equitativa”.
Sennonché, l’appellante, il quale impugni la sentenza con la
quale il giudice di primo grado non si sia espressamente
pronunciato su una domanda, avendola ritenuta assorbita da
un’altra decisione di carattere logicamente preliminare, non ha
l’onere di formulare uno specifico motivo di gravame sulla
questione assorbita, ma soltanto di riproporre, nel rispetto
dell’art. 346 c.p.c., tanto la domanda (Cass. n. 17749/2017),
quanto i mezzi di prova non ammessi dal primo giudice (Cass.
n. 5812/2016).
Non è, dunque, corretta, nel caso di specie, la decisione con
la quale la corte d’appello, ritenendo che gli appellanti si erano
limitati “a riproporre le domande del precedente grado facendo
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

conseguenti domande” risarcitorie formulate dagli attori, ha

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generico rinvio, nell’atto di appello, alle difese svolte nella
precedente fase, senza … specificamente indicare nell’atto di
gravame – come invece era loro onere – la rilevanza delle prove
e, dunque, le ragioni che ne fondano la richiesta…”,

ha

motivi di censura (“le ragioni che ne fondano la richiesta’) nei
confronti della sentenza del tribunale, la quale, però, non si era
espressamente pronunciata – in termini di fondatezza o meno sulla domanda (accessoria) di risarcimento dei danni, avendola
esplicitamente ritenuta assorbita (al punto da rigettarla
espressamente) dalla decisione di carattere logicamente
preliminare sulla infondatezza, per mancanza di inadempimento

“rilevante”,

della domanda principale di risoluzione del

contratto: tanto più se si considera che, a ben vedere, come la
stessa corte territoriale riconosce (v. la sentenza impugnata, p.
3 e 4 della motivazione), i ricorrenti, con l’atto di appello (v. p.
4 ss), hanno censurato la sentenza a suo tempo emessa dal
tribunale proprio nella parte in cui aveva escluso la sussistenza
di un inadempimento imputabile della Ferrara, formulando, così,
censure rilevanti ai fini non soltanto della domanda di
risoluzione, ma anche di quella al risarcimento dei relativi
danni.
5.Con il terzo motivo, i ricorrenti, ai sensi dell’art. 360 n. 5
c.p.c., hanno censurato la sentenza nella parte in cui la corte
J
d’appello non provveduto ad esaminare le diverse voci del
danno in concreto dedotto, così omettendo l’esame di un fatto
decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.
6.11 motivo è infondato. La sentenza impugnata è stata,
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

inequivocamente preteso che gli stessi formulassero specifici

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infatti, depositata dopo l’11/9/2012 e trova, dunque,
applicazione l’art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo in vigore
successivamente alle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, convertito con modificazioni con la I. n. 134 del

ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti. Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053/2014),
la norma consente di denunciare in cassazione – oltre
all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale
anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,
nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo,
vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia (in senso conf., Cass. n. 14014/2017,
in motiv.; Cass. n. 9253/2017, in motiv.; Cass. n. 7472/2017).
Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366,
comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., il ricorrente
deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il
“come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con

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processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n.
14014/2017, in motiv.; Cass. n. 9253/2017, in motiv.).
Nel caso di specie, invece, i ricorrenti hanno dedotto che la
sentenza impugnata avrebbe omesso l’esame, quale fatto

parti, delle diverse voci del danno che avrebbero subito in
conseguenza dell’inadempimento della parte compratrice,
limitandosi, tuttavia, a riprodurre in ricorso la loro formale
deduzione in giudizio, in sede di illustrazione del primo motivo
(p. 6, 7), solo per come la stessa è avvenuta nella comparsa
conclusionale del processo di primo grado, e non anche nell’atto
introduttivo dello stesso: l’unico, invece, che è idoneo a
dimostrarne la rituale proposizione in giudizio. Ed è, del resto,
noto che, nel giudizio di legittimità, il ricorrente che censuri la
violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle
processuali, deve specificare, ai fini del rispetto del principio di
autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli
ambiti di operatività della violazione (Cass. n. 9888/2016, la
quale, in applicazione del principio, ha dichiarato inammissibile
il corrispondente motivo di ricorso, non avendo il ricorrente ivi
trascritto quelle parti dell’atto di appello necessarie a
dimostrare la proposizione, già nell’atto introduttivo del
gravame, dei motivi articolati nella comparsa conclusionale di
secondo grado e la conseguente erroneità del loro rigetto in
rito).
7. Con

il

primo

motivo di

ricorso

incidentale,

la

controricorrente, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato
la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

storico decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le

17

violazione dell’art. 112 c.p.c., ha omesso di pronunciare sui
motivi d’appello che la banca aveva proposto nei confronti della
sentenza del tribunale, sul rilievo che l’esame di tale motivi
fosse “privo di qualsiasi utilità” “in quanto – anche ove in ipotesi

pervenire alla invocata condanna della Ferrara al pagamento
delle somme” richieste in forza dei mutui erogati dalla s.p.a.
Credito Italiano, così confondendo il piano della titolarità del
poteredi promuovere un giudizio mediante la deduzione di fatti
in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la
prospettazione dell’attore, con il piano inerente all’an debeatur,
e cioè alle ragioni su cui si fondano le richieste di condanna al
pagamento, per cui la corte d’appello, ritenendo non fondate
tali pretese, ha automaticamente escluso che una pronuncia
circa la propria affermata legittimazione potesse essere di
qualche utilità per l’appellante stessa, che l’aveva, invece,
richiesta.
8.11 motivo non è fondato. Premesso che la parte del
rapporto sostanziale controverso, la quale sia stata
rappresentata da altri nel giudizio di merito, in forza di procura
idonea a conferirgli la legittimazione processuale, non perde la
propria legittimazione processuale, e può conseguentemente
proporre ricorso per Cassazione, avverso la sentenza che abbia
definito quel giudizio, in sostituzione od unitamente al
rappresentante (Cass. SU n. 6918/1983; conf., Cass.
n. 9319/2009, per la quale, poiché la rappresentanza, negoziale
o processuale, non attribuisce nel giudizio al rappresentante la
qualità di parte sostanziale, non è nulla l’impugnazione – nella
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

ritenuti fondati – non consentirebbero, in ogni caso, di

18

specie, ricorso per cassazione – proposta nei confronti del
rappresentato, invece che solo, od anche, del suo
rappresentante, che pure era stato, nel precedente grado, parte
formale del procedimento in quanto fornito di procura generale

l’esame dei motivi di gravame proposti dalla UGC Banca fosse
“privo di qualsiasi utilità” “in quanto – anche ove in ipotesi
ritenuti fondati – non consentirebbero, in ogni caso, di
pervenire alla invocata condanna della Ferrara al pagamento
delle somme di euro 61.026,11 e di euro 149.592,11 afferenti
rispettivamente al mutuo fondiario del 18/12/98 e al mutuo
fondiario “Ruffinengo-Roggero”,

ha, in realtà, fatto

applicazione del principio della cd. “ragione più liquida”, avendo,
infatti, rigettato l’appello sulla base della soluzione, corretta o
sbagliata che sia, di una o più questioni ritenute assorbenti,
vale a dire, nella specie, la mancata specificazione,ad opera
della società appellante, delle ragioni per le quali le pretese
azionate sulla base dei predetti titoli avrebbero dovuto essere
accolte (cfr., in tema, Cass. n. 5264/2015).
9.Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la
controricorrente, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato
la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha
rigettato l’appello proposto dalla s.p.a. UCG sul rilievo che
“appare privo di qualsiasi utilità esaminare i motivi di gravame
della UGC in quanto – anche ove in ipotesi ritenuti fondati – non
consentirebbero, in ogni caso, di pervenire alla invocata
condanna della Ferrara al pagamento delle somme di euro
61.026,11 e di euro 149.592,11 afferenti rispettivamente al
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

notarile), rileva la Corte come il giudice di merito, ritenendo che

19

mutuo fondiario del 18/12/98 e al mutuo fondiario “RuffinengoRoggero”, e ciò in quanto “la UGC limita … le proprie doglianze
al vizio di omessa motivazione e di ultra petita in cui sarebbe
incorso il tribunale laddove ha accertato in capo ad essa

(di cui ai menzionati contratti di mutuo) intercorso tra la Ferrara
e la società Un/credito Italiano spa, ma neppure adombra, né
tantomeno specifica (come invece sarebbe stato suo onere) le
ragioni per le quali – ove riconosciuta la legittimazione di essa
UGC – dovrebbero essere accolte le pretese di cui al punto 3)
delle menzionate conclusioni”, così omettendo l’esame di fatti
decisivi, vale a dire le ragioni, e cioè i fatti costitutivi su cui
sono fondate le domande (riconvenzionali) di condanna
proposte dalla banca, così come emergenti dagli scritti difensivi
e dai documenti versati in atti, e riproposte nell’atto di appello,
dove ha chiesto la condanna della Ferrara al pagamento, quanto
al mutuo fondiario del 18/12/1998, della somma di C.
61.026,11 e, quanto al mutuo

“Ruffinengo-Roggero”,

al

pagamento della somma di C. 149.592,11, oltre interessi per
entrambi, tanto più che la Ferrara aveva espressamente
riconosciuto la fondatezza delle pretese della banca, sia nella
comparsa di costituzione nel giudizio promosso nei suoi
confronti dai ricorrenti, sia nel documento in cui la stessa,
riconosciuto il proprio inadempimento, si era impegnata al saldo
delle rate arretrate del mutuo.
10.

Con il terzo motivo di ricorso incidentale, la

controricorrente, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato
la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, con
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

appellante il difetto di legittimazione relativamente ai rapporti

20

motivazione completamente omessa o comunque insufficiente,
ha ritenuto, in violazione dell’art. 132 c.p.c., in connessione con
l’art. 156, comma 2°, c.p.c. e con l’art. 111 Cost., non
adombrate né specificate le ragioni delle pretese di pagamento

per mancanza di uno dei requisiti indispensabili al
raggiungimento del suo scopo, non essendo comprensibile sulla
base di quali rilievi sia stata rilevata la mancata specificazione
delle ragioni delle domande né sulla base di quali evidenze tali
ragioni siano state considerate neppure adombrate, quando,
invece, dette ragioni coincidono con la causa petendi stessa che
sostiene le domande della banca appellante.
11.

Con il quarto motivo di ricorso incidentale, la

controricorrente, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato
la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha
ritenuto che sarebbe stato onere della banca specificare le
ragioni delle sue pretese senza, tuttavia, considerare, in
violazione degli artt. 346 (inerente l’onere di riproposizione
delle domande non accolte) e 342 c.p.c. (inerente la forma
dell’appello), che, in realtà, la banca avesse espressamente
ribadito, come emerge dalle conclusioni esposte nell’atto di
appello, non solo tutte le domande svolte in primo grado, sulle
quali il tribunale non si era pronunciato avendo ritenuto fondata
l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, ma anche le
relative ragioni, ovvero i fatti costitutivi alla base delle domande
stesse, le quali, pertanto, risultano non solo “adombrate” ma
puntualmente specificate in tutto il corso del giudizio, compreso
l’appello.
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

avanzate dalla banca, con la conseguente nullità della sentenza

21

12.

Con il quinto motivo di ricorso incidentale, la

controricorrente, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., censura la
sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, a
conferma della sua decisione di non esaminare i motivi

Bank, ha aggiunto, ritenendo il rilievo “dirimente”, “che – in
ogni caso – si tratta di questioni già decise dal tribunale in altra
causa pendente tra le stesse parti (RG 838/2006) per cui ogni
ulteriore pronuncia sul punto sarebbe preclusa dal divieto del
“ne bis in idem” “, laddove, al contrario, tale sentenza non è
ancora passata in giudicato in quanto oggetto di impugnazione
attualmente pendente innanzi alla Corte di cassazione, “come
da copia del ricorso introduttivo già in atti”, con la conseguenza
che la stessa nessuna preclusione avrebbe mai potuto generare
e nessuna violazione del principio del ne bis in idem, sicché il
rilievo svolto dal giudice

a quo

costituisce un’erronea

applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c..
13.

Il quinto motivo dev’essere esaminato in via

prioritaria rispetto agli altri ed è (ove mai ammissibile, posto
che il vizio imputa alla sentenza la non corretta percezione delle
prove documentali già offerte, a carattere, quindi, meramente
revocatorio) infondato. Premesso, per quanto rileva in questa
sede, che: la pronuncia sul contenuto e sui limiti di un giudicato
esterno (qual è quello che, in ipotesi, si sarebbe formato tra le
stesse parti nel procedimento “RG 838/2006”)

può essere

oggetto di ricorso per Cassazione sotto il profilo della violazione
e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c. e dei principi
in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata (Cass. n.
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

dell’appello proposto dalla s.p.a. Unicredit Credit Management

22

2976/2005, in motiv.), e che il giudice di legittimità può
direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato
esterno, con cognizione piena, che si estende al diretto riesame
degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed

accertamenti, anche di fatto, indipendentemente
dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass.
n. 21200/2009); rileva la Corte che, nella specie, nessuna
prova ha offerto la controricorrente della eccezione proposta: la
documentazione prodotta (“già in atti”) consiste, infatti, per
come allegato al giudizio di merito, nella mera copia di un
ricorso per cassazione del quale, tuttavia, non risultano né la
formale notifica né l’attuale pendenza.
travolge,

inevitabilmente, anche il terzo, il quarto ed il 44irits0. La corte
14.

Il

rigetto

del

quinto

motivo

d’appello, infatti, ha, come detto, ritenuto che fosse “privo di
qualsiasi utilità esaminare i motivi di gravame della UGC in
quanto – anche ove in ipotesi ritenuti fondati – non
consentirebbero, in ogni caso, di pervenire alla invocata
condanna della Ferrara al pagamento delle somme di euro
61.026,11 e di euro 149.592,11 afferenti rispettivamente al
mutuo fondiario del 18/12/98 e al mutuo fondiario “RuffinengoRoggero” (v. il punto 3 delle conclusioni di appello)”: “la UGC
limita infatti – ha affermato la corte – le proprie doglianze al
vizio di omessa motivazione e di ultra petita in cui sarebbe
incorso il tribunale laddove ha accertato in capo ad essa
appellante il difetto di legittimazione relativamente ai rapporti
(di cui ai menzionati contratti di mutuo) intercorso tra la Ferrara
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed

23

e la società Unicredito Italiano spa, ma neppure adombra, né
tantomeno specifica (come invece sarebbe stato suo onere) le
ragioni per le quali – ove riconosciuta la legittimazione di essa
UGC – dovrebbero essere accolte le pretese di cui al punto 3)
La corte ha, infine, aggiunto,

ritenendo “il rilievo … dirimente”, “che – in ogni caso – si tratta
di questioni già decise dal tribunale in altra causa pendente tra
le stesse parti (RG 838/2006) per cui ogni ulteriore pronuncia
sul punto sarebbe preclusa dal divieto del “ne bis in idem””.
Ora, esclusa la fondatezza del motivo svolto dalla
controricorrente su quest’ultimo rilievo, risulta evidente
l’infondatezza delle censure articolate sul primo: è noto, infatti,
che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di
giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della
sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un
rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione
determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi
dedotti sicché, ove la decisione impugnata si fondi su di una
pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle
quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è
inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze
avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo
del vizio di motivazione (Cass. n. 4293/2016; Cass. n.
18641/2017).
15.

Con il sesto motivo di ricorso incidentale, la

controricorrente, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., censura la
sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in
accoglimento dell’appello proposto dalla Ferrara, ha ritenuto che
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

delle menzionate conclusioni”.

24

l’addebito di ottantasette milioni di lire, operato dal Credito
Italiano sul conto corrente n. 14750/00, con valuta del
12/2/1999, riferito ad un assegno presentato dalla Ferrara
all’incasso e tornato insoluto, fosse illegittimo “in quanto non è

essa Ferrara” né risulta che “alla Ferrara si stata corrisposta la
somma equivalente in contanti”,

così, però, omettendo di

esaminare e/o valutare quanto la banca aveva argomentato nel
corso del giudizio di primo grado, vale a dire che la
negoziazione era stata effettuata dalla Ferrara in data
12/12/1999: solo che, aperto il conto solo in data 15/12/1999,
l’unica ipotesi attendibile

(rectius:

certa) è che si fosse

proceduto, contestualmente alla negoziazione, a corrispondere
la somma equivalente direttamente alla Ferrara, sicché, tornato
impagato l’assegno, l’istituto ha addebitato il relativo importo
sul conto corrente.
16.

Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata è

stata, infatti, depositata dopo 1’11/9/2012, trovando, dunque,
applicazione l’art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo in vigore
successivamente alle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, convertito con modificazioni con la I. n. 134 del
2012, a norma del quale, come già in precedenza osservato, la
sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo
in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che
è stato oggetto di discussione tra le parti: vale a dire, come
affermato dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014) – oltre per
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

stato preceduto dall’accredito di un pari importo in favore di

25

anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,
nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,

della motivazione – (solo) per il vizio dell’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal
testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo,
vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia (Cass. n. 14014/2017, in motiv.;
Cass. n. 9253/2017, in motiv.; Cass. n. 7472/2017). Ne
consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366,
comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., il ricorrente
deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il
“come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n.
14014/2017, in motiv.; Cass. n. 9253/2017, in motiv.).
Nel caso in esame, la controricorrente non ha indicato, con
la dovuta specificità, quale fatto storico, principale o secondario,
la corte d’appello abbia completamente omesso di esaminare.
La corte d’appello, del resto, ha illustrato le ragioni per le quali
ha escluso, in fatto, la correttezza dell’addebito in conto
corrente che la Ferrara aveva contestato, rilevando, in
particolare, che “non è stato preceduto dall’accredito di un pari
importo in favore di essa Ferrara” né è risultato che “alla
Ferrara sia stata corrisposta la somma equivalente in contanti”:
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”

26

e l’esistenza di tale motivazione, non apparente né
manifestamente illogica, esclude – corretta o meno che sia – la
sussistenza del vizio invocato. La valutazione degli elementi
istruttori costituisce, del resto, un’attività riservata in via

le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda
fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n.
11176/2017, in motiv.), così come l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia
stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie
(Cass. n. 9253/2017, in motiv.). Nel quadro del principio,
espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove
(salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile,
infatti, ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi
probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione,
attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo
implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il
relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità,
purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito,
sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (Cass. n.
11176/2017). Ed è noto che non è compito di questa Corte
quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti
contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad
una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della
decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle
prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n.
Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito,

27

3267/2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro
abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro
ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella
motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei

motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. D’altra
parte, ammesso che possa rilevare, la motivazione omessa o
insufficiente è configurabile solo quando dal ragionamento del
giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata,
emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile
l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del
procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi
acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi
sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte
ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli
elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini
del giudizio di cassazione (Cass. SU n. 24148/2013). Nel caso di
specie, i giudici di merito, facendo rinvio ai documenti ed alle
prove raccolte in giudizio, hanno, in modo logico e coerente,
indicato le ragioni per le quali hanno ritenuto che, in fatto,
l’addebito, riferito ad un assegno presentato dalla Ferrara
all’incasso e tornato insoluto, fosse illegittimo “in quanto non è
stato preceduto dall’accredito di un pari importo in favore di
essa Ferrara”

né è risultato che

Ric. 2013 n. 21578, Sez. 2, UP del 8 novembre 2017

“alla Ferrara sia stata

limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176/2017, in

28

corrisposta la somma equivalente in contanti”.
17.

La sentenza impugnata dev’essere, dunque,

cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla corte
d’appello di Milano che, in diversa composizione, provvederà

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il primo ed il terzo motivo
del ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso
principale; rigetta il ricorso incidentale. Cassa, in relazione al
motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio alla corte
d’appello di Milano che, in diversa composizione, provvederà
anche alla liquidazione della presente fase.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
Seconda Civile, il 8 novembre 2017.

anche alla liquidazione della presente fase.

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