Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3846 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 14/02/2017, (ud. 09/01/2017, dep.14/02/2017),  n. 3846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10902/2012 proposto da:

doBank S.p.a., denominazione assunta da Unicredit Credit Management

Bank S.p.a., nella qualità di mandataria di Unicredit S.p.a.

incorporante di Capitalia S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Carlo Mirabello n.18, presso l’avvocato Quintarelli Alfonso, che la

rappresenta e difende, giusta procura Notaio dott.

P.C.C. di VELLETRI – Rep. n. 68808 del 22.3.2016;

– ricorrente –

contro

S.I.C.A.M. di G. e A.R. S.n.c. in liquidazione e

S.P.E. – Società Peloritana Edilizia di G. e A.R.

S.n.c. in liquidazione, in persona del loro rappresentante legale

pro tempore, elettivamente domiciliate in Roma, Viale Giulio Cesare

n.71, presso l’avvocato Del Nostro Patrizia, rappresentate e difese

dall’avvocato Tabacco Luigi, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 08/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal cons. DE MARZO GIUSEPPE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato F. MONTATI, con delega verbale,

che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI

FRANCESCA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 8 febbraio 2012, la Corte d’appello di Messina ha rigettato l’appello proposto da Capitalia s.p.a., nei confronti della S.I.C.A.M. di G. e A.R. s.n.c. (d’ora innanzi, SICAM) e della S.P.E. Società peloritana edilizia di G. e A.R. s.n.c. (d’ora innanzi, SPE), avverso la decisione di primo grado, che l’aveva condannata a pagare: a) in favore della SICAM, la somma di Euro 262.715,46, oltre interessi legali dal 31/03/2003 sino al soddisfo, nonchè alla restituzione delle ulteriori somme ricevute dopo la data del 28/01/1997; b) in favore della SPE, la somma di Euro 59.120,37, oltre interessi legali dal 31/03/2003 sino al soddisfo, nonchè alla restituzione delle ulteriori somme ricevute dopo la data del 28/01/1997.

2. La Corte d’appello ha rilevato: a) che era illegittima la determinazione pattizia della misura degli interessi, con riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito, in quanto le clausole contenenti un generico riferimento agli “usi di piazza” sono nulle, ai sensi dell’art. 1346 cod. civ.; b) che, in ogni caso, la pattuizione era invalida per non essere stato assolto l’obbligo della forma scritta, ai sensi dell’art. 1283 c.c., comma 3; c) che dall’analisi dei conti correnti non emergeva alcuna accettazione dei tassi da parte delle due società e che, in ogni caso, si trattava di domanda nuova, inammissibile in appello; d) che la clausola di capitalizzazione trimestrale era nulla, avendo a fondamento un uso negoziale e non un uso normativo, secondo quanto richiesto dall’art. 1283 cod. civ.; e) che le clausole relative alle commissioni di massimo scoperto e alle altre spese erano invalide, ai sensi dell’art. 1346 cod. civ.; e) che la domanda intesa a conseguire l’irripetibilità degli interessi anatocistici era inammissibile, in quanto proposta per la prima volta con l’atto di appello e ciò senza dire che la capitalizzazione era avvenuta ad esclusiva iniziativa della banca, senza autorizzazione da parte del cliente; f) che la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi può essere rilevata anche d’ufficio.

3. Avverso tale sentenza, UniCredit Credit Management Bank s.p.a., quale mandataria di Unicredit s.p.a., incorporante di Capitalia s.p.a., propone ricorso per cassazione affidato a otto motivi. SICAM e SPE resistono con controricorso.

Nell’interesse della ricorrente (che, nel frattempo, ha assunto la denominazione di doBank s.p.a.) è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi per il giudizio, rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, Capitalia s.p.a., già in primo grado, aveva dedotto la pattuizione di interessi ultralegali: infatti, con lettera del 23 aprile 1993, R.G., nella qualità, aveva chiesto che alle due società fosse applicato il tasso di interesse passivo del 13,50% a decorrere dal 1 aprile 1993 e del 13% a decorrere dal 26 aprile 1993; tale richiesta era stata recepita nei fatti dall’istituto di credito che, nel mese di dicembre 1995, aveva provveduto ad accreditare alla SPE la somma di Lire 5.900.877, per interessi e competenze da restituire, e alla SICAM la somma di Lire 4.048.457, applicando ad entrambi i conti un tasso passivo dell’11%.

La doglianza è inammissibile.

Il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784).

Parte ricorrente, del tutto assertivamente, fa riferimento al contenuto di una lettera – della quale, peraltro, si ignorano modalità e tempi di produzione – che conterrebbe la proposta di applicare un determinato saggio legale e pretende di trarre, senz’altra spiegazione, dall’applicazione di un differente saggio legale, a distanza di circa un anno, la dimostrazione della pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale.

E’ appena il caso di rilevare che il cenno contenuto a tale lettera nella sentenza di primo grado – sulla quale la ricorrente insiste nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. – non ne dimostra il completo contenuto e, comunque, per le ragioni appena evidenziate, non comprova alcuna pattuizione.

2. Con il secondo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi per il giudizio, con riferimento alla ritenuta insussistenza, in epoca anteriore al 1942, di usi che consentissero l’anatocismo in deroga alla disciplina dettata dall’art. 1832 c.c. (rectius: art. 1283). La doglianza è manifestamente infondata, alla luce della condivisa ricostruzione operata oltre dieci anni fa dalle Sezioni Unite di questa Corte e da allora costantemente seguita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, cod. civ., perchè basate su un uso negoziale, anzichè su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perchè non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poichè, diversamente, si determinerebbe la consolidazione medio tempore di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata (Cass., Sez. Un. 4 novembre 2004, n. 21095; v., di recente, Cass. 22 marzo 2011, n. 6518).

3. Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di decidere in ordine alla eccezione di irripetibilità degli interessi anatocistici, da ritenersi versati in adempimento di un’obbligazione naturale.

La doglianza è inammissibile, sia perchè lamenta un’omessa pronuncia, in realtà insussistente, per avere la Corte territoriale motivato sul punto, sia perchè non contesta il giudizio di novità della questione, sia infine – e trattasi anche in questo caso di rilievo autonomamente sufficiente a sorreggere la conclusione – perchè non si confronta neppure con il dato, sottolineato dalla sentenza impugnata, che non si è registrata alcuna prestazione spontanea da parte del cliente, dal momento che la banca ha unilateralmente proceduto ad operare la capitalizzazione (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262).

4. Con il quarto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione alla violazione, da parte del giudice di primo grado, dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere escluso anche la capitalizzazione annuale, nonostante che le due società, nella parte narrativa dell’atto di citazione, avessero chiesto l’applicazione di tale criterio.

La doglianza è manifestamente infondata, in quanto la nullità che investe, ai sensi dell’art. 1283 cod. civ., la capitalizzazione trimestrale concerne anche quella annuale (Cass Sez. Un. 2 dicembre 2010, n. 24418), con la conseguenza che il relativo rilievo officioso è consentito al giudice.

Questa Corte anche di recente ha ribadito che, in tema di controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’ad. 1283 c.c., deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (Cass. 17 agosto 2016, n. 17150).

5. Con il quinto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi per il giudizio, con riferimento alla richiesta di richiamo del consulente tecnico d’ufficio al fine di fornire chiarimenti in relazione agli addebiti concernenti un’operazione di finanziamento in valuta non collegato ad operazione con l’estero.

Le doglianze sono inammissibili, in quanto la ricorrente, nella sostanza, critica in termini generici la decisione impugnata per avere aderito alle conclusioni del consulente.

Va, infatti, ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. 3 giugno 2016, n. 11482).

6. Con il sesto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione alla mancata rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe condotto a risultati diversi anche sulla base del diverso decorso della prescrizione decennale.

La censura è del tutto generica, per le ragioni indicate nel punto 5 che precede, dal momento che, a fronte della decisione della sentenza impugnata di ritenere esaustive le conclusioni della consulenza disposta, la ricorrente muove doglianze prive di ogni specificità e di qualunque concreta correlazione con il contenuto della relazione tecnica.

7. Con il settimo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 1346 cod. civ., rilevando che la commissione di massimo scoperto costituisce l’autonoma remunerazione pretesa dagli istituti di credito, a fronte dell’onere di dovere essere in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto.

La doglianza è inammissibile, sia perchè priva di concludenza rispetto al rilievo di indeterminatezza della sentenza impugnata, sia per genericità, in quanto neppure specifica il contenuto della base negoziale sulla quale fonda le sue critiche.

8. Con l’ottavo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 1283 cod. civ..

La doglianza, che pare funzionale alla richiesta di una rimeditazione delle conclusioni raggiunte da Sez. Un. n. 24418/2010 cit., è priva di concludenza, in quanto le condivise argomentazioni della sentenza citata traggono il loro fondamento dalla assenza di un uso normativo idoneo a derogare alla disciplina che consente la produzione di interessi da parte degli interessi scaduti.

9. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle società resistenti del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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