Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3842 del 15/02/2021

Cassazione civile sez. I, 15/02/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 15/02/2021), n.3842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29682/2015 proposto da:

Comune di Civitanova Marche, in persona del sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104, presso la

sig.ra De Angelis Antonia, rappresentato e difeso dall’avvocato

D’Agostino Antonio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.F.H.M., in proprio e quale esercente la potestà

parentale sulla minore G.D., G.T.,

elettivamente domiciliate in Roma, Viale Angelico n. 261, presso lo

studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, rappresentate e difese

unitamente all’avvocato Valeri Daniele, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 871/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2020 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Macerata, con ordinanza n. 2/2014, ha rigettato il ricorso proposto da G.F.H.M., in proprio e per la minore G.D., e da G.T. nei confronti del Comune di Civitanova Marche, finalizzato ad accertare la natura discriminatoria, ex artt. 43 e 44 T.U. sull’Immigrazione, della condotta con cui il predetto Comune aveva: rigettato la richiesta di residenza anagrafica delle ricorrenti; respinto l’istanza formulata dalle medesime di assegnazione di un’area pubblica da adibire ad uso esclusivo di stazionamento abitativo di due roulotte ed emanato la Delib. n. 433 del 2013 che stabiliva un generale divieto di campeggio nel territorio comunale.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza del 4.08.2015, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dalle predette ricorrenti avverso l’ordinanza del giudice di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità della Delib. n. 433 del 2013 e dello sgombero eseguito in ottemperanza della stessa, condannando il comune al risarcimento dei danni liquidati in Euro 1.000,00 per ciascuna ricorrente, dichiarando, invece, inammissibile la domanda di iscrizione nelle liste anagrafiche del Comune di Civitanova Marche in conseguenza della carenza di legittimità passiva del predetto ente locale.

La Corte anconetana ha ritenuto la natura indirettamente discriminatoria della Delib. n. 433 del 2013 atteso che, pur apparentemente neutrale, veniva di fatto ad impedire ad una determinata categoria etnica (i (OMISSIS)) e, nella specie alla sig.ra G. ed alla sua famiglia, uno stanziamento nel territorio comunale compatibile con le sue modalità di vita, realizzando un effetto di esclusione.

Ha evidenziato, altresì, il giudice di secondo grado che tale delibera, intervenuta in una sequenza cronologica degli eventi pressochè contestuale tra la sua emanazione (5.12.2013) e la precedente richiesta della sig.ra G. di assegnazione di un’area pubblica attrezzata (18.07.2013) costituiva un segnale sintomatico di ostilità del comune, il cui provvedimento non esplicitava alcuna motivazione in ordine alla necessità di una tempestiva adozione, avvenuta in un periodo invernale e, dunque, non tradizionalmente di campeggio.

Il testo della delibera si presentava, inoltre, estremamente generico in ordine alle ragioni che ne avevano determinato l’adozione, facendosi riferimento latamente a ragioni di decoro, igiene e sicurezza urbana, inidonee ad escluderne l’effetto discriminatorio.

Infine, nell’affermare la natura discriminatoria della Delib. n. 433 del 2013, e dello sgombero posto in essere in sua esecuzione, la Corte di merito ha ritenuto di non configurare in capo al comune di Civitanova Marche alcun dovere positivo di individuazione ed assegnazione di un’area attrezzata, esulando dai poteri del giudice ordinare all’amministrazione locale l’adozione di provvedimenti amministrativi.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il comune di Civitanova Marche affidandolo a tre motivi.

G.F.H.M., in proprio e per la minore G.D., e G.T. si sono costituite in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 43 e 44 art. 2 dir. Com. 43/2000 e L. n. 39 del 2000, art. 29, comma 1, lett. b) e del concetto giuridico di discriminazione indiretta, tale da determinare la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Lamenta il comune ricorrente che la Delib. n. 433 del 2013, che impone il divieto di campeggio nel territorio comunale, non è solo astrattamente neutrale – come ritenuto dalla Corte di merito – ma lo è anche in concreto e in modo inequivoco, atteso che non determina alcun trattamento differenziato, nè distinzioni tra soggetti e categorie di soggetti, limitandosi ad esplicitare, con l’imposizione del divieto di campeggio nei confronti di chiunque, una condizione giuridica già esistente ed efficace erga omnes e derivante dalla specifica destinazione delle aree pubbliche del territorio comunale, conseguente alla relativa pianificazione urbanistica già in vigore.

Tale delibera non ha modificato nulla in ordine allo stazionamento permanente e duraturo di case ambulanti sul suolo pubblico del territorio di Civitanova Marche, che non era consentito già prima della emanazione della delibera medesima e lo non sarebbe comunque anche in caso di rimozione del provvedimento amministrativo.

La delibera in questione non produce giuridico pregiudizio di nessuna natura, e tantomeno di svantaggio di un’etnia (come quella (OMISSIS)), non introducendo differenziazioni di alcuna natura, criteri distintivi di sorta, limitandosi ad esplicitare il divieto di stazionamento abitativo sulle aree pubbliche comunali al fine di garantire l’utilizzo collettivo delle stesse aree secondo la destinazione che è loro impressa dall’ordinamento, nel rispetto dell’igiene, sanità, decoro e sicurezza.

D’altra parte, lo stanziamento nel territorio di Civitanova Marche non era affatto escluso ai (OMISSIS) o a qualunque altra etnia, chiunque essendo libero di stanziarvisi nel rispetto della legalità, come dimostrato dal fatto che le stesse ricorrenti avevano stazionato per anni in un’area privata.

Ove si consentisse lo stazionamento su aree pubbliche di una determinata categoria di soggetti, tali aree verrebbero sottratte alla loro pianificazione destinazione ed utilizzazione collettiva per essere acquisite dai membri di una determinata categoria per scopi abitativi propri ed individuali in condizioni di assenza di qualsiasi servizio ed attrezzatura che l’ordinamento impone a tutela della salubrità e sanità del vivere.

Anche lo sgombero delle ricorrenti non ha avuto natura discriminatoria, essendosi fondato sull’esigenza di salvaguardare la salute e l’igiene pubblica, oltre che quella privata delle ricorrenti, essendo l’area occupata priva delle minime strutture igienico-sanitarie, così da non poter essere adibita a sosta duratura di camper e roulotte, come affermato dai giudici amministrativi che si sono pronunciati sulla questione in sede di richiesta di sospensiva.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 43 e 44 art. 2 dir. com. 43/2000 e L. n. 39 del 2000, art. 29, comma 1, lett. b), e del concetto giuridico di discriminazione indiretta nonchè della L. n. 30 del 2007, art. 9 D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54, comma 5.

Lamenta il comune ricorrente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata che, da un lato, si è espressa in termini di atteggiamento ostruzionistico e generale ostilità dello stesso comune, e, dall’altro, accogliendo con riferimento alla richiesta di residenza anagrafica, l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, ha valorizzato argomenti non riferibili all’amministrazione locale, ma al Ministero dell’Interno.

Peraltro, la sentenza impugnata, nell’affermare l’atteggiamento ostruzionistico del Comune sulla richiesta di residenza, non ha considerato che le ricorrenti sono cittadine comunitarie, con la conseguenza che le leggi sulle iscrizioni anagrafiche (L. n. 1228 del 1954 e D.P.R. n. 223 del 1989) devono raccordarsi con il regime giuridico di cui alla L. n. 30 del 2007, art. 9 (diverso rispetto a quello dei cittadini italiani) che impone, dopo il decorso del termine di tre mesi dall’ingresso in territorio italiano, di dimostrare le condizioni di regolare soggiorno. Nel caso di specie, le ricorrenti hanno omesso di produrre documentazione attestante il loro legale soggiorno a norma della L. n. 30 del 2007, art. 9. Non vi è stato quindi alcun atteggiamento ostruzionistico e di ostilità del Comune verso le ricorrenti.

Lamenta, inoltre, il ricorrente che la sentenza impugnata ha censurato il diniego di assegnazione di area pubblica per lo stazionamento di case mobili e camper non considerando, peraltro, che il territorio comunale di Civitanova Marche è sprovvisto di aree attrezzate a tale scopo – e, contraddittoriamente, ha ritenuto non esservi in capo al Comune alcun obbligo di individuazione e assegnazione di area attrezzata alle ricorrenti, omettendo ogni motivazione sulle deduzioni svolte dallo stesso Comune in ordine alla condizione giuridica dei beni pubblici, alla loro destinazione collettiva, alla ragioni di igiene, sanità e decoro addotte.

3. I primi due motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.

Va osservato che la valutazione in fatto con cui la Corte d’Appello ha ritenuto la natura discriminatoria della condotta posta in essere dal Comune di Civitanova Marche, in quanto attinente al merito, non può essere sindacata da questa Corte, se non a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, come interpretato secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014, ovvero solo nei casi in cui si registri una anomalia motivazionale che si è tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, che deve consistere nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Ancona ha coerentemente incentrato la valutazione circa il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dal Comune di Civitanova nei confronti della cittadina straniera e delle proprie figlie sulla sequenza cronologica degli eventi, pressochè contestuali, in special modo tra il momento dellla richiesta da parte della sig.ra G. di un’area attrezzata (18.07.2013) e quello della Delib. (5.12.2013)”, ritenuti come un segnale sintomatico di ostilità del Comune, il cui provvedimento non esplicitava alcuna motivazione in ordine alla necessità di una tempestiva adozione – riferendosi latamente a ragioni di decoro, igiene, e sicurezza urbana – che era, avvenuta, peraltro, in un periodo invernale e, dunque, non tradizionalmente di campeggio.

E’ pur vero che la Corte d’Appello ha anche evidenziato che la delibera contestata si inseriva in un complessivo atteggiamento ostruzionistico già manifestato dagli organi comunali con il ritardato perfezionamento dell’iscrizione anagrafica richiesta – profilo in relazione al quale la stessa Corte di merito ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune, per avere il Sindaco agito in qualità di ufficiale del governo, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54, comma 3, – tuttavia, non è dato rinvenire in tale rilievo una contraddittorietà motivazionale o comunque tale da dar luogo ad una violazione costituzionalmente rilevante (nei termini del contrasto irriducibile di affermazioni inconciliabili). Si tratta, infatti, di una minima incongruenza argomentativa non dotata di decisività, in quanto ininfluente ai fini della compatezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione.

Non vi è, pertanto, alcun dubbio che il Comune di Civitanova, con l’apparente deduzione della violazione di legge, non abbia fatto altro che formulare censure di merito in ordine alla natura discriminatoria della condotta dallo stesso posta in essere, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello.

Va, infine, osservato che tutte le censure svolte dal Comune ricorrente per evidenziare la correttezza del proprio operato nell’esame della domanda di residenza della sig.ra G. si appalesano inammissibili per carenza di interesse, avendo il giudice di secondo grado, come detto, affermato il difetto di legittimazione passiva dell’ente comunale sul punto.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 43 e 44 e L. n. 2248 del 1865, All. E, artt. 4 e 5.

Lamenta il Comune ricorrente che il giudice di secondo grado ha esorbitato dai limiti ordinamentali della giurisdizione ordinaria, dichiarando la Delib. n. 433 del 2013 “illegittima, in quanto integrante un comportamento discriminatorio e deve, dunque, essere rimossa”, non essendosi quindi limitata alla disapplicazione dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo, pronunciandosi in merito alla sua rimozione.

5. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che questa Corte, in ordine ai comportamenti discriminatori posti in essere da un ente pubblico nei confronti di privati con l’adozione di atti amministrativi, ha già enunciato il principio di diritto – cui questo Collegio intende dare continuità – secondo cui, il diritto a non essere discriminati si configura, in considerazione del quadro normativo costituzionale (art. 3 Cost.), sovranazionale (Direttiva 2000/43/CE) ed interno (D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, artt. 3 e 4 nonchè il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4) di riferimento, come un diritto soggettivo assoluto da far valere davanti al giudice ordinario, a nulla rilevando che il dedotto comportamento discriminatorio consista nell’emanazione di un atto amministrativo. Il giudice ordinario deve, infatti, limitarsi “a decidere la controversia valutando il provvedimento amministrativo denunziato, disattendendolo “tamquam non esset” e adottando i conseguenti provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti, ove confermato lesivo del principio di non discriminazione od integrante gli estremi della illegittima reazione, senza tuttavia interferire nelle potestà della p.a., se non nei consueti e fisiologici limiti ordinamentali della disapplicazione incidentale ai fini della tutela dei diritti soggettivi controversi”. (Cass. S.U. n. 3670/2011).

La Corte d’Appello ha fatto un corretto uso di tale principio, a nulla rilevando la circostanza che la stessa abbia affermato nella parte motiva (non ripetendolo, tuttavia, nel dispositivo), che la Delib. n. 433 del 2013 – di cui è stata ritenuta l’illegittimità – deve essere rimossa.

Che la Corte d’Appello non intendesse operare una vera e propria rimozione della Delib. in oggetto dal mondo giuridico (ossia, il suo annullamento, che è potere spettante al G.A.) e intendesse, invece, limitarsi all’accertamento dell’avvenuta sterilizzazione degli effetti della stessa in conseguenza della dichiarata discriminazione di cui è causa, emerge inequivocabilmente dal rilievo che lo stesso giudice di secondo grado, dopo aver affermato che, in caso di accertamento della carattere discriminatorio del comportamento della P.A. può essere ordinato a quest’ultima ogni provvedimento idoneo alla rimozione degli effetti della discriminazione, ha, altresì, puntualizzato che “esula, inoltre, dai poteri della Corte ordinare al Comune l’adozione di provvedimenti amministrativi, che restano di competenza del Comune ed attuabili su richiesta dell’interessato”.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

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