Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3840 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 14/02/2020), n.3840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19039-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA PINETA SACCHETTI, 482, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA

VERGINE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA ROSARIA SAVOIA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di

procuratore speciale della S.C.C.I. S.p.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO,

EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOVANNI BARRACCO 2, presso lo studio dell’avvocato ANGELA SOCCIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO NARDELLA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3139/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 10/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCHESE

GABRIELLA.

Fatto

RILEVATO CHE:

la Corte d’appello di Bari con sentenza n. 3139 del 10.1.2018 rigettava gli appelli avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato non dovuti, perchè estinti per prescrizione, i crediti contributivi iscritti a ruolo dall’INPS ed oggetto di quattro intimazioni di pagamento;

la Corte territoriale ha osservato come tra la notifica delle cartelle e quella delle intimazioni di pagamento fosse maturata la prescrizione quinquennale, L. n. 335 del 1995 ex art. 3, commi 9 e 10;

avverso la sentenza ha proposto ricorso principale l’Agenzia delle Entrate con un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, l’Inps, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I.;

ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale, V.A. che ha, altresì, depositato memoria;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RILEVATO CHE:

con l’unico motivo del ricorso principale viene dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 2946 c.c., del D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20, nonchè erronea e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, e falsa applicazione dell’art. 2953 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha applicato il termine di prescrizione ordinario decennale ma piuttosto quello quinquennale, pur trattandosi di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore;

le censure sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi nuovi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. n. 7155 del 2017);

soccorre, in particolare, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10,) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, e con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo, non assume rilievo il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 112 del 1999 (art. 19, comma 4, e art. 20, comma 6) nella parte in cui è stabilito un termine di prescrizione decennale che questa Corte ha già chiarito essere strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso principale va dichiarato inammissibile; segue l’inefficacia, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, del ricorso incidentale perchè tardivamente proposto;

infatti, la sentenza è stata pubblicata in data 10.1.2018 e quindi il termine per proporre l’impugnazione in via autonoma scadeva, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., il 10/7/2018 mentre il ricorso incidentale di V.A. risulta notificato, a mezzo pec, il 25.9.2018;

le spese sono poste a carico della Agenzia delle Entrate, in base alla soccombenza che va, in questo caso, riferita alla sola parte ricorrente in via principale; la decisione della Corte di cassazione non procede, infatti, all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità, in relazione al “decisum”, è riferibile soltanto alla parte ricorrente principale (cfr. Cass. n. 15220 del 2018 e Cass. 4074 del 2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 2000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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