Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3838 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 14/02/2020), n.3838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16318-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

STIMIGLIANO 5, presso lo studio dell’avvocato FABIO CODOGNOTTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO RUCCIA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di

procuratore speciale della S.C.C.I. S.p.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO,

ESTER ADA SCIPLINO;

– Controricorrente –

e contro

D.M. elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO CONSOLE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

STIMIGLIANO 5, presso lo studio dell’avvocato FABIO CODOGNOTTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO RUCCIA;

– controricorrente –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 2692/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCHESE

GABRIELLA.

Fatto

RILEVATO CHE:

la Corte d’appello di Bari con sentenza n. 2692 del 23.11.2017, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato non dovute le somme richieste con le intimazioni di pagamento notificate a D.M. il 6.8.2012;

la Corte territoriale, sulla premessa che gli importi di cui alle intimazioni di pagamento si riferivano a cartelle esattoriali non opposte dal debitore, ha osservato come, successivamente alla notifica delle cartelle stesse e prima della notifica delle intimazioni, fosse interamente maturata la prescrizione quinquennale;

avverso la sentenza ha proposto ricorso principale l’Agenzia delle Entrate con un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, l’Inps, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I.;

ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale, D.M. che ha, altresì, depositato memoria;

l’Agenzia delle Entrate ha resistito, a sua volta, con controricorso; è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RILEVATO CHE:

con l’unico motivo del ricorso principale è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 2946 c.c., per avere la sentenza impugnata applicato il termine di prescrizione quinquennale piuttosto che il termine di prescrizione ordinario decennale, pur trattandosi di crediti oramai divenuti irretrattabili perchè iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore;

il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame delle censure non offre elementi nuovi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. n. 7155 del 2017);

soccorre il principio affermato dalle sezioni unite della Corte (Cass., Sez.U., n. 23397 del 2016) secondo cui la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la conversione del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.;

la disposizione codicistica si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dal primo gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010);

il conferimento al concessionario della funzione di procedere alla riscossione dei crediti, nonchè la regolamentazione ex lege della procedura e la previsione di diritti e obblighi del concessionario stesso, non determina il mutamento della natura del credito previdenziale e assistenziale, assoggettato ad una disciplina speciale nè tantomeno potrebbe determinarsi in tal modo una modifica del regime prescrizionale, che per i contributi sarebbe incompatibile con il principio di ordine pubblico di irrinunciabilità della prescrizione (v., tra le altre, Cass. n. 31352 del 2018 ed i precedenti ivi richiamati);

in definitiva, in assenza di un titolo giudiziale definitivo, che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito e produca la rideterminazione in dieci anni della durata del termine prescrizionale ex art. 2953 c.c., continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, e non ricorrono i presupposti per l’applicazione della regola generale sussidiaria dell’art. 2946 c.c.;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso principale va dichiarato inammissibile; segue l’inefficacia, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, del ricorso incidentale perchè tardivamente proposto;

infatti, la sentenza è stata pubblicata in data 23.11.2017 e quindi il termine per proporre l’impugnazione in via autonoma scadeva, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., il 23.5.2018; il ricorso di D.M. è stato notificato a mezzo PEC in data 3.7.2018;

le spese sono poste a carico della Agenzia delle Entrate, in base alla soccombenza che va riferita alla sola parte ricorrente in via principale (cfr. Cass. n. 15220 del 2018 e Cass. 4074 del 2014), e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore di D.M. che ne ha fatto richiesta.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 2000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv.to Antonio Console.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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