Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3837 del 16/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 16/02/2011), n.3837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5482-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del r Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO N. 25/B, presso lo studio

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 261/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del

18/02/09, depositata il 05/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’01/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato Mario Miceli, (delega avvocato Roberto Pessi),

difensore della ricorrente che si riporta agli scritti ed insiste per

la trattazione in P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso notificato il 19/20 febbraio 2010, la s.p.a. Poste Italiane ha chiesto, con quattro motivi, la cassazione della sentenza depositata il 5 marzo 2009, con la quale la Corte d’appello di L’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato intercorso, ai sensi dell’art. 8 del C.C.N.L. 26 novembre 1994 e successive proroghe, con D.M.P. in data 12 luglio 1999, per la “necessità di espletamento del servizio in concomitanza delle assenze per ferie nel periodo giugno settembre”, la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato da tale data e la condanna della società a risarcire alla lavoratrice i danni nella misura delle retribuzioni perdute a decorrere dal 14 gennaio 2003, previa detrazione dell’aliunde perceptum.

I motivi di ricorso attengono a:

1 – la violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, il vizio di motivazione e la nullità del procedimento, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che il rapporto di lavoro fra le parti si fosse comunque estinto per implicito mutuo consenso;

2 – la violazione dell’art. 1362 e ss. c.c. e il vizio di motivazione, in ragione del fatto che i giudici dell’appello avevano erroneamente ritenuto che l’esercizio del potere attribuito alle OO.SS. dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termina al contratto di lavoro fosse stato convenzionalmente limitato dalle medesime OO.SS. con riguardo alla causale esaminata, al periodo fino al 30 aprile 1998;

3 – la violazione di norme di diritto e il vizio di motivazione, laddove la Corte territoriale avrebbe richiesto, nel caso previsto dal CCNL 26 novembre 1994 (in attuazione della delega alle OO.SS. operata dalla L. n. 56 del 1987, art. 23) di assunzione a termine in sostituzione di personale in ferie, la necessaria indicazione in contratto del dipendente sostituito;

4 – la violazione dell’art. 2697 c.c.. e vizio di motivazione, laddove la Corte aveva ritenuto non provato il rispetto da parte della società della percentuale massima possibile di lavoratori a termine (10% rispetto ai lavoratori stabili), laddove viceversa l’onere della prova al riguardo graverebbe sul lavoratore;

La lavoratrice intimata non si è costituita in questo giudizio.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 è regolato dall’art. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

La Causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 1 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base di una relazione, redatta a norma dell’art. 380 c.p.c., che aveva rilevato la manifesta infondatezza del ricorso per i motivi individuati nel modo seguente.

“Con riguardo al primo motivo di ricorso, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio aderisce, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372 c.c., comma 1 il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei contraenti, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico; e ciò con particolare riferimento alla materia lavoristica ove operano, nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (cfr., ades., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7 maggio 2009 n. 10526).

In proposito, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine al rapporto grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione dello stesso per mutuo consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070 e 2 dicembre 2000 n. 15403).

E’ poi consolidato l’orientamento secondo cui il relativo giudizio, sulla configurabilità o meno, in concreto, di un tale accordo perfacta concludenza, viene devoluto al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, si sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione (cfr., diffusamente, tra le altre, le sentenze citate).

Ciò posto in via di principio, si rileva che la Corte territoriale, dichiarando che la mera inerzia del lavoratore non poteva essere interpretata come fatto estintivo del rapporto (in quanto tale effetto consegue dal concorso di altre circostanze significative, salvo i comportamenti correlati all’ordinaria cessazione del rapporto), ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso in esame, facendo riferimento proprio a valutazioni di tipicità sociale con riguardo alla semplice inerzia della Arena nella situazione descritta (tenuto evidentemente conto delle circostanze notorie rappresentate dal tempo necessario a valutare l’eventuale illegittimità del termine e quindi rivolgersi al sindacato e/o all’avvocato, dalla necessità per quest’ultimo di impostare la causa e provvedere al tentativo di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. nonchè della altrettanto notoria circostanza relativa all’affidamento che il lavoratore “precario” normalmente fa sulla prospettiva di futuri contratti a termine – soprattutto nei riguardi di una società, come le Poste, che di tale tipologia contrattuale faceva al tempo ampio uso – e al timore di pregiudicare tale esito con l’iniziativa giudiziaria).

Una tale valutazione, proprio perchè ragionevolmente ancorata a parametri di tipicità sociale, non appare censurabile in questa sede di legittimità.

Quanto al secondo motivo, esso ha ad oggetto una ipotesi di contratto a termine (“esigenze eccezionali”) diversa da quella esaminata dalla Corte territoriale, relativa esclusivamente alla previsione contrattuale collettiva di necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre.

Il motivo è pertanto inammissibile.

Altrettanto inammissibile è il terzo motivo di ricorso che investe una affermazione mai effettuata dalla Corte territoriale, circa la necessità di indicare nel contratto di lavoro il nominativo del dipendente sostituito, necessità viceversa esplicitamente negata dai giudici di merito nella sentenza impugnata.

Infine, appare manifestamente infondato l’ultimo motivo, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 19 gennaio 2010 n. 839), secondo la quale grava sul datore di lavoro l’onere di provare in giudizio il rispetto, nelle assunzioni a termine della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 della percentuale stabilita dalla contrattazione collettiva in esecuzione di quanto disposto dalla legge medesima.

Nè appare fondata l’obiezione che la Corte territoriale avrebbe dovuto attivare al riguardo i propri poteri d’ufficio, attraverso una consulenza contabile disposta d’ufficio, in assenza di alcuna richiesta al riguardo e comunque con uno strumento estraneo all’ambito dei mezzi di prova”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione alla parte e al P.G. presso questa Corte unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

La ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, in ordine alla quale i rilievi svolti dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c. sono in parte non conferenti, secondo quanto già accertato nella relazione con riguardo al ricorso e in parte già adeguatamente esaminati nella relazione.

Non appare invocabile nel caso in esame la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7. L’assenza nel ricorso di uno specifico motivo attinente il tema degli effetti della conversione del contratto a tempo indeterminato determina infatti, col rigetto delle censure che investono la ritenuta illegittimità del termine, la irretrattabilità della relativa pronuncia.

Il ricorso va pertanto respinto. Nulla per le spese della intimata, non costituita nel presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2011

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