Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3837 del 15/02/2021

Cassazione civile sez. I, 15/02/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 15/02/2021), n.3837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16530/2016 proposto da:

Agenzia Laore Sardegna, succeduta ad ERSAT, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Monte Zebio n. 30, presso lo studio dell’avvocato Alfredo Biagini,

rappresentata e difesa dagli avvocati Elisabetta Corona, e Maria

Santoru, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 288/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI –

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 12/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/11/2020 dal Cons. Dott. Marco Marulli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La LAORE agenzia della Regione Sardegna impugna per cassazione sulla base di un duplice motivo, illustrato pure con memoria, l’epigrafata sentenza con la quale Corte d’Appello di Cagliari, in accoglimento dell’appello proposto da L.G., già componente del consiglio di amministrazione dell’Ersat, a cui la LAORE era succeduta, ha riformato l’impugnata decisione di primo grado nel capo in cui, recependo la domanda di indebito dell’agenzia, aveva condannato il L. al rimborso della somma di Euro 49019,38, dovuta in restituzione quali emolumenti non spettanti, ed ha disposto che la somma in parola sia restituita al netto delle ritenute operate dall’ente erogante, e ciò sull’assunto che “è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che nei confronti del lavoratore si possa ripetere l’indebito nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo” e, cioè, al netto delle ritenute mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

Non ha svolto attività difensiva l’intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. La Laore, con il primo articolato motivo di ricorso, si duole dell’impugnato provvedimento poichè il precedente di questa Corte richiamato a conforto non si applica alla fattispecie per cui è causa, posto che 1) esso concerne un recupero di indebito maturato nell’ambito di un rapporto di lavoro, mentre il caso in esame attiene al differente rapporto civilistico dei funzionari onorari, 2) esso si rivela poi errato laddove stabilisce che quanto sia entrato nella sfera patrimoniale del lavoratore sia la retribuzione netta e non tutta la retribuzione complessivamente considerata, 3) non considera che, in difetto di un rapporto di lavoro con l’interessato, l’ente in qualità di sostituto di imposta non potrebbe operare la compensazione tra versamenti e rimborsi, e 4) che non a caso, onde sopperire alla predetta difficoltà, è stato previsto dal D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 916, art. 10, comma 1, lett. d-bis), che il contribuente possa portare in deduzione le somme restituite al soggetto erogatore anche in più annualità.

3. Il motivo, come già statuito in precedenti occasioni (Cass., Sez. I, 5/06/2020, n. 10751; Cass., Sez. I, 12/12/2017, n. 29799) non ha fondamento.

In disparte dal fatto che l’avviso espresso dal decidente, pur se richiama un solo precedente di questa Corte, è conforme ad uno stabile e consolidato indirizzo di questa Corte (Cass., Sez. IV, 26/02/2002, n. 2844; Cass., Sez. IV, 11/01/2006, n. 239), anche di recente confermato ((Cass., Sez. IV, 2/10/2020, n. 21196; Cass., Sez. IV, 25/07/2018, n. 19735), nessuna delle contestazioni che vi muove l’impugnante è meritevole di adesione.

4. La prima di esse (non si tratta di un rapporto di lavoro, ma di incarico onorario) è smentita dalla considerazione che il rapporto di amministrazione – che non è onorario se è compensato – configura una rapporto di lavoro ascrivibille all’area del lavoro professionale autonomo (Cass., Sez. I, 11/02/2016, n. 2759) e i compensi a tal fine erogati sono assimilati ex lege ai redditi da lavoro dipendente (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 50, comma 1, lett. c-bis); ne consegue che nei confronti dell’ente erogatore trovano applicazione il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 25 e la L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 30, di guisa che è obbligo del medesimo operare le ritenute e procedere al loro versamento, con l’ulteriore effetto che sotto questa angolazione il trattamento fiscale e previdenziale non resta influenzato dall’inquadramento civilistico del sottostante rapporto di lavoro.

5. La seconda (nella sfera patrimoniale dell’amministratore è entrata tutta la retribuzione e non solo quella netta) contravviene al postulato, ben chiaro alla giurisprudenza in materia, che il solvens non può ripetere dall’accipiens, in ogni caso, più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, sicchè, se l’ente erogante versa al lavoratore la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e, quando corrisponde per errore una retribuzione maggiore del dovuto ed opera ritenute erronee per eccesso, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (Cass., Sez. IV, 25/07/2018, n. 19735).

6. La terza e la quarta (l’ente erogante non può operare la compensazione difettando la continuità del rapporto di lavoro, tanto da essere prevista la deduzione a favore del contribuente), trascurano, comprimendo immotivatamente la risposta al quesito, che il versamento di imposte e contributi previdenziali non dovuti è fonte di indebito oggettivo e l’indebito così generato, anche considerando le discipline di settore (Cass., Sez. IV, 2/10/2020, n. 21196), non si sottraggono alla disciplina di carattere generale di cui all’art. 2033 c.c., onde non solo è il solvens ad essere legittimato all’esercizio della relativa azione, ma sulla legittimazione di questo non influiscono le modalità a mezzo delle quali può essere ottenuto il rimborso nè le facoltà che l’ordinamento attribuisce al contribuente.

7. Il motivo va dunque, conclusivamente, rigettato.

8. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. poichè nel procedere alla liquidazione delle spese il decidente si era espresso nello stesso tempo nel senso di volerne decretare la compensazione e di volerle liquidare tanto per il primo che per il secondo grado (“le spese di lite per il primo ed il secondo grado di giudizio debbono essere compensate e si liquidano in Euro 3500,00 e 2000,00 rispettivamente per primo e secondo grado, oltre a quanto dovuto per legge”). Deduce la ricorrente che è evidente che era intenzione della sentenza, tenuto conto della parziale soccombenza del L., operare una compensazione parziale del carico delle spese.

Così impostata la questione porta a ritenere ravvisabile un mero errore materiale inidoneo a costituire un motivo di ricorso per cassazione, sicchè alla sua emenda si deve provvedere per mezzo del relativo procedimento di correzione di cui all’art. 287 c.p.c. (Cass., Sez. III, 14/12/1968, n. 3978). E più di recente è affermazione delle SS.UU. che, se nel dispositivo della sentenza manchi la liquidazione delle spese sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 c.p.c. e ss. per ottenerne la quantificazione e non azionare il ricorso per cassazione (Cass., Sez. U, 21/06/2018, n. 16415).

Si è però osservato che questo insegnamento viene dettato per l’ipotesi in cui il soggetto che patisce l’errore, anzichè avvalersi appunto della specifica procedura, proponga ricorso per cassazione, in tal modo evidentemente fraintendendo la ratio dei due diversi mezzi di tutela e giungendo a gravare la Corte di Cassazione di un’attività correttiva/integrativa che nulla ha a che fare con il sindacato di legittimità affidato alla stessa, avendo appunto un contenuto meramente materiale, attività che il legislatore demanda a chi ne ha fatto insorgere la necessità, anche nel caso in cui sia il giudice di merito. E dunque in un’ottica particolarmente attenta a valorizzare anche in relazione a tale eventualità le esigenze sottese al principio della ragionevole durata del processo, si è detto che “ove l’errore materiale di liquidazione venga denunciato col ricorso per cassazione fondato anche su altri motivi – che nulla abbiano a che fare con l’errore medesimo -, esso può essere vagliato dal giudice di legittimità in considerazione dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, senza che l’accoglimento del motivo e l’effettuazione della correzione materiale leda il diritto di difesa delle controparti, essendosi pienamente dispiegato il contraddittorio” (Cass., Sez. III, 13/11/2018, n. 29029).

Poichè nella specie, preso atto che il motivo denuncia una violazione di legge a rigore scrutinabile da questa Corte, valutati, altresì, gli esiti complessivi della lite, giustificativi di una condanna del L. alle spese del doppio grado essendone prevalente la soccombenza, si ha ragione di credere che effettivamente il giudice d’appello abbia voluto disporre la compensazione parziale del relativo carico, può la Corte, decidendo nel merito, emendare la motivazione ed il dispositivo della decisione qui impugnata nel senso qui richiesto disponendo che nel terz’ultimo rigo di pag 5, dopo la parola “essere” e prima della parola “compensate” si legga la parola “parzialmente” e nel sesto rigo di pag. 6, dopo la parola “dichiara” e prima della parola “compensate” si legga la parola “parzialmente”.

9. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria.

P.Q.M.

Respinge il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso, ordina, decidendo nel merito, la correzione dell’errore materiale oggetto di denuncia e dispone che nella sentenza impugnata, nel terz’ultimo rigo di pag 5, dopo la parola “essere” e prima della parola “compensate” si legga la parola “parzialmente”, nel sesto rigo di pag. 6, dopo la parola “dichiara” e prima della parola “compensate” si legga la parola “parzialmente” e manda la cancelleria per l’annotazione della disposta correzione a margine della sentenza impugnata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

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