Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38362 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. I, 03/12/2021, (ud. 11/11/2021, dep. 03/12/2021), n.38362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5494/2018 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via Carlo Poma,

4 presso lo studio dell’Avvocato Stefania Ciaschi che lo rappresenta

e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.S.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste, n. 671 del

2017, depositata il 07/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/11/2021 dal Cons. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il signor M.V. ricorre con quattro motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, non notificata, con cui la Corte d’appello di Trieste ha rigettato l’impugnazione dal primo proposta ed ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone che, pronunciando in un giudizio introdotto per la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal signor M. con la signora F.S., aveva posto a carico del padre un contributo per il mantenimento del figlio, non autosufficiente, T.G.V., quantificando poi l’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge in Euro venti mila mensili.

2. F.S. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omessa pronuncia ed omesso esame dei fatti ai fini della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le parti avevano dedotto davanti al tribunale di provvedere, entrambe, in via diretta, al mantenimento dei figli maggiorenni.

I giudici di primo grado, rielaborando le richieste delle parti, avevano invece condannato il padre al mantenimento ordinario e straordinario del figlio più giovane, esonerando la madre da siffatto obbligo e quelli della Corte territoriale nel confermare la decisione, appellata dal signor M. per violazione del principio di corrispondenza tra “chiesto e pronunciato”, aveva omesso nella sua valutazione il motivo di appello.

La Corte d’appello aveva confermato l’indicata statuizione con motivazione apparente ed obiettivamente incomprensibile, richiamando una “precisazione motivazionale”, non presente in sentenza, e formulando un giudizio sull'”ottima riuscita dei figli” nel contesto “glamour” in cui vivevano, con un apprezzamento sull’assolvimento dei compiti domestici da parte della madre che nulla avrebbe aggiunto alle ragioni dell’adottata decisione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa valutazione di domande e di fatti decisivi, motivazione omessa, apparente o contraddittoria.

La Corte d’appello aveva circoscritto la propria decisione alle sole censure relative all’assegno di divorzio, rielaborando poi le domande al riguardo avanzate dalle parti.

Il ricorrente aveva richiesto in appello, in via principale, di respingere le pretese economiche avanzate dalla signora F., sollecitando una valutazione della inosservanza, in cui era incorso il primo giudice, dell’onere probatorio e delle decadenze e preclusioni maturate a carico dell’ex coniuge richiedente, per poi insistere, solo “in via di estremo subordine”, nella richiesta di determinazione dell’assegno divorzile in un importo inferiore a quello di diecimila Euro, fissato dalle parti concordemente in sede di separazione.

A fronte di siffatti motivi la Corte territoriale aveva invece ritenuto che l’appellante M. aveva denunciato, circoscrivendo la proposta critica al quantum della posta reclamata da controparte, il carattere ingiustificato e contraddittorio dell’aumento dell’assegno, che era stato determinato in misura doppia rispetto a quella concordata in sede di separazione.

La Corte triestina aveva in tal modo omesso di pronunciare ex art. 112 c.p.c., sull’an debeatur dell’assegno, per un giudizio che avrebbe dovuto essere informato al principio di auto-responsabilità economica di entrambe i coniugi. Data pubblicazione 03/12/2021 La motivazione resa era comunque apparente ed incomprensibile, in “aperto contrasto” con l’orientamento della Corte di legittimità. La Corte di merito aveva infatti mancato di fare applicazione della sentenza della Corte di cassazione n. 11504 del 2017 e quindi del principio secondo il quale l’onere di provare l’insussistenza di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive grava sulla richiedente, a cui i giudici di appello, invece, avevano riconosciuto l’assegno di divorzio per apprezzamenti presuntivi, fondati su comune esperienza e notorietà dei fatti.

La diversità di natura e presupposti dell’assegno divorzile e di quello di mantenimento fissato in sede di separazione avrebbe precluso alla Corte di merito, che invece in tal modo aveva operato, di giustificare la quantificazione dell’assegno di divorzio per un importo pari al doppio di quello fissato in sede di separazione.

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per il giudizio espresso dalla Corte d’appello sui redditi del ricorrente e sulla attendibilità e completezza delle relative dichiarazioni, omesse nei loro esiti.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ed omesso esame di fatti rilevanti per la decisione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il ricorrente si era adoperato per definire in via conciliativa il contenzioso, la resistente aveva proposto domande inammissibili ed esorbitanti e la Corte d’appello non aveva fatto applicazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimata nel dare definizione al contenzioso, con conseguenti ricadute in punto di disciplina delle spese di lite nel grado.

5. Il primo motivo è fondato nella parte in cui denuncia, con carattere di autosufficienza, l’omessa pronuncia in cui è incorsa la Corte triestina che, richiesta dall’appellante M., secondo conclusioni riportate nel ricorso per cassazione e comunque contenute nell’impugnata sentenza, di riformare il titolo di primo grado nella parte in cui aveva condannato l’odierno ricorrente, in difetto di domanda, al pagamento di un assegno di mantenimento in favore del figlio T., studente non autosufficiente, non vi aveva provveduto.

Si imputa alla Corte di merito la totale pretermissione del provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto, dato dalla eliminazione della statuizione adottata in primo grado sul mantenimento del figlio in difetto di domanda, senza che la decisione comunque adottata, in contrasto con la pretesa, possa valere al suo rigetto o all’affermazione della sua non esaminabilità (vd., Cass. 29/01/2021, n. 2151).

La Corte territoriale si diffonde infatti sull’ulteriore questione, di cui pure era stata investita, relativa all’assegno divorzile e non chiarisce, pertanto, di aver comunque esaminato il motivo di appello, relativo al capo della sentenza con cui si era condannato M. al pagamento dell’assegno di contributo per il mantenimento del figlio.

Il motivo è fondato nei termini indicati ed assorbito ogni ulteriore profilo, la sentenza impugnata in accoglimento della proposta censura va cassata.

6. Del secondo e terzo motivo deve darsi congiunta trattazione venendo per essi in valutazione il tema dell’assegno di divorzio e dei presupposti integrativi, nella disciplina dettata dalla norma di riferimento (L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6) e secondo l’interpretazione fornita da questa Corte.

L’odierno ricorrente ha contestato in appello l’intervenuto riconoscimento dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, F.S., e, solo in via subordinata, ne ha chiesto la riduzione nel dedotto miglioramento della situazione economico-patrimoniale dell’ex coniuge.

Il signor M. ricorre quindi dinanzi a questa Corte denunciando omessa decisione sul motivo di appello, per non avere i giudici territoriali pronunciato sul diritto all’assegno – in applicazione della regola dell’autoresponsabiltà economica di ciascun coniuge, da valere, giusta sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, sull’an debeatur – direttamente apprezzandone la relativa quantificazione.

7. I motivi sono fondati.

7.1. Difetta nella pronuncia impugnata – in applicazione del principio di autoresponsabilità che, affermato da Cass. n. 11504 del 2017, è stato poi ripreso dalle Sezioni Unite n. 18287 del 11/07/2018 – l’applicazione della regola per quale il richiedente deve provare l’inadeguatezza, ai fini del riconoscimento dell’assegno, dei mezzi avuti e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive e quindi la propria incolpevole inerzia nella ricerca di un’occupazione lavorativa.

7.2. Ne’ alla mancata osservanza dell’indicata regola la Corte triestina supplisce per richiamo alle “ragioni personali” che avrebbero sostenuto la scelta della richiedente l’assegno di non lavorare o, ancora, alla insufficienza, al fine di avviare la stessa verso un’attività lavorativa, di “conoscenze influenti da sfruttare”, trattandosi di mera deduzioni che, riferita alla condotta dell’ex coniuge obbligato, non soddisfa il richiamato onere della prova.

7.3. La Corte di merito perviene poi, ai fini della quantificazione della reclamata posta, ad un giudizio di inadeguatezza del reddito dell’ex coniuge richiedente con l’apprezzare, a tal fine, in modo erroneo, la rilevante sperequazione dei redditi degli ex coniugi in ragione dell’alto livello di vita goduto dall’obbligato.

Come precisato da questa Corte, la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno perché l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 09/08/2019, n. 21234).

8. Nella conducenza dei motivi proposti, la sentenza impugnata va pertanto cassata in applicazione della regola di giudizio che -ispirata al canone dell’autoresponsabilità ed autosufficienza economica degli ex coniugi, in affermazione della funzione, oltre che assistenziale, anche perequativa e compensativa dell’assegno divorzile, destinata a valere in ordine sia al riconoscimento che alla quantificazione (Cass. SU n. 18287 del 11/07/2018; Cass. n. 5603 del 28/02/2020) – vuole che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, accerti l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi (Cass. 09/08/2019 n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603).

Ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, infatti, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass. 08/09/2021, n. 24250).

La composizione della nuova regola di giudizio dà conto di un nuovo onere della prova a carico del richiedente l’assegno divorzile, in cui entra a far parte la perdita di occasioni professionali in ragione della scelta, maturata all’esito del matrimonio e condivisa con l’altro, di dedicarsi alle esigenze della famiglia, con sperequazione economico-reddituale degli ex coniugi.

9. La Corte di merito ha mancato di valutare se vi sia stata una scelta di non lavorare che abbia comportato per la richiedente la rinuncia ad occasioni di lavoro così da calibrare su tanto il riconoscimento dell’assegno nella funzione compensativa dallo stesso assolta e, quindi, la sua stessa quantificazione, ferma nel resto la valutazione dell’età nella connessa impossibilità di un attuale collocamento nel mercato del lavoro, e la durata del matrimonio, per il rilievo avuto dall’impegno profuso nella conduzione familiare, il tutto in ragione della finalità retributiva assolta dell’assegno.

10. La sentenza impugnata anche in accoglimento del secondo e terzo motivo, in cui si contesta il diritto all’assegno divorzile e la quantificazione operata dal giudice di merito, va cassata in applicazione della nuova regola di diritto relativa a riconoscimento e quantificazione dell’assegno divorzile, per evidenze fattuali che, integrative della definita fattispecie, non risultano scrutinate nell’impugnata sentenza.

Come da questa Corte precisato, la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti, in virtù di un nuovo orientamento interpretativo, i termini giuridici della controversia così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio (Cass. 23/04/2019, n. 11178).

11. Il quarto motivo sulle spese resta assorbito.

12. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso ed assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trieste, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso ed assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trieste, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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