Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38355 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. II, 03/12/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 03/12/2021), n.38355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 18906/16) proposto da:

L.S., (C.F.: (OMISSIS)), P.A. (C.F.: (OMISSIS)),

P.M. (C.F.: (OMISSIS)) e P.M. (C.F.:

(OMISSIS)), tutti quali eredi di P.N., rappresentati e

difesi, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso,

dall’Avv. Maurizio Deplano e domiciliati “ex lege” presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, p.zza Cavour;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

pro-tempore, rappresentata e difesa “ex lege” dall’Avvocatura

Generale dello Stato e domiciliata presso i suoi Uffici, in Roma, v.

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 102/2016

(pubblicata il 17 febbraio 2016);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 settembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Carrato Aldo;

letta la memoria depositata dal difensore dei ricorrenti ai sensi

dell’art. 380- bis.1. c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 14 luglio 2004 l’Agenzia del Demanio conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cagliari, V. e P.N. chiedendo la loro condanna (o, quantomeno, del solo P.N.) all’immediato rilascio, in favore di essa attrice, dell’immobile registrato al n. 105 del reg. Mod. 23/D ubicato in località “Calamosca” di Cagliari (dando atto che l’immobile iscritto al n. 86 dello stesso reg. le era stato restituito con nota pervenuta l’11 ottobre 2001), nonché al pagamento degli indennizzi risarcitori dovuti per l’occupazione e l’utilizzazione abusiva degli stessi dal 1 gennaio 1990 fino alla data dell’effettivo rilascio nonché al pagamento dei danni ulteriori subiti dall’Amministrazione a causa del degrado dei beni dovuto alla mancata esecuzione di lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Si costituiva in giudizio P.N., il quale resisteva ed eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell’Agenzia del Demanio sostenendo che gli immobili in contestazione erano stati trasferiti alla Regione autonoma della Sardegna in virtù dell’art. 14 dello Statuto Regionale (approvato con la legge costituzionale n. 3/1948).

Il convenuto P.V. rimaneva contumace ma, appresone il suo sopravvenuto decesso, l’attrice riassumeva in prosecuzione il giudizio nei confronti dei suoi eredi P.N., A.M., G.A.N. e P.C., i cui ultimi tre rimanevano contumaci.

All’esito della compiuta istruzione probatoria (nel corso della quale era espletata anche c.t.u.), il Tribunale adito accoglieva la domanda e, per l’effetto, condannava il P.N. al rilascio del citato immobile registrato con il n. 105 del Reg. Mod. 23/D e condannava lo stesso, unitamente a P.V., G.A. e C., alla corresponsione dell’importo di Euro 261.568,24, a titolo di risarcimento dei danni, oltre interessi legali dalla decisione al saldo, regolando le spese giudiziali in base al principio della soccombenza.

2. Interposto appello da parte di P.N. e nella costituzione della sola Agenzia del Demanio e di P.C. (la quale eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo di aver rinunciato all’eredità di P.V.), la Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 102/2016 (pubblicata il 17 febbraio 2016), in parziale riforma dell’impugnata decisione, condannava P.N. a rilasciare in favore dell’Agenzia del Demanio il bene dedotto in giudizio (ancora oggetto di contestazione), dichiarava il difetto di legittimazione passiva di P.C., condannava P.N., G.A.N. e A.M. a corrispondere alla predetta Agenzia la somma di Euro 75.100,70, oltre interessi legali dalla sentenza di primo grado al saldo sulla somma di Euro 68.696,77 e agli interessi legali dalla decisione di appello al saldo sull’importo di Euro 6.403,93. Condannava, inoltre, gli appellati, in solido, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, ad eccezione del rapporto processuale instauratosi tra P.C. e l’Agenzia del Demanio, con riferimento al quale disponeva la compensazione delle spese.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte sarda rilevava la sussistenza dei caratteri della demanialità marittima dei cespiti in questione, considerava infondata la difesa dell’appellante P.N. circa il prospettato trasferimento dei contestati immobili in favore della Regione autonoma Sardegna, riduceva gli importi dovuti a titolo risarcitorio per l’accertata occupazione abusiva di detti cespiti e ravvisava la fondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva di P.C., per mancata sua accettazione dell’eredità di P.V..

3. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre complessi motivi, L.S., P.A., P.M. e P.M., tutti nella qualità di eredi di P.N. (già appellante).

Ha resistito con controricorso l’Agenzia del Demanio, contenente anche ricorso incidentale riferito ad un unico motivo.

In un primo momento il ricorso veniva fissato per la sua definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis 1. c.p.c., ma all’esito della relativa adunanza camerale del 18 febbraio 2021 il collegio rilevava che il ricorso non era stato notificato alle altre parti ( P.C., P.G.A.N. e P.A.M.) del giudizio di appello (costituite e non), che, peraltro, non erano state nemmeno indicate nel ricorso stesso, ragion per cui, con ordinanza interlocutoria in pari data, veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei predetti, concedendosi apposito termine per il conseguente adempimento.

La difesa dei ricorrenti ha provveduto tempestivamente in conformità all’ordine di integrazione del contraddittorio e, di conseguenza, è stata rifissata l’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c., in prossimità della quale la difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti, nella qualità di eredi di P.N., hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 163, comma 3, nn. 3 e 4, c.p.c. ed eventualmente dell’art. 345 c.p.c., sul presupposto che, a fronte della pretesa iniziale dell’Agenzia del Demanio riferita all’accertamento della demanialità degli immobili siti in Cagliari alla località “(OMISSIS)” registrati ai nn. 86 e 105 del registro modello 23/D, con la conseguente condanna dei convenuti al rilascio del secondo (poiché l’altro era stato restituito già in data 28 marzo 2002) al correlato risarcimento del danno, la Corte cagliaritana aveva, con l’impugnata sentenza, proceduto al mutamento della “causa petendi” dell’originaria domanda, ravvisando che la suddetta Agenzia aveva, in effetti, chiesto la restituzione dell’immobile ancora controverso sulla base di un titolo possessorio e non il suo rilascio previo accertamento di un diritto dominicale.

2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione della L. Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, art. 14 (recante “Statuto speciale della Regione Sardegna”), sostenendo che la Corte territoriale aveva errato nel rilevare che, seppure ai sensi dell’art. 14 del citato Statuto regionale non potesse dubitarsi che il trasferimento della proprietà del conteso immobile si era venuto a verificare “ope legis” alla data della sua entrata in vigore e che il procedimento previsto dal successivo art. 39 fosse soltanto finalizzato alla consegna ed all’immissione dell’ente regionale nel possesso dei beni, in difetto della realizzazione di quest’ultimo procedimento il possesso e la disponibilità dello stesso immobile oggetto di controversia, se anche di proprietà della Regione Sardegna, era rimasto legittimamente nella sfera gestionale dello Stato, che aveva continuato ad amministrarlo, utilizzandolo direttamente o concedendolo in uso a terzi.

3. Con la terza doglianza i ricorrenti hanno lamentato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 del c.d. codice della navigazione e dell’art. 822 c.c., congiuntamente alla violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, all. E, sull’abolizione del contenzioso amministrativo, prospettando che, nel caso di specie, non potendo il bene oggetto ancora di controversia considerarsi assoggettato alla disciplina prevista per i beni demaniali, l’Agenzia del Demanio non aveva titolo per conseguire un risarcimento del danno per l’abusiva occupazione del bene stesso.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la controricorrente Agenzia del Demanio ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del D.L. 5 ottobre 1993, n. 4000, art. 8, conv., con modif., nella L. 4 dicembre 1993, n. 494, in combinato disposto con la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 257, ponendo in risalto l’asserita erroneità della sentenza di appello nella parte in cui aveva ritenuto di non riconoscere la maggiorazione di cui alle denunciate norme poiché tardivamente richiesta solo in sede di memoria di replica nel giudizio di primo grado, senza, però, considerare che le predette norme individuavano delle disposizioni imperative, come tali applicabili d’ufficio dal giudice, con la conseguenza che la Corte sarda non avrebbe potuto limitarsi al riconoscimento del solo risarcimento ai sensi dell’art. 1591 c.c..

5. I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente siccome connessi, investendo la medesima questione.

Si osserva che, diversamente dalla prospettazione dei ricorrenti (quali eredi di P.N.), l’Agenzia del Demanio non ha affatto proposto originariamente una domanda riferita all’accertamento della demanialità dei due beni immobili indicati in citazione (peraltro esclusa dalla Corte di appello sulla base della c.t.u., non rientrando nell’ambito dei cc.dd. beni appartenenti al demanio necessario ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 c.n.), bensì ha fatto valere una pretesa al rilascio del bene identificato con il n. 105 (essendo l’altro già stato volontariamente restituito in data 28 marzo 2002) nei confronti del convenuto per un suo difetto di titolo legittimante a godere della disponibilità dei due immobili, esercitando, quindi, non un’azione reale, bensì personale (congiuntamente a quella risarcitoria), fondata sul presupposto fattuale che era venuto meno qualsiasi titolo in favore del convenuto-appellante, ovvero quello della scadenza delle pregresse assentite concessioni n. 84/1960 e n. 105/1978.

A tal proposito si osserva che nella giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Cass. n. 4416/2007; Cass. n. 26003/2010 e Cass. n. 884/2011) è stato chiarito che, in tema di difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e j’ del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l’insussistenza “ab origine” di qualsiasi titolo. In tale seconda ipotesi, la difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione, non è idonea a trasformare in reale l’azione personale proposta nei suoi confronti, atteso che, per un verso, la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta, per altro, la semplice contestazione del convenuto non costituisce strumento idoneo a determinare l’immutazione, oltre che dell’azione, anche dell’onere della prova incombente sull’attore, imponendogli, una prova ben più onerosa – la “probatio diabolica” della rivendica – di quella cui sarebbe tenuto alla stregua dell’azione inizialmente introdotta. Sulla base di questo inquadramento deve darsi atto che il convenuto, a fronte dell’impostazione della domanda iniziale in tal senso (e non mutata in appello, non avendo l’Agenzia del Demanio dedotto un titolo possessorio a base dell’azione di rilascio), si è limitato ad eccepire che, in effetti, gli immobili oggetto di causa si sarebbero dovuti considerare passati nella proprietà della Regione autonoma Sardegna a decorrere al 1948 (ovvero dall’approvazione, con legge costituzionale 10 marzo 1948, del relativo Statuto), senza far valere né un titolo giuridico a riscontro della disponibilità in capo a lui né agendo con un’azione di accertamento negativo della demanialità dei beni, e ciò ancorché la Corte di appello abbia ritenuto che, sulla scorta della c.t.u., le aree sulle quali insistevano gli immobili “de quibus” erano ricompresi nella perimetrazione del demanio marittimo definita con il verbale del 25 settembre 1915 e mai fatte oggetto di sdemanializzazione.

Il P.N., ritenendo che la proprietà pubblica dei beni era passata in capo alla Regione Sardegna, avrebbe potuto agire nei suoi confronti ove avesse dimostrato di essere titolare di un autonomo legittimo diritto di detenzione.

Il giudice di appello ha evidenziato, a sostegno di quanto appena detto, che la mera richiesta di disapplicazione del suddetto verbale da parte del P., pur volendo ritenersi implicitamente presupporre l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Agenzia del Demanio, non avrebbe potuto condurre al rigetto della domanda non avendo egli allegato né provato un proprio autonomo diritto alla disponibilità dei due beni dedotti in causa, né a titolo originario né a titolo derivativo, e ciò nemmeno nei confronti della Regione Sardegna (ove pure fosse rimasto dimostrato – come dal P. prospettato – che la proprietà dei beni era passata in capo a tale Regione).

Oltretutto, la Corte di appello ha appropriatamente posto in risalto che, ancorché l’art. 14 dello Statuto della Regione Sardegna ha previsto il trasferimento della proprietà “ope legis” dei beni (prima facenti capo allo Stato) dalla data della sua entrata in vigore, nondimeno per la produzione di tale effetto traslativo petitorio sarebbe stato necessario seguire la procedura prevista dall’art. 39 dello stesso Statuto, finalizzata alla consegna e all’immissione della Regione nel possesso dei beni. Con la conseguenza che, in difetto di questo successivo passaggio, la gestione dei beni era stata continuata ad essere esercitata dall’Amministrazione statale, utilizzandoli direttamente o concedendoli in uso a terzi, anche tramite provvedimenti concessori (nella fattispecie comunque scaduti in favore del P.).

Proprio per la posizione difensiva assunta dal P. l’azione personale di rilascio dell’Agenzia del Demanio non si era venuta a trasformare in un’azione reale di rivendicazione (cfr., in proposito, Cass. SU n. 7305/2014).

6. Anche il terzo motivo del ricorso principale è privo di fondamento e va rigettato.

Con questa doglianza i ricorrenti insistono ancora sull’insussistenza della demanialità dei beni controversi, sostenendo, perciò, che l’Agenzia non avrebbe titolo a chiedere l’indennizzo per l’illegittima protrazione della detenzione da parte del loro dante causa una volta scaduti i titoli concessori.

Ma la Corte di appello, proprio perché ha ritenuto che l’azione andasse ricondotta a quella di rilascio, ha considerato correttamente applicabile l’art. 1591 c.c. (v. Cass. n. 15301/2000 e Cass. n. 9977/2011), in quanto era rimasto comprovato che il P.N. aveva continuato a detenere i beni senza alcun (ulteriore) idoneo titolo giuridico, a seguito della scadenza delle concessioni, donde la legittimità della pretesa della P.A. a conseguire l’invocato indennizzo a decorrere – secondo la sua prospettazione – dal 1 gennaio 1990, poiché la precedente concessione n. 84 del 1960 era stata rinnovata fino al 31 dicembre 1989, per essere venuta definitivamente a scadere (e ciò nonostante il P. era rimasto nella detenzione degli immobili senza più alcun titolo giustificativo).

Correttamente, poi, il giudice di appello ha commisurato – in base alla univoca giurisprudenza di questa Corte – l’indennizzo all’importo (computato sulla base di c.t.u.) corrispondente ai canoni che l’Agenzia del Demanio avrebbe ricavato ove avesse dato successivamente i beni in concessione, tenendo conto che l’occupazione “sine titulo” del P.N. si era protratta per l’immobile n. 86 dal 1 gennaio 1990 al 28 marzo 2002 e per l’immobile n. 105 dal 1 gennaio 1990 all’attualità.

Va in proposito ricordato che, in tema di mancata riconsegna di un’area demaniale, oggetto di concessione non rinnovata alla scadenza, trova applicazione la disposizione di cui all’art. 1591 c.c., essendo espressione di un principio riferibile a tutti i tipi di contratto con i quali viene concessa l’utilizzazione del bene dietro corrispettivo, allorché il concessionario continui ad utilizzare il bene oltre il termine finale del rapporto senza averne più titolo; alla natura contrattuale della relativa responsabilità consegue, altresì, che il risarcimento del danno, provocato dal citato inadempimento, si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c. e non in quello, quinquennale, di cui agli artt. 2947 c.c., comma 1, (non versandosi in materia di fatto illecito extracontrattuale) ovvero art. 2948 c.c., comma 1, n. 3, (che ha riguardo ai corrispettivi del godimento della cosa).

E’ altresì pacifico che, in materia di mancata riconsegna di un’area demaniale, oggetto di concessione non rinnovata alla scadenza ovvero revocata, il danno è da ritenersi sussistente “in re ipsa” e va commisurato al presumibile valore locativo dell’immobile illegittimamente occupato, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene stesso; ne consegue – come già posto in risalto – che trova applicazione, in via analogica, il criterio di valutazione previsto dall’art. 1591 c.c., espressione di un principio riferibile a tutti i tipi di contratto con i quali viene concesso il godimento di un bene dietro corrispettivo, allorché il concessionario lo continui ad utilizzare oltre il termine finale del rapporto senza averne più il titolo (cfr, da ultimo, Cass. n. 20708/2019).

7. L’unico motivo di ricorso incidentale formulato dall’Amministrazione controricorrente e’, invece, fondato e deve essere accolto.

La Corte di appello ha ravvisato l’inammissibilità della richiesta della odierna controricorrente circa l’applicabilità della maggiorazione del 200% prevista dal D.L. n. 400 del 1993, art. 8, conv. nella L. n. 494 del 1993 siccome formulata tardivamente, ovvero solo in sede di memoria di replica nel giudizio di primo grado. L’Agenzia del Demanio non contesta la suddetta circostanza della formulazione tardiva di tale richiesta, ma deduce che la Corte di appello avrebbe dovuto applicare d’ufficio detta norma in quanto di natura imperativa.

Ritiene il collegio che questa tesi è meritevole di adesione perché, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 16491/2017), gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo di beni e pertinenze del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, ovvero per le utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati dal D.L. n. 400 del 1993, art. 8 (conv., con modif., dalla L. n. 494 del 1993) in misura pari ai canoni di concessione, con una maggiorazione del duecento o del cento per cento, la cui applicazione è automatica e disposta per legge con finalità sanzionatorie, sicché è esclusa qualsiasi valutazione discrezionale del giudice fondata sulla maggiore o minore gravità della singola fattispecie.

A questo principio dovrà, quindi, uniformarsi il giudice di rinvio, procedendo ai conseguenti relativi ricalcoli.

8. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente svolte, deve essere integralmente respinto il ricorso principale e va, invece, accolto l’unico motivo di ricorso incidentale, con la conseguente cassazione, per quest’ultima parte, dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico dei totalmente soccombenti ricorrenti principali, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed accoglie quello incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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