Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38326 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. I, 03/12/2021, (ud. 29/09/2021, dep. 03/12/2021), n.38326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24531/2016 proposto da:

Stretto di Messina S.p.a. in Liquidazione, in persona del commissario

liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via A.

Gramsci n. 36, presso lo studio dell’avvocato Cataudella Antonino,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Amagliani

Roberto, Pecorario Roberto, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A.M., V.G., V.A., quest’ultima sia in

proprio che quale procuratrice generale di V.C.,

elettivamente domiciliate in Roma, Via Crescenzio n. 62, presso lo

studio dell’avvocato Nicolosi Flavio, rappresentate e difese

dall’avvocato Briguglio Carmelo, giusta procura in calce al

controricorso;

-controricorrenti –

avverso la sentenza n. 434/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 14/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 434/2016 pubblicata il 14-7-2016, la Corte d’Appello di Messina ha dichiarato tenuta la s.p.a. Stretto di Messina alla corresponsione in favore degli attori C.A.M., V.G., V.C. e V.A. dell’indennizzo D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 39 e ha condannato la società al pagamento della somma di Euro 230.000,00 in favore degli attori, oltre agli interessi legali sulla suddetta somma dalla scadenza di ciascun anno di reiterazione sino al soddisfo. La Corte territoriale, dopo aver premesso che il vincolo era stato apposto per la prima volta con l’approvazione del progetto preliminare di cui alla Delib. CIPE n. 66 del 2003 e reiterato con Delib. CIPE 30 settembre 2008, a decorrere dal 5 novembre 2008 con scadenza nel novembre 2013, ha ritenuto dimostrato il pregiudizio derivante da perdita di appetibilità del complesso alberghiero a fini locativi, perché l’immobile era stato locato fino al 2005 e successivamente solo nel 2011 la proprietà aveva stipulato un nuovo contratto con la Frarò s.r.l..

2. Avverso questa sentenza la s.p.a. Stretto di Messina propone ricorso affidato a tre motivi, resistito con controricorso da C.A.M., V.G., V.C. e V.A..

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1, c.p.c.. Le controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 e dell’art. 12 disp. gen., comma 1 lamentando: i) con il primo motivo che la Corte d’appello abbia accertato non un danno effettivo, ossia concretamente verificatosi, ma la prospettiva di un danno astratto, consistente nella generica minore appetibilità locativa del bene; ii) con il secondo motivo che la Corte di merito abbia adottato un criterio di calcolo dell’indennizzo contrario alla ratio del citato art. 39, tenendo in conto, sia pure a partire dal momento della reiterazione del vincolo, la perdita di v. locativo già subita dal complesso immobiliare con l’apposizione del vincolo, ed invece l’apposizione del vincolo non può far nascere automaticamente un diritto del proprietario dell’immobile ad indennizzo; con il terzo motivo che la sentenza abbia adottato un criterio astratto di calcolo del danno, avendo la Corte di merito condiviso il criterio proposto dal CTU, secondo il quale “il ristoro va in realtà rapportato all’importo differenziale tra il valore del bene all’accensione del vincolo (5/11/2003) ed il valore residuale alla fine del periodo di franchigia (4/11/2008). Il criterio di calcolo -secondo recenti riscontri giurisprudenziali – è pertanto quello del conteggio dei frutti civili (interessi legali e rivalutazioni monetarie) maturati su quell’importo dal 4/11/2008 ad oggi”; ad avviso della ricorrente il criterio di quantificazione del danno adottato assume per scontata la produttività del bene prescindendo dall’accertamento di concrete occasioni di utilizzo dello stesso, pacifico essendo che il vincolo, apposto nel 2003, non aveva precluso ai proprietari l’uso del complesso immobiliare, ossia di gestirlo direttamente o di locarlo, nonché potendosi supporre che lo stesso vincolo, in assenza di prova sul punto incombente ai proprietari, non avesse provocato riduzioni della clientela, data la bellezza del luogo e l’efficienza dell’organizzazione alberghiera, restando a tal fine indifferente il fatto futuro ed eventuale della cessazione dell’attività alberghiera per la realizzazione dell’opera pubblica.

2. I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati.

2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio e qui ribadito, in tema di indennizzo per reiterazione di vincolo espropriativo non si richiede al privato di fornire la prova di aver subito un danno ingiusto, dal momento che allo stesso compete un indennizzo per il sacrificio sofferto in conseguenza di un atto lecito della P.A., e non il risarcimento del danno conseguente ad un atto illecito (Cass. n. 12468/2018).

Premesso che i profili attinenti alla spettanza e al pagamento dell’indennità per i vincoli scaduti e reiterati, di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 9 riguardano questioni di carattere patrimoniale, devolute alla cognizione della giurisdizione civile (in tal senso, Cons. di Stato, sez. IV, n. 4143 del 2013, in linea con Cass., sez. un., n. 11097 del 2006), occorre rimarcare che il legislatore, introducendo l’art. 39 del D.P.R. 2001, è intervenuto a disciplinare la materia in coerenza con le indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, la quale ha evidenziato che “l’esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell’indennità non esclude che – anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità – il giudice competente sulla richiesta di indennità, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo”.

Da queste essenziali indicazioni è dato chiaramente desumere che la reiterazione dei vincoli scaduti, preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi, è considerata legittima, purché sia riconosciuta una indennità che ripaghi i proprietari della diminuzione del valore di scambio o di utilizzabilità dei loro beni, individuando in tal modo, nella pur legittima attività della P.A., l’esistenza, in linea di principio, di un pregiudizio non tollerabile dal singolo, nel rispetto dell’art. 42 Cost., comma 3, e per questo indennizzabile sulla base di un meccanismo sostanzialmente automatico (Cass. n. 8530 del 2010), che è tipico della responsabilità da atto legittimo e distante dalle tecniche di tutela proprie della responsabilità civile da atto illegittimo. Infatti lo stesso art. 39, al comma 2, prevede che, di regola, “negli atti che determinano gli effetti di cui al comma 1” (impositivi della reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio o sostanzialmente espropriativo) debba essere prevista la corresponsione dell’indennità; in mancanza, l’autorità che ha disposto la reiterazione è “tenuta a liquidare l’indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla.

Secondo quanto statuito dal Giudice delle leggi con la citata sentenza, ai privati va riconosciuto un ristoro che deve essere “non necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico per una serie di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, (…) commisurato o al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione del prezzo (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo” (Corte Cost. n. 179 del 1999 citata). La diminuzione del prezzo di mercato, locativo o di scambio, è oggetto di un accertamento tecnico cui sono tenuti la P.A., già nella fase di reiterazione del vincolo, e poi il giudice, che è investito della domanda del privato nei casi in cui la P.A. non vi provveda o vi provveda in misura ritenuta inadeguata (cfr. Cass. n. 12468/2018 citata).

2.2. Ribadito, dunque, che il pregiudizio da atto legittimo è indennizzabile sulla base di un meccanismo sostanzialmente automatico, nel caso di specie la Corte di merito si è attenuta al suesposto orientamento, ha accertato, con motivazione adeguata, la diminuzione del prezzo di mercato locativo ed ha adottato un criterio di liquidazione coerente con i principi di cui si è detto e rispettosa dei parametri normativi, ossia ha assunto come parametro-base di calcolo l’importo pari alla differenza del valore del compendio alberghiero dall’apposizione del vincolo e su detto importo ha riconosciuto i soli interessi legali con decorrenza dalla reiterazione del vincolo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza intra citata, ha indicato, quale parametro di rilevanza ai fini che qui interessano, la situazione giuridica antecentente all’iniziale imposizione del vincolo, non potendo il calcolo del ristoro prescindere anche da una valutazione del valore dell’area, incisa dal provvedimento di reiterazione. All’evidenza, infatti, è solo con riferimento a quella situazione, contrariamente a quanto assume parte ricorrente, che può quantificarsi il pregiudizio derivante dalla reiterazione del vincolo per la mancata disponibilità della pienezza delle facoltà dominicali in vista dell’esercizio del potere espropriativo della P.A., che ha mantenuto compresso il diritto di godimento del privato proprietario oltre il limite di legge.

I profili di censura diretti a sindacare la valutazione, effettuata dalla Corte di merito, di perdita di appetibilità, sotto il profilo locativo, del complesso alberghiero per effetto dell’apposizione del vincolo del 2003, e ciò in considerazione del fatto che, nel 2008, quando il vincolo era stato reiterato, l’immobile non era da alcuni anni utilizzato (secondo motivo), involgono, peraltro e sotto tale aspetto, questioni meritali insuscettibili di riesame in sede di legittimità.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro7.200,00, di cui Euro200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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