Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3831 del 16/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 16/02/2011), n.3831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13239-2007 proposto da:

D.L.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 124, presso lo studio dell’avvocato CIOTTI LUIGI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BAFFONE DI CERIOLI EMILIA S.N.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA F. CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato RUSSO EGIDIO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti e da ultimo

domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6605/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/06/2006 R.G.N. 10277/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato MELONI GUIDO per delega CIOTTI LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 15 giugno 2006, la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame svolto da D.L.P. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda per differenze retributive e TFR proposta nei confronti della snc La Baffone di Cerioli Emilia.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– la corresponsione delle mensilità supplementari e delle festività lavorate, reclamate in giudizio da D.L. per il rapporto di lavoro subordinato intercorso con la snc La Baffone, dal l.10.1981 a 25.6.1994, era risultata documentalmente provata con l’annotazione nei libri paga dell’azienda e nei modelli 101 firmati da D.L. a fine anno;

– l’indicazione della retribuzione annua riportata sul modello 101 doveva ritenersi attendibile per esserne la veridicità assicurata dalle sanzioni penali per la falsità e dalle maggiori ritenute fiscali dovute all’erario dal datore di lavoro in caso di esposizione di retribuzioni superiori;

– quanto al trattamento retribuivo per il lavoro festivo, il ricorrente non aveva provato quali e quante fossero state le festività lavorate;

– era risultata provata l’articolazione dell’orario lavorativo in sette ore di lavoro effettivo per cinque giornate e mezzo settimanali, detratto il tempo necessario per le pause pranzo e non provato, pertanto, il lavoro straordinario;

il conteggio prodotto in appello era superiore a quello allegato al ricorso introduttivo, nel cui computo era compreso anche il lavoro straordinario;

– sussisteva il dedotto trasferimento d’azienda, ricorrente anche in caso di mutamento del titolare – imprenditore individuale trasformatosi in società in nome collettivo -, pur restando inalterati struttura e fini dell’azienda;

– infine, quanto alla responsabilità solidale della società per i debiti anteriori al 1 giugno 1986, epoca in cui C.E. aveva ceduto l’attività imprenditoriale alla società La Baffone s.n.c., non era stato provato, fra gli elementi costitutivi del diritto di credito, l’elemento essenziale della reponsabilità dell’acquirente, id est l’iscrizione dei crediti, anteriori al 1986, nei libri contabili obbligatori.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, D.L. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimata, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha resistito con controricorso eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per genericità della procura alle liti e per violazione dell’art. 366-bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Preliminarmente osserva il Collegio che l’eccezione di inammissibilità del ricorso per genericità della procura alle liti – per aver il ricorrente delegato il difensore a rappresentarlo e difenderlo senza ulteriori specificazioni – è infondata. Il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, poichè in tal caso la specialità del mandato è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa si riferisce (ex multis, Cass. 26504/2009, 15692/2009, 3539/2008, 14611/2005; 5722/2002).

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in ordine alla valutazione dell’efficacia probatoria delle prove documentali per aver il giudice del gravame ravvisato la prova certa ed adeguata dell’adempimento dei diritti di credito azionati nella corrispondenza delle somme indicate nelle buste paga con le somme riportate in scritture unilaterali provenienti esclusivamente dal datore di lavoro (libri paga e modelli 101), sprovviste, pertanto, di valore documentale. Censura la decisione per essere incorsa nella violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2072 c.c., per non aver accertato la carenza di prova con riferimento al periodo lavorativo successivo a giugno 1984.

6. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 2112 c.c.. Censura la sentenza impugnata per non aver applicato la disposizione codicistica nella portata anteriore alla modifica introdotta con L. n. 428 del 1990.

7. Il Collegio ritiene entrambi i motivi inammissibili perchè l’illustrazione delle censure di violazione di legge non si conclude con la formulazione del quesito ex art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal citato Decreto Legislativo e in vigore fino al 14 luglio 2009 (cfr. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5).

8. Col secondo motivo il ricorrente denuncia erronea, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione delle risultanze istruttorie in merito al lavoro straordinario, al trattamento retributivo per lavoro festivo, al riconoscimento del diritto alle mensilità supplementari ed in ordine al pagamento del TFR. 9. Il Collegio ritiene inammissibile anche il secondo motivo. Questa Corte regolatrice, alla stregua della già citata formulazione dell’art. 366-bis c.p.c., è fermissima nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Nè è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso a ciò specificamente e riassuntivamente destinata. Conclusivamente, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 8897/2008; SU 20603/2007).

Il ricorso è, nella specie, totalmente privo di tale indicazione, onde deve dichiararsi rinammissibilità del motivo.

10. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 10,00, oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2011

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