Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3830 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/02/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 14/02/2020), n.3830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15081/2018 proposto da:

A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI

82, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA IANNOTTA;

– ricorrente –

contro

ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY RAPPRESENTANZA GENERALE PER

ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

ZURICH INVESTMENTS LIFE S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI

29, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO ALIBERTI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA FAUSTO

LAVIZZARI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 765/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/11/2017, R.G.N. 1058/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati GREGORIO ed ALESSANDRA IANNOTTA;

udito l’Avvocato ERNESTO ALIBERTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 765/2017, accogliendo in parte gli appelli principale e incidentale, proposti rispettivamente da A.L. e da Zurich Insurance Public Limited Company – Rappresentanza Generale per l’Italia – e da Zurich Investments Life s.p.a., dichiarava la nullità della sentenza di primo grado n. 3953/2014 emessa dal Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del lavoro, per contrasto insanabile tra la motivazione e il dispositivo della sentenza.

2. Il Tribunale, ritenuto legittimo il recesso di parte preponente, aveva proceduto ad una compensazione giudiziale tra i crediti dell’ A. a titolo di provvigioni e quanto dallo stesso dovuto alla preponente. Tuttavia, mentre nel dispositivo aveva emesso condanna dell’ A. al pagamento di Euro 8.631,11, nella motivazione aveva disposto la condanna del predetto A. al pagamento, in favore della Zurich Ivestment Life, della somma di Euro 431.559,76 corrispondente alle appropriazioni indebite commesse dall’agente.

3. La Corte di appello, dichiarata la nullità della sentenza e rilevato che non si verteva in ipotesi di rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c., pronunciava nel merito della domanda, accertando che:

– era dimostrato dalla documentazione in atti che la revoca del mandato per giusta causa era dovuta al fatto che l’agenzia di cui il ricorrente era titolare a (OMISSIS) aveva emesso la polizza (OMISSIS) superando i limiti dell’autonomia riconosciuta all’agente; l’ A. aveva fondato la sua difesa sulla circostanza che le modalità di emissione della polizza non potevano essergli addebitate in quanto riferibili a comportamento illecito di terzi e precisamente dell’impiegata che aveva apposto, a sua insaputa, la firma apocrifa sulla polizza in questione; in sede penale l’ A. era stato condannato in via definitiva per appropriazione indebita continuata e aggravata; la circostanza che fosse stato scagionato dall’accusa di avere sottoscritto la polizza comunque lasciava permanere in capo all’agente una responsabilità per culpa in vigilando;

– l’individuazione delle voci di credito e di debito era stata operata mediante c.t.u. contabile nel contraddittorio con i consulenti di parte; ne era risultato che l’appellante principale doveva essere condannato al pagamento, in favore delle società preponenti, detratta l’indennità di fine rapporto dovuta all’agente, delle seguenti somme: Euro 181.136,17 in favore di Zurich Insurance Public Company; Euro 114.151,44 in favore di Zurich Insurance Public Company, quali incorporante di International Italia S.p.A.; Euro 431.559,73 in favore di Zurich Investment Life s.pa.; Euro 3.630,11, in favore delle predette società, oltre interessi legali dal 28.4.2003 al saldo.

4. Per la cassazione di tale sentenza A.L. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. Hanno resistito con controricorso entrambe le società intimate. Sia il ricorrente che le resistenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè del principio che impone al giudice di pronunciarsi su tutte le domande ed eccezioni sollevate dalle parti e quindi anche sull’eccezione di decadenza e di inammissibilità dell’impugnazione incidentale sollevata dall’ A.. Si sostiene che la Corte d’appello aveva omesso di pronunciare in merito all’eccezione sollevata dall’appellante principale di decadenza e di inammissibilità dell’impugnazione incidentale proposta dalle società del gruppo Zurich. L’eccezione si basava sul rilievo che la memoria difensiva con appello incidentale era stata notificata presso il domicilio eletto dell’ A. solo in data 20 gennaio 2017 e che pertanto era abbondantemente decorso il termine annuale dalla pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta il 5 dicembre 2014.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 324,325,326,327,328,329 e 416 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c. e dei principi che regolano il giudicato in controversie assoggettate al rito del lavoro e che impongono alla parte di proporre la propria impugnazione su capi autonomi rispetto a quelli oggetto di impugnazione principale comunque entro e non oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di principi e norme che regolano la giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia (art. 12 dell’accordo nazionale agenti) nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè dei principi e norme che impongono al giudice di valutare le prove acquisite al giudizio nonchè violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e di principi e regole impongono la corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c.. La Corte territoriale avrebbe dovuto limitare l’indagine all’accertamento dell’emissione della polizza da parte del cessato agente e verificare se siffatto addebito potesse o meno radicare la giusta causa di recesso, senza esaminare fatti ulteriori e successivi.

5. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

6. Innanzitutto, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o dell’eccezione formulata dalla parte (Cass. n. 20718 del 2018). Nonostante la mancanza di una espressa statuizione su un’eccezione proposta dalla parte, non ricorre l’omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sulla stessa e, in particolare, è da ravvisare un rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nel caso in cui la sentenza abbia valutato nel merito i motivi posti a fondamento di tale gravame (cfr., tra le tante, Cass. n. 29191 del 2017 e n. 5351 del 2007).

6.1. La Corte di appello, esaminando il merito dell’appello incidentale, ne ha implicitamente ritenuto l’ammissibilità.

6.2. Nè l’appello incidentale può ritenersi non tempestivo, essendo stati rispettati i termini di cui all’art. 436 c.p.c., relativamente alla sua notificazione e al suo deposito, come è ammesso anche dall’odierno ricorrente.

7. Argomenta parte ricorrente che l’appello incidentale, da ritenere autonomo tardivo, avrebbe dovuto rispettare il termine annuale ex art. 327 c.p.c., dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, avvenuta il 20 gennaio 2014. La censura è infondata.

7.1. In base al combinato disposto di cui agli artt. 334,343 e 371 c.p.c., è ammessa l’impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l’atto di costituzione dell’appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, e persino se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta nelle citate disposizioni, dovendosi individuare, quale unica conseguenza sfavorevole dell’impugnazione cosiddetta tardiva, che essa perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile (Cass. n. 14609 del 2014, conf. Cass. 29593 del 2018). Dunque, la parte cui sia stata notificata l’impugnazione avversaria è legittimata alla proposizione – nel rito del lavoro non meno che in quello ordinario – della propria impugnazione incidentale tardiva, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 1, anche avverso capi di sentenza autonomi rispetto a quelli investiti dal gravame principale, ma pur sempre nel rispetto dei termini e delle modalità stabilite per l’impugnazione incidentale (v. Cass. n. 2145 del 1994). Tale orientamento trae fondamento dal principio per cui la prima impugnazione costituisce il processo nel quale debbono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, sicchè l’appello principale successivo ad altro appello si converte in appello incidentale. Tale principio è generale e si estende al processo del lavoro, anche in questo rito operando la conversione dell’impugnazione, purchè sia rispettato il termine per l’appello incidentale ex art. 436 c.p.c. (cfr. Cass. 2026 del 2012).

7.2. In conclusione, resta ammissibile, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., l’impugnazione tardiva e con l’appello incidentale possono essere proposti motivi anche autonomi rispetto a quelli oggetto dell’appello principale, sempre entro il termine di cui all’art. 436 c.p.c., nella specie rispettato.

8. Con il terzo e il quarto motivo si ripercorre la vicenda giudiziaria che, ad avviso del ricorrente, dimostrerebbe la completa estraneità dello stesso alla stipulazione della polizza (OMISSIS). Il ricorrente deduce inoltre l’inosservanza del principio della necessaria contestazione immediata, sia pure sommaria, delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa, in quanto le compagnie mandanti, venute a conoscenza del fatto (successivamente posto a base del recesso), non solo non avevano proceduto all’immediata contestazione, ma avevano consentito all’agente di continuare ad esercitare attività in nome e per conto delle preponenti per oltre tre mesi. Si deduce inoltre che, a base della giusta causa di recesso, era stato posto il solo fatto dell’asserita emissione della polizza, ossia un fatto che in sede penale era stato escluso fosse riconducibile direttamente al ricorrente. Quanto all’eventuale omessa vigilanza sull’operato dei collaboratori, si trattava di questione che non doveva e non poteva trovare ingresso come thema decidendum del processo per la violazione dell’art. 112 c.p.c..

8.1. Tutte le censure sono infondate. In merito alla immediatezza della reazione da parte delle preponenti, la Corte di appello ha motivato il proprio giudizio con valutazione argomentata e coerente (v. pag. 8-9 sent. imp). Il ricorso tende ad una inammissibile rivalutazione del merito dei fatti.

8.2. Quanto alla seconda censura, non risulta dalla sentenza impugnata che l’odierno ricorrente abbia mai sollevato eccezioni relative al mutamento dei fatti posti a base del recesso. Piuttosto, va osservato che l’emersione in giudizio di una responsabilità per fatti ascrivibili ai propri dipendenti era scaturita proprio alle difese svolte dall’ A., che ebbe a contestare di avere apposto la sottoscrizione della polizza imputando il fatto ad una impiegata che lavorava presso l’agenzia alle sue dipendenze. La vicenda, come accertata in giudizio, integrava comunque un’ipotesi di giusta causa di recesso, avendo la sottoscrizione di detta polizza causato un grave danno alle preponenti.

9. In punto di fatto, la Corte di appello ha evidenziato che l’assoluzione dall’accusa di falso relativamente alla sottoscrizione della polizza non valeva ad escludere che la polizza fosse stata emessa proprio dall’Agenzia di cui era titolare l’ A. e fosse stata portata per l’autentica della sottoscrizione da parte dell’agente all’attenzione del notaio. Nè dalle risultanze di causa era possibile affermare che i dipendenti dell’ A., nello stipulare la polizza, avessero agito a sua insaputa, anche alla stregua della deposizione dei testi nel lunghissimo procedimento penale (pagg. 6-7 sent. imp.).

9.1. In punto di diritto, ove pure (in ipotesi) fosse accreditabile la tesi difensiva della sottoscrizione della polizza da parte della dipendente dell’ A., resta immune da qualsiasi vizio logico o giuridico la soluzione interpretativa della Corte di appello, in quanto fondata sul presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito e il proprio datore di lavoro e sul collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, avendo la sentenza accertato che il contegno integrante l’illecito era stato compiuto o comunque reso possibile sotto il potere di controllo del datore di lavoro.

9.2. Infine, non vi è stato alcun mutamento dei fatti, in quanto il medesimo episodio (emissione di una polizza oltre i limiti consentiti) è risultato effettivamente commesso e ritenuto riferibile alla responsabilità dell’agente, anche se la sottoscrizione della polizza era avvenuta con firma apocrifa. L’appropriazione indebita di ingenti somme scaturenti dagli illeciti accertati in sede civile e penale è circostanza idonea a sostenere la giusta causa di recesso.

10. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 15.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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