Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38284 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. II, 03/12/2021, (ud. 07/09/2021, dep. 03/12/2021), n.38284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2390-2017 proposto da:

C.G., R.F., rappresentati e difesi

dall’avv. LUCA MONTEMAGGI;

– ricorrenti –

contro

N.A.M., N.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 980/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/09/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.F. e C.G. citarono in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, N.A.M. e N.P., per chiedere la riduzione del prezzo di un complesso immobiliare dai medesimi acquistato, con atto di compravendita del 6.3.1999, per assenza delle qualità essenziali del bene compravenduto in quanto una parte del complesso edilizio era privo di regolarità urbanistica. Gli attori dedussero che alcune irregolarità non erano sanabili perché successive al 1967 e chiesero altresì il risarcimento dei danni.

1.1. I convenuti si costituirono ed eccepirono la prescrizione dell’azione ex art. 1495 c.c.

1.2. Il Tribunale di Grosseto qualificò la domanda come azione di garanzia ed accolse l’eccezione di prescrizione in quanto la scoperta dei vizi risaliva al 23.8.2004, data di notifica dell’ordinanza del Dirigente del Comune di Scanzano di sospensione dei lavori; inoltre, già nel 2006 era stato avviato il procedimento penale nei loro confronti per le violazioni edilizie riscontrate mentre il primo atto interruttivo della prescrizione era tardivamente avvenuto con lettera raccomandata a/r del 23.7.2008, dopo la scadenza del termine annuale di prescrizione.

1.2. R.F. e C.G. proposero appello deducendo di aver avuto conoscenza delle irregolarità urbanistiche solo nel 2008, quando vi era stata la richiesta di annullamento del Programma di Miglioramento Agricolo Ambientale, presentato ai sensi della L.R. Toscana n. 1 del 2005, art. 41. Contestarono che la domanda ex art. 1489 c.c. costituisse emendatio o mutatio libelli in quanto i fatti storici posti a fondamento della domanda erano stati dedotti negli atti introduttivi.

1.4. Instauratosi il contraddittorio con la costituzione dei convenuti, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 14.6.2016 respinse l’appello.

1.5. La Corte d’appello accertò che la scoperta dei vizi era avvenuta nel 2004 quando il Dirigente del Comune di Scansano aveva notificato l’ordine di arresto dei lavori e la riduzione in pristino del vano magazzino; era seguita, nel 2006, la notifica del decreto di citazione a giudizio da parte della Procura della Repubblica di Grosseto per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) del in relazione all’abuso edilizio riguardante il magazzino.

1.6. Quanto alla domanda ex art. 1489 c.c. di riduzione del prezzo, la corte osservò che gli attori, pur richiamando l’art. 1490 c.c., avevano dedotto che il bene era privo delle qualità essenziali per la presenza di irregolarità urbanistiche del magazzino ed avevano chiesto la riduzione del prezzo ed il risarcimento dei danni, consistenti nei costi sostenuti per il procedimento di sanatoria, per la demolizione della volumetria illegittima, oltre al lucro cessante per la mancata redditività dell’azienda. La corte di merito accertò che gli abusi per i quali era stata emessa la determina dirigenziale di sospensione dei lavori e per i quali era stata effettuata la segnalazione all’Autorità Giudiziaria non erano stati commessi dalla parte venditrice ma dagli acquirenti, trattandosi di opere realizzate in difformità dalla DIA dai medesimi presentata in data 27.9.1999, dopo la conclusione del contratto. Secondo la corte di merito, quindi, nessuna responsabilità era addebitabile ai venditori poiché il provvedimento comunale di sospensione riguardava la violazione della DIA presentata dagli acquirenti.

1.7. Il fatto che il preesistente abuso conseguente alla violazione del permesso a costruire del 1973 avesse comportato per i ricorrenti oneri maggiori per il conseguimento della sanatoria, rilasciata nel 2009, e minori vantaggi rispetto a quelli che si erano proposti di ricavare dalla realizzazione delle opere abusive non costituiva, secondo la corte distrettuale, un danno di cui la parte venditrice poteva essere chiamata a rispondere; ciò in quanto la responsabilità della parte venditrice sussiste solo ove persista il potere repressivo della Pubblica Amministrazione in ordine all’abuso commesso e non invece quando l’esercizio repressivo abbia ad oggetto violazioni diverse commesse dalla parte acquirente ed abbiano influito solo sull’ottenimento della sanatoria.

2. Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso R.F. e C.G. sulla base di due motivi.

2.1. Grosseto N.A.M. e N.P. non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la “corretta individuazione del fatto lesivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, che riguarderebbe non le opere realizzate dagli acquirenti ma quelle realizzate dai venditori, oggetto del permesso di costruire del 1973. Sostengono i ricorrenti che, diversamente da quanto accertato dalla corte di merito, il manufatto in muratura era antecedente alla vendita e difforme rispetto alla concessione edilizia, in contrasto con le dichiarazioni rilasciate dai venditori in ordine all’epoca della sua realizzazione.

1.1.Il motivo non è fondato.

1.2. La corte di merito ha esaminato il fatto storico, decisivo per il giudizio, relativo alla individuazione e distinzione tra le opere abusive preesistenti alla vendita e quelle commesse dagli acquirenti, in relazione alle quali non poteva ipotizzarsi alcuna responsabilità.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la corte di merito escluso la sussistenza del danno sull’errato presupposto che, in relazione agli abusi commessi dai venditori, in seguito alla sanatoria non fosse più persistente il potere della pubblica amministrazione di applicare misure repressive. In particolare la corte di merito non avrebbe considerato che il vano magazzino in muratura, realizzato in violazione del permesso a costruire del 1973 era stato oggetto di sanatoria solo nel 2009, sicché fino a tale data poteva esserne disposta la demolizione con compromissione della commerciabilità del bene.

2.1. Il motivo non è fondato.

2.2. Il danno patrimoniale da mancato guadagno, per assenza di commerciabilità del bene fino all’ottenimento della concessione in sanatoria, unica voce di danno in questa sede contestata dai ricorrenti, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che essi avrebbero conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta; vanno, pertanto, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte o eventuali, essendo la liquidazione del danno ancorata ad un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito (Cassazione civile sez. VI, 08/03/2018, n. 5613).

2.3.Nel caso di specie, pur essendo stato accertato che il manufatto non era conforme al permesso di costruire del 1973 e che nel 2009 gli acquirenti ottennero la sanatoria, la Corte ha accertato che, una volta ottenuta la regolarizzazione, il bene non era soggetto al potere repressivo della Pubblica Amministrazione.

2.4.1 danni derivanti dalla situazione di incommerciabilità del bene fino all’ottenimento della concessione in sanatoria, a causa dall’abuso edilizio commesso dai venditori e taciuto al momento della conclusione del contratto, esigeva quindi una prova rigorosa, che, nella specie, secondo l’apprezzamento della corte di merito, non era stata fornita dagli attori.

2.5. Mancavano quindi, elementi certi ed oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità, e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (. Cass. 11 maggio 2010 n. 11353.).

3. Il ricorso va pertanto rigettato.

3.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 7 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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