Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38273 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. II, 03/12/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 03/12/2021), n.38273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10483-2016 proposto da:

M.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato PELLEGRINO

CAVUOTO, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Simona

Martinelli, in ROMA, V.le delle MILIZIE 4;

– ricorrente –

contro

Z.A., F.D., e F.A., rappresentate e

difese dall’Avvocato GINEVRA CERVONE, ed elettivamente domiciliate

presso il suo studio in NAPOLI, VIA A. TARI 22;

– controricorrenti –

nonché

Z.M., Z.D., Z.R., C.R.,

FR.AN.; Z.C., Z.G. e ZO.MI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 679/2015 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI,

depositata il 9/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/05/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato in data 21.4.1993, CA.EL., ved. Zo.Do., Z.A. fu Do., Z.C. fu Do., ZO.DO. fu D., nato il (OMISSIS), FR.AN., coniuge superstite della defunta Z.V. fu D., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori D. e A., Z.G. fu Gi. e ZO.MI. fu Gi., deducevano che con atto di donazione per notar I. del 7.10.1992 Zo.Do., nato il (OMISSIS), aveva donato al nipote M.P. dei beni che erano anche di loro proprietà, quali coeredi, in quanto provenienti dalla successione del Zo.Mi. (o Mi.), deceduto il (OMISSIS), che aveva lasciato eredi legittimi i figli Do., Gi., D., F. e I. e che parte dei beni di Zo.Mi. erano stati oggetto di divisione tra i germani Z..

Gli attori chiedevano di: 1) dichiarare il loro diritto di proprietà dei beni descritti nella consulenza di parte; 2) dichiarare illegittimo e nullo l’atto di donazione là dove disponeva dei diritti dei legittimari; 3) condannare M.P. al risarcimento dei danni provocato agli attori in conseguenza dell’atto di donazione illegittimo e per il comportamento non conciliante nella fase preliminare all’instaurazione del giudizio.

Si costituiva in giudizio M.P., il quale chiedeva il rigetto della domanda deducendo: di aver ricevuto dal nonno materno, Zo.Do., un fabbricato con annesso terreno, che il donante aveva a sua volta ricevuto in donazione dal padre Mi.; che Z.F. e Z.I., altri eredi di Zo.Mi., avevano rinunciato alle loro quote ereditarie in favore di Zo.Do.; che M.P. aveva comunque usucapito il fabbricato con annesso terreno per averne avuto dal proprio dante causa il possesso da più di venti anni. Spiegava, perciò, domanda riconvenzionale per la dichiarazione di intervenuto acquisto per usucapione in suo favore della proprietà del fabbricato e del terreno circostante di cui all’atto di donazione, in uno alla quota a lui spettante, quale erede di Zo.Mi., e di quelle spettanti a Z.F. e a Z.I. e di tutte le altre comunque usucapite.

Con separato giudizio il M., poiché il fabbricato sito in (OMISSIS) era stato occupato dalla nonna Ca.El. e, a seguito della morte della stessa, dalle zie A., C. ed Z.E., chiedeva la condanna di queste ultime alla restituzione in suo favore del bene.

I due giudizi venivano riuniti e, all’esito di istruttoria testimoniale e CTU, la causa riunita era decisa con sentenza n. 781/2010, depositata in data 1.4.2010, con la quale il Tribunale di Benevento accoglieva la domanda attorea in quanto riteneva sussistente il diritto di proprietà sui beni donati da Zo.Do. a M.P., perché essi facevano parte dei beni ancora indivisi tra i germani Z.; rigettava la domanda di nullità della donazione, perché essa si era validamente formata ma, trattandosi di beni futuri, ai sensi dell’art. 771 c.c., non poteva spiegare alcun effetto perché sottoposta a condizione sospensiva in quanto i beni donati non appartenevano al donante ma a tutti gli eredi Z.; rigettava la domanda di restituzione del bene occupato dalle figlie di Zo.Do., perché la donazione era inefficace; rigettava ogni altra domanda del convenuto e degli attori in relazione ad eventuali danni perché non provati; compensava tra le parti le spese di lite.

Avverso la domanda proponeva appello principale il M., al quale resistevano gli appellati, che proponevano altresì appello incidentale: Z.A., Z.C., C.R., Z.D., Z.R. (gli ultimi tre quali eredi di Zo.Do., nato il (OMISSIS)), FR.AN., F.D., F.A. (quali eredi di Z.V.), Z.G. e Z.M.. A seguito del decesso di Ca.El. e di Z.E., la citazione di appello era notificata agli eredi delle stesse e cioè a Z.M., Z.C., Z.A., quali eredi di Ca.El., nonché a Z.D. e Z.R. per rappresentazione del padre Zo.Do.An. e F.D. e F.A., per rappresentazione della madre Z.V., questi ultimi quattro quali eredi di Z.E. e di Ca.El.. Tali parti, pur già costituite in proprio, tranne Z.M., rimanevano contumaci quali eredi di Z.E. e di Ca.El..

Con sentenza n. 679/2015, depositata in data 9.2.2015, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva parzialmente l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata: a) dichiarava la parziale nullità dell’atto di donazione del 7.10.1992 limitatamente alla parte in cui aveva disposto delle p.lle 664, 887, 888, 889, 890, 308 con relativo fabbricato realizzato con i contributi del terremoto del 1980, di proprietà comune degli eredi di Zo.Mi.; b) accoglieva la domanda avanzata dal M. nei confronti di A., C. ed Z.E. e condannava le stesse alla restituzione del fabbricato sito sulla p.lla (OMISSIS) di esclusiva proprietà del M.; c) confermava il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione e di quella di risarcimento dei danni; d) confermava la pronuncia di compensazione delle spese di lite del giudizio di primo grado, compensando anche quelle del grado di appello.

In particolare, la Corte d’Appello rigettava, preliminarmente, l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancata integrazione del contraddittorio in relazione alla domanda di nullità della donazione, atteso che al processo risultavano aver comunque partecipato gli eredi del donante e non erano indicati da parte dell’appellante eventuali altri soggetti pretermessi.

Sempre in via preliminare rilevava che la domanda di riduzione della donazione non poteva ritenersi avanzata nell’atto di citazione. Quanto al primo motivo di impugnazione, rilevava che secondo il CTU il fabbricato di cui alla p.lla (OMISSIS) fosse di proprietà di Zo.Do., in quanto realizzato dal medesimo con il contributo statale del terremoto del 1962 sul suolo di risulta del fabbricato pervenuto al medesimo con atto di donazione per notar Me. dell’8.6.1936, mentre un secondo fabbricato contiguo era stato realizzato con i contributi del terremoto del 1980 su un’area corrispondente alle p.lle (OMISSIS), che non risultavano oggetto dell’atto di divisione notarile del 1965, per cui le stesse erano rimaste in comunione tra gli eredi. Ne’ le risultanze istruttorie erano sufficienti per ritenere sussistenti i presupposti dell’acquisto per usucapione di tali beni comuni, invocato dall’appellante. Inoltre, la donazione per le p.lle oggetto di comunione ereditaria, e ritenute non acquisite per usucapione, doveva ritenersi nulla e non inefficace come sostenuto dal Tribunale, apparendo infondato l’assunto secondo cui la donazione avrebbe dovuto intendersi sottoposta alla condizione sospensiva della futura assegnazione al donante, in sede di divisione, della proprietà esclusiva dei beni. Ciò in mancanza di qualsiasi allegazione che dimostrasse che le parti avessero voluto sottoporre gli effetti della donazione a tale condizione. Invece, la donazione dispositiva di beni altrui, con cui il donante intende produrre un effetto traslativo immediato, è nulla alla luce della disciplina della donazione. Infine, la domanda di risarcimento dei danni avanzata dagli attori era rimasta sfornita di prova.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione M.P. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resistono Z.A., D. e F.A. con controricorso. L’intimata Z.M. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente M. eccepisce la “Violazione del principio del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.”. Il ricorrente censurava in particolare che gli attori (attuali controricorrenti) non avessero convenuto in giudizio tutti gli eredi del donante Zo.Do.; e che la Corte d’appello (pur evocata in merito) non si fosse pronunciata direttamente sulla questione, limitandosi ad affermare che dal “complessivo impianto difensivo attoreo” si sarebbe presupposta una “petizione di eredità” con richiesta “della dedotta nullità della donazione”.

1.2. – Il motivo non è fondato.

1.3. – Il ricorrente deduceva che, essendo stata chiesta la nullità del titolo e cioè la nullità della donazione stipulata in favore di esso medesimo, fossero chiamati in giudizio tutti gli eredi di Zo.Do., compresa la signora Z.M., figlia dello stesso, evocata solo nel giudizio di appello, quale erede di Ca.El.. Infatti (avendo gli attori proposto una specifica e autonoma domanda di nullità della donazione e non avendo agito ai fini dell’esercizio della azione di riduzione) la stessa andava esercitata anche nei confronti degli eredi del de cuius.

A fronte di tale richiesta, la Corte distrettuale si era limitata ad affermare che fosse “rigettata l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, oggetto del secondo motivo di impugnazione principale, per mancata integrazione del contraddittorio in relazione alla domanda di nullità della donazione effettuata da Zo.Do. in favore di M.P., atteso che al processo risultano aver comunque partecipato gli eredi del donante e non sono indicati da parte dell’appellante ( M.), che ha eccepito la non integrità del contraddittorio, eventuali altri soggetti pretermessi” (sentenza impugnata pagg. 7 e 8).

2. – Questa Corte ha messo in evidenza, in termini generali, che “il litisconsorzio necessario ricorre oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe onde non privare la decisione dell’utilità connessa all’esperimento dell’azione proposta indipendentemente dalla natura del provvedimento richiesto, non essendo di per sé solo rilevante il fatto che la parte istante abbia richiesto una sentenza costitutiva, di condanna o meramente dichiarativa” (Cass. n. 23315 del 2020; conf. Cass. n. 11550 del 1998; Cass. n. 19804 del 2016). Pertanto, l’accertamento relativo alla sussistenza o meno di una situazione di litisconsorzio va piuttosto effettuata sulla base del petitum, ovvero in base al risultato perseguito dall’attore (Cass. n. 1940 del 2004).

In altre parole, “l’accertamento della natura costitutiva o dichiarativa dell’azione proposta non è argomento decisivo al fine di ammettere o, rispettivamente, escludere la necessità del litisconsorzio per ragioni di carattere sostanziale, dipendendo essa solo dal riscontro dell’esistenza di una norma di legge che lo imponga, o dalla impossibilità di adottare una pronuncia idonea a produrre gli effetti giuridici voluti senza la necessaria partecipazione al giudizio di determinati soggetti” (Cass. n. 7861 del 1994). Sicché, la regola generale, secondo la quale il giudizio di nullità di un negozio giuridico non deve necessariamente svolgersi nel contraddittorio di tutti (Cass. n. 1125 del 1966), va confrontata con la finalità del giudizio, quale emerge dal petitum in concreto formulato dall’attore (Cass. n. 23315 del 2020).

2.1. – Si pone il principio secondo cui la parte che denunci per cassazione la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c. ha l’onere d’indicare nominativamente, nel ricorso, le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell’integrità del contraddittorio, nonché di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a questi elementi, tale da non consentire alla Suprema Corte di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione (Cass. n. 10168 del 2018; Cass. n. 21256 del 2017; Cass. n. 6822 del 2013).

2.2. – Ciò posto, di deve rilevare che, a fronte del rilievo della Corte di appello, che “al processo risultano comunque aver partecipato gli eredi del donante e non sono indicati da parte appellante eventuali altri soggetti pretermessi” l’odierno ricorrente ha opposto, del tutto genericamente e senza apprestare alcuna documentazione, che erede di Zo.Do. sarebbe anche Z.M., che ha partecipato al giudizio di secondo grado, quale erede di Ca.El..

3. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 714 c.c., 1141 c.c. e 1158 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.; nonché l’omesso esame delle prove documentali e testimoniali decisive ai fini del giudizio”.

3.1. – Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, concernendo esso il merito delle varie domande di parte. Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata non avrebbe correttamente valutato le prove da lui offerte, interpretando erroneamente le risultanze di quelle documentali e di quella testimoniale.

3.2. – La prova del possesso ad usucapionem riguarda una mera situazione di fatto e perciò costituisce un giudizio rimesso al Giudice di merito incensurabile in sede di legittimità se motivato, come nella specie, in modo logicamente corretto.

Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta dalla sentenza impugnata, congrua e coerentemente supportata) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

4. – Il ricorso va quindi, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.100,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 maggio 2021 e, a seguito di riconvocazione, nella camera di consiglio, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

 

 

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