Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38268 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. II, 03/12/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 03/12/2021), n.38268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24480/2019 R.G. proposto da:

S.E., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Crotone, alla via Libertà, n.

27/B, presso lo studio dell’avvocato Assunta Fico, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1960/2019 del Tribunale di Catanzaro;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 7 gennaio 2021 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. S.E., cittadino della Nigeria, originario dell’Imo State, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel suo paese era stato sostenitore del “(OMISSIS)”, movimento pacifista che si adoperava per l’indipendenza della sua regione d’origine; che per tale motivo era stato vittima di persecuzioni e di minacce da parte dei membri della sua comunità; che, temendo per la sua vita, si era dapprima trasferito in Libia, ove era stato ridotto in condizioni di schiavitù, e dalla Libia aveva raggiunto l’Italia.

2. Nel corso dell’audizione dinanzi alla competente commissione territoriale riferiva di avere tendenze omosessuali, di aver avuto occasionalmente rapporti con altri uomini e di temere per la sua incolumità, in dipendenza della sua omosessualità, in ipotesi di rimpatrio.

3. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

4. Con decreto n. 1960/2019 il Tribunale di Catanzaro respingeva il ricorso proposto da S.E. avverso il provvedimento della commissione.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni rese dal ricorrente risultavano lacunose, generiche, stereotipate, per nulla specifiche e circostanziate, sicché erano da reputare senz’altro inattendibili.

Evidenziava che parimenti erano generiche ed inverosimili le dichiarazioni del ricorrente circa la sua asserita omosessualità.

Evidenziava altresì che il rapporto “E.A.S.O.”, risalente al febbraio 2019, non dava conto della sussistenza, nell’Imo State, Stato del sud della Nigeria, di situazioni di indiscriminata violenza.

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso S.E.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.

Deduce che ha errato il tribunale a reputare inattendibili le sue dichiarazioni, viceversa plausibili ed appieno coerenti con le informazioni riguardanti il suo paese d’origine.

Deduce che ben avrebbe dovuto il tribunale avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

Deduce quindi che ha errato il tribunale a negargli lo status di rifugiato.

7. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7 e 8.

Deduce che ha errato il tribunale a reputare inattendibili le sue dichiarazioni in ordine, segnatamente, al suo orientamento omosessuale, dichiarazioni viceversa dettagliate e particolareggiate.

Deduce che ha celato la propria inclinazione omosessuale al fine di salvaguardare la propria incolumità psicofisica; che invero in Nigeria l’omosessualità costituisce reato, sicché, qualora rimpatriato, sarebbe esposto al rischio di sottoposizione a pena carceraria.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 C.E.D.U., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 – 27.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) e c).

Deduce che il report “EASO” risalente al novembre del 2018 segnala numerosi episodi di violenza nell’Imo State; che il report “EASO” risalente al giugno del 2017 segnala l’elevato livello di corruzione delle forze di polizia; che il report “Amnesty International” per gli anni 2017/2018 segnala l’elevato livello di corruzione del sistema giudiziario.

9. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32.

Deduce che ha errato il tribunale a negare la protezione umanitaria.

Deduce che il tribunale non ha tenuto conto che è pienamente integrato nel contesto socioeconomico italiano; che segnatamente ha un lavoro a tempo indeterminato, parla l’italiano, ha in Italia relazioni sociali, non ha nel paese d’origine, attesa la sua omosessualità, alcun legame; che nel paese d’origine i suoi diritti fondamentali sarebbero fortemente menomati.

10. I rilievi, che la delibazione dei motivi di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli esperiti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da rigettare.

11. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

12. In questi termini, nel solco dunque della previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Per un verso, il Tribunale di Catanzaro ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

Tra l’altro, il tribunale ha specificato che il ricorrente aveva rappresentato “di non appartenere ad alcun movimento pro Biafra, ma di sentire la causa “interiormente” e che di fatto si sarebbe trovato del tutto casualmente negli scontri tra opposte fazioni” (così decreto impugnato, pag. 9); che il ricorrente, in sede di resoconto circa la sua omosessualità, non aveva “dimostrato nessuna particolare elaborazione emotiva né un eventuale turbamento” (così decreto impugnato, pag. 10).

Per altro verso, il tribunale ha ineccepibilmente vagliato nel loro complesso le dichiarazioni del ricorrente (cfr. Cass. (ord.) 2.11.2020, n. 24183 – specificamente in tema di omosessualità – secondo cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e), là dove prevede che, ai fini della valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente sia “in generale attendibile”, va interpretato nel senso che il racconto debba essere considerato credibile “nel suo insieme”, attribuendo all’espressione “in generale” utilizzata dalla norma il valore semantico di “complessivamente” o “globalmente”, benché non si possa escludere, in astratto, che una specifica incongruenza, per il ruolo della circostanza narrata, possa inficiare del tutto la valutazione di credibilità del ricorrente).

Per altro verso ancora, il ricorrente in fondo sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” delle sue dichiarazioni (cfr. ricorso, pagg. 4 – 5 e pagg. 10 – 11).

13. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – ben vero, al di là dell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicché, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

14. Vero e’, d’altra parte, che anche i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

15. E nondimeno in maniera congrua ed ineccepibile il tribunale ha reputato – come si è premesso – inattendibili le dichiarazioni di S.E..

Su tale scorta del tutto ingiustificata è la doglianza concernente il mancato esercizio da parte del tribunale dei suoi poteri istruttori officiosi.

Su tale scorta del tutto legittimo è il disconoscimento e dello status di rifugiato (il tribunale ha specificato ulteriormente che il ricorrente non aveva rappresentato “alcuna esposizione personale al rischio di persecuzione per motivi politici” (così decreto impugnato, pag. 9)) e della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

16. In tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

17. In questi termini, analogamente nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Per un verso, nessuna “anomalia motivazionale” si scorge in ordine alle motivazioni alla stregua delle quali il tribunale ha negato la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Del resto il tribunale ha soggiunto che il ricorrente in nessun modo aveva riferito di situazioni di violenza indiscriminata nella regione della Nigeria di sua provenienza (cfr. decreto impugnato, pag. 12).

Per altro verso, il ricorrente, in fondo, non adduce, così come avrebbe dovuto, a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazione più recenti, specifiche e puntuali sulla situazione sociopolitica attualmente esistente nell’Imo State, Stato, di sua provenienza, del sud della Nigeria, da cui possa desumersi, incontrovertibilmente, l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata e generalizzata derivante da conflitti armati, interni o internazionali (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

18. Questa Corte spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

19. Su tale scorta si premette che il tribunale ha, in tema di “umanitaria”, puntualizzato che il ricorrente non aveva fornito allegazione di peculiari situazioni di vulnerabilità atte a giustificare il riconoscimento della protezione residuale e che non esplicava rilievo a tal fine la situazione generale della Nigeria; che la lombosciatalgia, da cui il ricorrente aveva dichiarato di essere afflitto, era in via di completa guarigione; che, in rapporto alla comunicazione Unilav del 2019 all’uopo allegata, lo svolgimento di attività lavorativa non era di per sé indice sufficiente di inserimento del contesto socioeconomico italiano.

20. Evidentemente il quarto mezzo di impugnazione, alla stregua dell’asserita irragionevole valutazione operata dal giudice del merito (cfr. ricorso, pag. 24), reca, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

21. Ebbene, in quest’ottica, similmente nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato dictum.

22. Del resto il ricorrente sollecita il riesame degli esiti istruttori.

E nondimeno il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

23. Con il quarto mezzo il ricorrente ha, peraltro, addotto che è occupato a tempo pieno ed indeterminato in forza di un regolare contratto di lavoro, che gli assicura un trattamento economico sufficiente per le proprie necessità.

E tuttavia al riguardo non può che condividersi la valutazione del tribunale.

Ovvero che, nel quadro della debita valutazione comparativa, il rapporto di lavoro non è di per sé indice sufficiente ed univoco di radicata integrazione nel tessuto socioeconomico italiano.

24. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

25. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, S.E., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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