Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3826 del 16/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 16/02/2011), n.3826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7141-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 3 75, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GUADAGNI SIMONETTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n, 234/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/02/2006 r.g.n. 517/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato ORSINO ANNA MARIA per delega GUADAGNI SIMONETTA;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO per delega VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI ELISABETTA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Livorno, regolarmente notificato, M.V., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dal 9.2.2001 al 31.5.2001 ai sensi dell’art. 25 del CCNL 11.1.2001, per “esigenze eccezionali di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti e servizi”, rilevava che i motivi indicati nel contratto concluso non rientravano nell’ambito delle ipotesi indicate nella suddetta previsione collettiva, non essendo state tra l’altro evidenziate le circostanze giustificatrici della apposizione del termine in deroga ai principi legali, per cui, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 306/03 in data 11.6.2003, il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello M.V. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 17.2/21.2.2006, accoglieva il gravame e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione, condannando la società convenuta al ripristino dello stesso ed al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione, con accessori.

In particolare la Corte territoriale rilevava che l’assunzione in parola, effettuata ai sensi dell’art. 25 del CCNL 11.1.2001, non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni della stipulazione a termine sottese alla previsione – astratta e di natura programmatica – del contratto collettivo; ed in particolare mancava la necessaria specifica indicazione della incidenza della manovra riorganizzativa indicata nel predetto contratto con riferimento specifico alle mansioni in concreto attribuite alla lavoratrice interessata.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

La stessa ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di ricorso la società lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Col secondo motivo la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimità del contratto in questione sotto il profilo che lo stesso non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni di stipulazione del termine, sottese alla previsione, astratta e programmatica, dell’accordo collettivo, in tal modo incorrendo in un evidente vizio di violazione e falsa applicazione della normativa legale (L. n. 56 del 1997, art. 23), avuto riguardo alla pienezza della delega conferita dalla L. n. 56 del 1997, ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste; ciò in quanto l’accertamento della legittimità del contratto a termine in esame presupponeva esclusivamente l’effettiva esistenza del processo di riorganizzazione, e prescindeva dalla necessità di individuare specifiche ipotesi di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali.

E rileva inoltre che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta della società di valutare l’aliunde perceptum, non accogliendo le istanze istruttorie (ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 dell’interessata) ritualmente avanzate in primo grado e reiterate in appello, al fine di dedurre i ricavi conseguiti dal lavoratore e che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa, aggiungendo che la percezione da parte del lavoratore di altre somme dopo l’interruzione della funzionalità di fatto del rapporto non poteva che essere genericamente dedotta dalla società.

La M. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, non essendo dato rinvenire in atti alcun diretto riferimento alle norme contrattuali, collettive ed individuali, che disciplinavano il caso di specie.

La suddetta eccezione è infondata avendo la società ricorrente riportato le specifiche finalità e motivazioni del contratto stipulato tra le parti (“per esigenze eccezionali di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti e servizi”), ed affermato la legittimità del detto contratto in quanto stipulato sulla base di una specifica causale individuata dalla contrattazione con il predetto art. 25 del CCNL 11.1.2001.

Posto ciò rileva il Collegio che il ricorso è fondato.

Deve premettersi, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza 2.3.2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

Questa Corte, decidendo su una fattispecie analoga a quella in esame (contratto a termine stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997) ha affermato che, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Nel caso di specie, l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi; la sentenza impugnata ha dato di tale norma una interpretazione in base alla quale la stessa non conterrebbe l’autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; siffatta interpretazione è affetta dai denunciati vizi di violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., e di motivazione: in primo luogo, la formulazione letterale della disposizione contrattuale non contiene elementi idonei ad esprimere il riscontrato significato riduttivo, nè la sentenza del resto, ha compiuto alcun tentativo per individuarli; appare peraltro decisivo il rilievo che, come si desume agevolmente dal complesso delle considerazioni svolte in motivazione, il presupposto interpretativo è che soltanto così intesa la clausola collettiva sarebbe conforme a legge. La sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962; l’interpretazione dell’accordo è stata, perciò, condizionata dal pregiudizio che le parti stipulanti non avrebbero potuto autorizzare la società Poste Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni, con giustificazione presunta del lavoro temporaneo.

Al riguardo, elementi utili per l’interpretazione si sarebbero potuti ricavare anche dalla circostanza che col successivo (di pochi giorni) accordo 18 gennaio 2001 fu stabilito quanto segue: le OO.SS….

convengono ancora che i citati processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della nuova disciplina pattizia delineata dal c.c.n.l. 11.1.2001.

Per le considerazioni sopra esposte, in accoglimento del suddetto motivo di ricorso, nel quale rimangono assorbite le ulteriori ragioni svolte, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto delle domande proposte dalla M..

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese relative ai due gradi del giudizio di merito, stante la peculiarità della materia che inizialmente aveva dato adito a diverse interpretazioni ed orientamenti giurisprudenziali, mentre vanno poste a carico della M., in considerazione dell’ormai intervenuto consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale, le spese relative al presente giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte con il ricorso introduttivo; compensa tra le parti le spese relative ai due gradi del giudizio di merito e condanna parte soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 20,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2011

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