Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3826 del 15/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 15/02/2021), n.3826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11871-2015 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO

PROSPERINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7980/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/10/2014 R.G.N. 10801/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di B.A. volta ad ottenere l’indennità di accompagnamento. La Corte, conformandosi alla CTU rinnovata in appello, ha ritenuto che la ricorrente avesse mantenuto la sua capacità di deambulare autonomamente e di compiere senza assistenza gli atti quotidiani della vita.

2. Avverso la sentenza ricorre la B. con due motivi. Resiste l’Inps.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. Con il primo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 111 Cost., dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Lamenta che la Corte non aveva esaminato le note autorizzate ed in particolare che il CTU non aveva valutato che con il certificato rilasciato dall’Ospedale Gemelli del (OMISSIS), depositato in appello, era stato documentato il tipo di trattamento antitumorale, la sua durata e che dunque erano ben presumibili gli effetti collaterali dei farmaci e le condizioni cliniche della ricorrente.

4. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 10, comma 6, u.p., conv. in L. n. 248 del 2005, nel testo derivato dal D.L. n. 5 del 2012, art. 16, comma 9, conv. in modifiche dalla L. n., dell’art. 82 c.p.c., comma 3, dell’art. 91 c.p.c., comma 1, Osserva che l’Inps si era costituito con l’assistenza di un avvocato dell’ufficio legale dell’Istituto sebbene il D.L. n. 203 del 2005, art. 10, comma 6, u.p., prevedesse che l’istituto dovesse essere rappresentato e difeso direttamente dai propri dipendenti. Deduce che la costituzione dell’Inps era da ritenersi nulla con conseguente impossibilità di ottenere la refusione delle spese processuali. Rileva che, comunque, la difesa a mezzo di un legale doveva essere equiparata alla difesa del funzionario e cioè ad una difesa atecnica, con la conseguenza che non avrebbe dovuto essere condannata a pagare i compensi di avvocato.

4. Il ricorso è infondato.

5. Circa il primo motivo la ricorrente, in sostanza, pur denunciando la violazione di numerose norme, pretende una nuova valutazione degli elementi probatori e dei risultati della CTU sollecitando questa Corte ad una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Nella specie la Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva le ragioni della decisione escludendo la fondatezza delle pretese della ricorrente ritenendo, in conformità alle conclusioni del CTU, che la B. avesse mantenuto la capacità di deambulare autonomamente e di compiere senza assistenza gli atti quotidiani della vita.

6. Risultano poi inappropriati i richiami agli artt. 115 e 116 c.p.c.; in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017). Nella specie le censure non presentano alcuno dei requisiti richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione (così come interpretato da SU n. 8053 del 07/04/2014). La ricorrente lamenta che il CTU non aveva potuto esaminare il certificato del Policlinico Gemelli dal quale emergeva il tipo di trattamento antitumorale subito dalla ricorrente, sollecitando, peraltro, anche sotto tale profilo un riesame del merito deducendo un fatto, di cui neppure risulta la decisività, avuto riguardo all’esplicita esclusione della sussistenza dei requisiti per godere dell’indennità di accompagnamento.

7. Va, altresì, ricordato che costituisce principio affermato più volte da questa Corte (Cfr ord. n 1652/2012; ord. n 22707/2009; sent. N 9988/2009) che “in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice”.

8. Circa il secondo motivo va rilevato che la ricorrente ha denunciato, da un lato, la nullità della costituzione dell’Inps per difetto dello ius postulandi del difensore dell’Istituto senza tuttavia precisare di aver tempestivamente eccepito la questione nel precedente giudizio.

Deve rilevarsi, infatti, che il vizio da cui sia affetta la costituzione di una delle parti non integra una nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, sicchè è preclusa, in sede di giudizio di cassazione, la questione della irregolarità della costituzione di una delle parti in primo grado, che non sia stata già sollevata nei motivi di appello (cfr. Cass. 20180/2013, n. 12461/2017). Ne consegue, pertanto, che l’eccezione deve ritenersi sollevata per la prima volta in cassazione con conseguente sua inammissibilità.

9. Va, inoltre, affermata l’infondatezza delle censure circa la misura delle spese processuali effettuata sulla base delle tariffe forensi.

La ricorrente ritiene di poter desumere dal D.L. n. 203 del 2005, art. 10, comma 6, u.p. conv. in L. n. 248 del 2005, come modificato dal D.L. n. 5 del 2012, un divieto per l’Inps di costituirsi a mezzo di un legale, ravvisando l’obbligo dell’istituto di avvalersi dei suoi funzionari, con esclusione dei giudizi davanti alla Cassazione. La norma, tuttavia, nel prevedere che l’istituto possa essere rappresentato e difeso direttamente da propri dipendenti, non esclude la facoltà dell’Istituto di optare per la nomina di un avvocato del proprio ufficio legale secondo le regole generali (cfr in tal senso Cass. n 22190/2015).

E’ noto che gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici, iscritti nell’albo speciale annesso all’albo professionale, sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera. Essi pertanto, possono rientrare nella generica nozione di “dipendenti” indicata nella norma in esame e, comunque, eventuali limitazione all’esercizio del diritto di difesa degli enti appaiono non coerenti con principi costituzionali.

10. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente a pagare le spese processuali.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese di lite liquidate in Euro 2000,00 per compensi professionali oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, nonchè Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

 

 

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