Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3825 del 15/02/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3825 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CULTRERA MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 30794-2006 proposto da:
FALLIMENTO

I.C.M.

TECHNOGLASS

S.P.A.

(C.F.

00170850275), in persona del Curatore avv. ANDREA
PASQUALIN, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 15/02/2013

PINEROLO 43, presso l’avvocato LATELLA STEFANO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE
2013

POLI MATTEO, giusta procura a margine del ricorso;
ricorrente –

6
contro

VENETO

BANCA

S.C.P.A.

(C.F.

00208740266),

in

1

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. MERCALLI
13, presso l’avvocato CANCRINI ARTURO, che la
rappresenta e difende unitamente
CAVEDAL MARINA,

all’avvocato

giusta procura in calce al

controricorso;
controricorrente avverso la sentenza n. 775/2006 della CORTE
D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/05/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 08/01/2013 dal Consigliere
Dott. MARTA ROSARIA CULTRERA;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato CATALDO
SCARPELLO, con delega, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità dei motivi primo e secondo o in
subordine per l’accoglimento per quanto di ragione
del solo primo motivo, per il rigetto del terzo
motivo.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata 1’11 maggio 1999, il curatore del
fallimento della società 1CM Technoglass s.p.a. citò la
Banca Popolare di Asolo e Montebelluna soc. coop. a.r.1.,

nelle more del giudizio trasformatasi in Veneto Banca soc.
Coop. a r.1., innanzi al Tribunale di Venezia chiedendo la
revoca a mente dell’art. 67 comma 2 legge fall. delle
rimesse asseritamente solutorle, confluite in periodo
sospetto nel complessivo importo di L. 3.158.724.596 e sul
c/c intestato alla società aperto presso la filiale di
Treviso e non assistito da apertura di credito, nonché la
restituzione di 26.500 dollari USA. Dedusse in particolare
che la rimessa di L. 3.153.760.237 effettuata il 29.10.93
era stata eseguita con denaro della fallita in guanto
derivante da bonifico disposto dall’Azienda Agricola San
Pietro s.a.s. quale garante per estinguere il debito nei
confronti della fallita dei soggetti raggruppati nella
c.d. compagine Itercompany, e la rimessa in divisa
straniera era stata versata a titolo di garanzia di un
impegno fideiussorio nei confronti di Zaklady Azatone e la
garanzia prestata dalla popolare di Asolo non era stata
escussa. Ritualmente costituitosi il contraddittorio, la
convenuta contestò la domanda e chiese compensarsi il
credito della fallita col controcredito verso la stessa ed
il Tribunale dispose il parziale accoglimento della
3

domanda, limitatamente ai versamenti eseguiti alle date
dell’8.10.93 e del 15.12.93 in complessive L. 1.773.777.
Accolse inoltre l’eccezione di compensazione, scaturita
dalla modifica della

causa petendi esercitata in corso di

causa dall’attore, che solo nella memoria ex art. 183

c.p.c. aveva indicato la ragione della richiesta
istruttoria nell’incameramento della somma prestata a
garanzia. La decisione venne impugnata dalla curatela
fallimentare innanzi alla Corte d’appello di Venezia, che
ne ha disposto l’integrale conferma con sentenza n. 775
depositata il 10 maggio 2006. Per quel che ancora rileva,
il giudice d’appello ha escluso la revocabilità della
rimessa di L. 3.135.760.237 avendo ritenuto opponibile, in
quanto fornita di data certa desumibile da timbro postale,
il documento fideiussorio proveniente dalla s.a.s.
Agricola che aveva eseguito il versamento senza esercitare
il diritto di regresso, nonché dei versamenti eseguiti
alle date del 12.5 e del 2.6.93, riscontrata la loro
anteriorità rispetto alla data della revoca, comunicata
in data 7.7.1993, dell’affidamento del conto corrente che
presentava pertanto saldo passivo ma non scoperto. Avverso
questa decisione il curatore fallimentare ha proposto
ricorso per cassazione articolato in tre motivi resistiti
dall’intimata con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art.
67 comma 2 legge fall., agli artt. 2697, 2704 e 2729 c.c.
ed all’art. 115 c.p.c. e correlato vizio di omessa,
insufficiente e contraddit.toria motivazione in relazione

alla statuita irrevocabilità delle rimesse dell’importo di
L. 10.000.000 ciascuna, eseguite alle date del 12.5 e del
2.6.1993 sul conto corrente intestato alla fallita. La
Corte del merito, motivando peraltro in senso
insufficiente, avrebbe ritenuto di natura ripristinatoria
e non solutoria in presenza del saldo passivo ma non
scoperto, in assenza della prova dell’esistenza di
affidamento ovvero di apertura di credito, desunta da
prova presuntiva, inammissibile perché preclusa dalla
natura formale del cennato contratto ai sensi dell’art.
117 del T.U.L.B., che, ad ogni modo, non sarebbe stato
opponibile alla curatela in quanto non munito del
requisito della data certa prescritto dall’art. 2704 c.c..
Ritenuta, in caso d’accoglimento la natura solutoria
delle rimesse, dovrebbe ritenersi acquisita la prova della
scientia decotionis alla Luce della pubblicazione di una
lunga serie di protesti levati a carico di I.C.M. a
partire dal marzo 1993, pubblicati dalla CCM\ di Treviso,
nel cui ambito territoriale operava la filiale della banca
convenuta con cui la società fallita intratteneva rapporto
di

conto

corrente, e della deposizione del teste dott.
5

Meriggi, all’epoca direttore di quella filiale, che ha
riferito del continuo monitoraggio circa i dati di
bilancio e gli eventuali sconfinamenti della ICM.
Il quesito di diritto chiede di chiarire se ai sensi

dell’art. 67 comma 2 legge fall. nel testo ante riforma
siano revocabili le rimesse affluite su conto corrente con
saldo passivo non assistito da

apertura di credito e se

possa essere rilevante altro contratto, se la presenza di
un generico affidamento consenta di per sé di escludere la
natura solutoria delle rimesse.
La resistente replica argomentatamente alle censure,
deducendone l’infondatezza.
Il motivo è inammissibile. Prospettando questioni che, a
lume del tessuto motivazionale in cui si articola la
sentenza, risultano nuove, in quanto non sottoposte
all’esame del giudice dell’appello, il ricorrente formula
quesito generico, eccentrico rispetto allo stesso
contenuto delle censure, il cui nucleo s’incentra
specificamente sul regime probatorio del menzionato
contratto, cui non vi è cenno nel quesito, nonché
sull’omesso esame degli elementi di prova asseritamente
decisivi, neppur essi considerati nell’articolazione del
quesito, che in parte qua avrebbe dovuto esporre sintesi

6

conclusiva riferita al vizio motivazionale, del tutto
omessa.
Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione dell’arc. 180 coma 2 c.p.c., dell’art.

1242 c.c., dell’art. 56 legge fall. e dell’art. 185 coma
5 c.p.c. per dolersi della statuita declaratoria
d’ammissibilità dell’eccezione di compensazione tra
credito di restituzione della rimessa in dollari USA ed il
controcredito della convenuta, reputata dalla Corte del
merito conseguente alla

metallo libelli

intervenuta in

corso di causa da parte dell’attore, che, costituendo
fatto impeditivo della domanda, avrebbe di contro essere
dedotta in sede di comparsa di costituzione.
Il conclusivo quesito di diritto chiede se sia consentita
la proposizione da parte del convenuto dell’eccezione d
compensazione oltre il termine di cui all’art. 180 c.p.c.
e in ogni caso se l’eccezione di compensazione della banca
sia conseguenza del comportamento processuale dell’attore.
Il resistente deduce l’infondatezza della censura e a
conforto ripercorre la vicenda processuale, riferendo che
la curatela, nella domanda introduttiva, ne chiese
condanna alla restituzione della somma di 26.500 in USD di
titolarità della 1CM, in quanto detenuta dalla banca a
garanzia di un impegno fideiussorio nei confronti di un

7

terzo- ZAKLADY AZATONE, sostenendo che la garanzia
prestata da essa banca non era stata escussa ed era
scaduto il termine contrattuale di efficacia del pegno, sì
che la somma era trattenuta indebitamente a titolo di
garanzia. A seguito della contestazione formulata in parte

qua nella comparsa di costituzione, l’attore precisò nella
memoria ex art. 183 c.p.c., che quella somma era stata
incamerata all’atto dell’escussione da parte del
menzionato terzo sulla base di un vincolo pignoratizio
inesistente e comunque in opponibile. Di qui l’eccezione
di compensazione, formulata in sede di memoria di replica.
Il motivo espone censura priva di pregio.
Dall’esame degli atti, consentito in questa sede per la
natura processuale della questione trattata, emerge che
l’attore, che nell’atto di citazione dedusse che
l’incameramento della somma controversa in divisa estera
non aveva titolo nel contratto di pegno in assenza della
prova del suo perfezionamento, ed in memoria difensiva
imputò quella somma a diverso titolo, sì che, a giudizio
del giudice del gravame, immutò il
adducendo diversa

causa petendi.

thema disputandum

Alla luce di ciò,

l’eccezione di compensazione della banca, che ha indubbia
natura riconvenzionaie(Cass. n. 64/2012) e pertanto in
tesi è improponibile dopo la prima udienza di trattazione
nel termine assegnato dal giudice ai sensi

del

quinto
8

comma dell’art.183 c.p.c.

(Cass.

n 6532/2006),

nella

specie, in quanto è risultata volta a contrastare
l’immutazione dei termini oggettivi della domanda operata
dall’attore, si è per l’effetto configurata come una
contro-iniziativa necessaria per replicarvi. Per tale

decisiva ragione, non era soggetta all’anzidetta
preclusione (cfr. Cass. n. 12545/2004). A questa
costruzione esegetica, alla quale la Corte del merito si è
ineccepibilmente uniformata, il motivo in esame non
contrappone pertinenti argomenti di smentita. S’incentra
piuttosto in un teorico ed astratto richiamo al regime
delle preclusioni non applicandolo però al caso concreto,
di cui neppure riferisce i tratti, sì che deve disporsene
il rigetto.
Cok terzo motivo il ricorrente denuncia violazione
dell’art. 56 legge fall. e degli artt. 1243 c.c. 12 e 14
preleggi in relazione all’accoglimento dell’eccezione di
compensazione del credito della banca con il credito del
fallito non ancora scaduto prima della dichiarazione di
fallimento. A suo avviso la norma fallimentare in rubrica
rappresenta eccezione al sistema concorsuale e si pone in
deroga al

disposto

dell’art. 2917 c.c. in ordine

all’insensibilità dell’effetto estintivo dei crediti nei
confronti del pignoramento, e avendo carattere eccezionale
non potrebbe pertanto applicazione al di fuori dei casi
9

previsti. La Corte territoriale non avendone tenuto conto,
ha applicato la compensazione in relazione a credito della
fallita divenuto esigibile dopo il fallimento, in spregio
al principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza
n. 7562/1990.

Il conclusivo quesito di diritto chiede se sia consentita
l’applicazione dell’art. 56 legge fall. all’ipotesi del
credito del fallito non ancora scaduto ovvero se ciò violi
il disposto delle norme denunciate.
La contro ricorrente deduce l’infondatezza del motivo.
Il motivo è inammissibile. Il ricorso per cassazione, ai
fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al
ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc.
civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli
atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella
loro completezza con riferimento alle parti oggetto di
doglianza –

(per

tutte

Cass.

n.

4220/2012),

deve

individuare, in ossequio al principio di autosufficienza
che lo assiste, atti e documentazione sui quali si fonda
la censura. Il ricorrente non vi ha provveduto, non avendo
riprodotto il testo degli atti comprovanti il fondamento
della sua doglianza circa la scadenza del credito cui si
riferiva la compensazione, né ha indicato in quale sede
provvide alla relativa produzione.

10

Tutto ciò premesso, deve disporsi il rigetto del ricorso
con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità determinandole in
complessivi C 2.200,00 di cui C 200,00 per esborsi, oltre
spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, 1’8.1.2013

La Corte:

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