Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38239 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2021, (ud. 05/10/2021, dep. 03/12/2021), n.38239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 4711 del ruolo generale dell’anno

2020, proposto da:

D.M.D., (C.F.: (OMISSIS)) avvocato costituito di persona ai

sensi dell’art. 86 c.p.c.;

– ricorrente –

nei confronti di:

POSTE ITALIANE S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati

Luigi Giacomo Tommaso Zuccarino, (C.F.: ZCCLGC59A27I158C) e Dora De

Rose, (C.F.: DESDRO66P64D086X)

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 17155/2019,

pubblicata in data 10 settembre 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella Camera di consiglio in

data 5 ottobre 2021 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.M.D. ha agito in giudizio (in sede di cognizione) nei confronti di Poste Italiane S.p.A. per ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento del residuo credito portato da un titolo esecutivo (titolo costituito da una ordinanza di assegnazione pronunciata, nel 2013, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., in un procedimento di espropriazione presso terzi in cui Poste Italiane S.p.A. aveva assunto la posizione di terzo pignorato), solo parzialmente soddisfatto in esito ad un procedimento, definito nel 2015, di espropriazione forzata di crediti promosso nei confronti della predetta società sulla base di quel titolo.

La domanda è stata rigettata, per difetto di interesse, dal Giudice di Pace di Roma.

Il Tribunale di Roma ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre il D.M., sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 100,95,474 e 553 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto possibile procedere ad una nuova esecuzione forzata, a seguito della parziale incapienza della procedura esecutiva promossa per la soddisfazione del credito portato dal suo titolo esecutivo. Di conseguenza, avrebbe erroneamente ritenuto il suo difetto di interesse ad agire in sede di cognizione per ottenere un nuovo titolo esecutivo, avente ad oggetto la condanna al pagamento del residuo credito insoddisfatto.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Non si è infatti mai dubitato – e nessun dubbio può del resto sussistere in proposito, in diritto – che, qualora l’esecuzione forzata promossa sulla base di un determinato titolo esecutivo comporti la solo parziale soddisfazione del creditore procedente, per incapienza dei beni pignorati, sia possibile per il creditore stesso promuovere, nei confronti del suo debitore, sulla base del medesimo originario titolo esecutivo, un nuovo procedimento di esecuzione forzata, al fine di ottenere il pagamento del residuo credito rimasto insoddisfatto.

Ciò comporta, ovviamente, il difetto di interesse del medesimo creditore ad agire in giudizio con un’ordinaria azione di cognizione, per ottenere un nuovo titolo esecutivo relativo al medesimo credito, per il residuo insoddisfatto, come correttamente statuito nella decisione impugnata.

Sotto tale profilo il ricorso (che non offre argomenti idonei a rivedere i principi di diritto appena esposti) è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1.

E’ appena il caso di aggiungere che le argomentazioni del ricorrente (reiterate anche nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.), con le quali si afferma che l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c., ha efficacia di titolo esecutivo esclusivamente nei confronti del terzo pignorato, risultano nella specie del tutto inconferenti rispetto alla questione giuridica effettivamente rilevante nella presente controversia: Poste Italiane S.p.A. era infatti il terzo pignorato, nel procedimento esecutivo definito nel 2013 con l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati posta in esecuzione dal D.M. (quale titolo esecutivo) nei confronti di tale società nel successivo processo esecutivo del 2015 e che, secondo la prospettazione, non avrebbe dato luogo ad integrale soddisfazione del creditore procedente.

Di conseguenza – come del resto correttamente rilevato dal giudice del merito – è del tutto evidente che, per il recupero dell’eventuale importo residuo portato dall’ordinanza di assegnazione del 2013 (costituente pacificamente titolo esecutivo contro Poste Italiane S.p.A., terzo pignorato in quel procedimento) eventualmente non soddisfatto all’esito della procedura esecutiva del 2015 (in cui Poste Italiane S.p.A. era debitrice esecutata), occorreva fare eventualmente valere, sempre nei confronti di Poste Italiane S.p.A., il medesimo titolo esecutivo del 2013 (come certamente era possibile fare, per quanto osservato in precedenza) e non certo l’ordinanza di assegnazione del 2015, come il ricorrente assume abbia erroneamente sancito il Tribunale.

Sotto tale ultimo profilo, dunque, il ricorso è inammissibile anche perché non coglie adeguatamente il senso della decisione impugnata, peraltro chiarissimo sia in fatto che in diritto.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

3. In aggiunta alla condanna al pagamento delle spese di lite, deve inoltre essere emessa condanna al pagamento, in favore della controricorrente, della sanzione privata prevista dall’art. 96 c.p.c., comma 3, e ciò per varie ragioni.

La prima ragione è che l’odierno ricorrente (di professione avvocato) risulta avere proposto dinanzi a questa Corte numerosissimi ricorsi aventi ad oggetto fattispecie con profili di analogia rispetto a quella in esame.

Alcuni di questi ricorsi sono stati dichiarati improcedibili, altri sono stati rigettati, spesso per manifesta infondatezza; molti sono stati dichiarati poi inammissibili, sovente per ragioni procedurali (come la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3).

Il ricorrente, dunque, continua a sottoporre questioni a questa Corte, con forme già reiteratamente reputate inammissibili e con contenuti già reiteratamente reputati infondati: e lo fa spesso ponendo in non cale anche la giurisprudenza di questa Corte ormai risalente, consolidata e che lo riguarda in prima persona.

Si tratta di una condotta che certamente sostanzia, quanto meno, una colpa grave: nessuna persona di normale avvedutezza, infatti, continuerebbe a proporre o a non desistere da impugnazioni già reiteratamente reputate inammissibili od infondate.

La condotta tenuta dall’odierno ricorrente integra certamente gli estremi dell’abuso del processo, e ciò non solo per avere affermato, nel presente procedimento, tesi del tutto prive del pur minimo fondamento in diritto e, ancor prima, per avere dimostrato di non avere neanche adeguatamente colto il senso, peraltro chiarissimo, della decisione impugnata, ovvero per avere del tutto travisato tale senso, ma anche per le ulteriori ragioni che seguono.

Quasi tutti i molteplici ricorsi di cui si è detto in precedenza, avevano in effetti ad oggetto vicende, attinenti a pignoramenti presso terzi in cui il creditore, o il suo procuratore distrattario, dopo avere ottenuto l’assegnazione, procedono nuovamente, o minacciano di procedere, in via esecutiva o di cognizione contro il terzo pignorato o contro il debitore, in ogni caso pretendendo il pagamento di spese ed oneri ulteriori.

Controversie, dunque, nelle quali se seriale non è il fatto che le genera e le questioni di fatto e di diritto poste, seriale è il “metodo” che le accomuna, il quale si caratterizza per la costante pretesa di ottenere l’incremento dell’importo di crediti non contestati nella loro esistenza e nella misura del capitale dovuto, sulla base dell’utilizzazione di strumenti processuali e stragiudiziali, ma senza la dovuta corretta, franca e leale cooperazione con il debitore, volta anche a non aggravare la posizione di quest’ultimo, il che integra, a giudizio del collegio, un evidente abuso del processo, come già affermato da questa Corte in analoga fattispecie (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7409 del 17/03/2021, Rv. 661005 – 01).

Resta solo da aggiungere come, per i fini di cui alla suddetta norma, nulla rilevi che la condotta colposa nella introduzione della lite possa o debba essere ascritta alla parte, al suo difensore o ad entrambi. E, infatti, quand’anche una improvvida scelta processuale sia in tesi ascrivibile all’avvocato e non alla parte da lui assistita, quest’ultima è comunque tenuta al risarcimento del danno od al pagamento della “sanzione privata” di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, in favore della controparte, in quanto nei confronti di quest’ultima il ricorrente risponde dell’operato del proprio avvocato ai sensi dell’art. 2049 c.c..

Per quanto attiene la misura della condanna, reputa il Collegio giudicante che, come già stabilito in alcuni specifici precedenti pronunciati (con riguardo al medesimo ricorrente) nel collegio specializzato in materia di esecuzione forzata della Terza Sezione Civile, nell’ambito del cd. “progetto esecuzioni” (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 31317 del 03/11/2021 e Sez. 3, Ordinanza n. 31318 del 03/11/2021), essa deve essere determinata tenendo conto:

a) della gravità della colpa manifestata dal ricorrente, consistita nel non intelligere quod omnes intelligunt;

b) della pertinacia e pervicacia nella reiterazione di condotte processualmente abusive;

c) nella ratio dell’art. 96 c.p.c., comma 3, che – costituendo una sanzione privata – di tutte le sanzioni mutua anche la duplice funzione: retribuire l’illecito, ma anche prevenirne di ulteriori; con la conseguenza che una condanna tenue non potrebbe avere alcuna reale funzione di deterrenza.

Alla luce di tali criteri, reputa il collegio che il ricorrente debba essere condannato ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, come del resto già avvenuto nelle precedenti fattispecie richiamate, al pagamento in favore della controparte della somma di Euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre interessi nella misura legale dalla data della presente ordinanza.

4. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 900,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;

– condanna il ricorrente a pagare in favore della società controricorrente l’ulteriore importo di Euro 10.000,00 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

 

 

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