Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3822 del 15/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 15/02/2021), n.3822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2735-2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio degli avvocati ROBERTO PESSI, MARCO RIGI LUPERTI, che la

rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

C.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 41/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/01/2014 R.G.N. 5544/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, C.A. esponeva che: – era stato assunto alle dipendenze dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici (A.S.S.T.) il 3/4/1978, con la qualifica di revisore tecnico, IV categoria professionale, assegnato alla stazione telefonica Ponti Radio di (OMISSIS); – aveva ottenuto, a seguito di concorso interno per titoli, il passaggio alla qualifica di revisore tecnico coordinatore, VII livello ASST con effetto dal 1983; – era stato assegnato nel 1987 al reparto VI – Ufficio lavori relativo alle opere edili e ristrutturazioni del patrimonio immobiliare aziendale ove aveva gestito, avendone la responsabilità e il coordinamento, personale tecnico e impiegatizio; – per effetto della riforma del settore delle telecomunicazioni conseguente alla L. n. 58 del 1992, era stato assunto dall’IRITEL con assegnazione del 5 livello c.c.n.l. 1992 con la qualifica di assistente ad attività specialistiche; – realizzatasi la fusione per incorporazione delle società IRITEL, Telespazio, Italcable e S.I.R.M. nella SIP e, quindi, nella Telecom Italia S.p.A., era passato senza soluzione di continuità alle dipendenze di quest’ultima a partire dal 18.8.94, venendo inquadrato nel c.c.n.l. per i dipendenti SIP al medesimo 5 livello retributivo con la qualifica di impiegato; – aveva subito una rilevante dequalificazione con adibizione a mansioni (impiegatizie di basso profilo) inferiori a quelle pregresse essendo, in particolare, venuto meno il coordinamento del personale tecnico subalterno, la funzione di vicario del Capo reparto, quella di referente tecnico dei reparti e delle ditte produttrici oltre che la responsabilità degli interventi.

Tanto premesso chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità dell’accordo collettivo del 15/3/1993 che aveva fissato i criteri di inquadramento del personale proveniente dall’ASST e che, previo riconoscimento del relativo diritto, fosse dichiarata l’illegittimità del suo inquadramento nel 5 livello del c.c.n.l. SIP e condannata la Telecom S.p.A. al suo inquadramento al 3 livello c.c.n.l. SIP a far data dal transito in TELECOM ed al livello G, con la qualifica di Responsabile a partire dall’1/10/1996, con il risarcimento del danno professionale, ovvero in subordine all’inquadramento al 4 livello c.c.n.l. SIP con qualifica di “esperto in attività specialistiche” a partire dal transito in TELECOM ed al livello F, con la qualifica di specialista a partire dall’1/10/1996 con ogni conseguenza normativa, retributiva e previdenziale, ivi compreso il pagamento delle differenze retributive;

2. il Tribunale riconosceva il diritto del ricorrente ad essere inquadrato nel 4 livello del c.c.n.l. SIP del 30.6.92, con decorrenza 1.11.93, e nel livello F del c.c.n.l. delle aziende di settore delle telecomunicazioni del 9.9.96, con decorrenza dal 1.10.96, con consequenziale diritto del C. alla ricostruzione della carriera ed al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle differenze retributive oltre al risarcimento del danno professionale;

3. la Corte d’appello di Napoli, decidendo sull’impugnazione della TELECOM, confermava la decisione di prime cure;

ricostruiva la Corte territoriale l’iter delle vicende che avevano interessato la soppressione dell’ASST e riteneva (considerando superflua ogni indagine istruttoria) che l’inquadramento del C. nel 5 livello c.c.n.l. SIP assegnatogli nel passaggio all’IRITEL (sulla base di tabelle di equiparazione che ben potevano essere disapplicate laddove non corrispondenti alla professionalità acquisita nel pregresso rapporto lavorativo) non corrispondesse alla professionalità dallo stesso acquisita presso l’Azienda di Stato dovendo ritenersi, invece, corretto l’inquadramento nel 4 livello prevedente il possesso di particolare e consolidata esperienza professionale ed il coordinamento con discrezionalità ed autonomia sulla base di disposizioni aziendali ricevute, di importanti organismi operativi;

in particolare, evidenziava che corrispondesse alle mansioni svolte dal C. prima del passaggio in IRITEL la VII categoria professionale e quindi che fosse pienamente calzante la declaratoria contrattuale del 4 livello del contratto SIP e, nello specifico, del profilo di specialista;

2. per la cassazione di tale decisione ricorre Telecom Italia S.p.A. con cinque motivi;

3. C.A. ha resistito con controricorso;

4. entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la Telecom denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 58 del 1992, art. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

lamenta che la sentenza impugnata avrebbe interpretato in senso circolare le domande svolte dal ricorrente, l’una (quella avente ad oggetto l’inquadramento superiore) a supporto dell’altra (quella avente ad oggetto il risarcimento del danno) ed avrebbe riconosciuto come sussistente un demansionamento in assenza di alcuna allegazione e prova;

2. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

2.1. la ricorrente conviene sulla duplicità delle domande proposte dal C., ma censura la statuizione del giudice di secondo grado affermando, riportando “l’incipit e la conclusione del ragionamento illegittimo”, che il demansionamento avrebbe avvalorato l’erroneo inquadramento lesivo della professionalità acquisita;

tale prospettazione non può trovare accoglimento, in quanto la censura omette del tutto di considerare l’articolata motivazione della sentenza che, come si vedrà, dedica autonome considerazioni prima alla violazione della L. n. 58 del 1992, art. 4 (in particolare, pagg. 5-10 della sentenza) e, successivamente (“quanto alla censura relativa al concesso risarcimento del danno patito per la dequalificazione e il demansionamento…”, in particolare, pag. 11 della sentenza) alla domanda di risarcimento danni per il demansionamento;

2.2. inammissibile è la prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che la ricorrente richiama le conclusioni del ricorso del lavoratore di riconoscimento dell’inquadramento superiore e deduce la mancanza di domanda relativa alla attribuzione delle corrispondenti mansioni, senza illustrare le ragioni per cui in relazione al complessivo contenuto del ricorso, che non viene riportato, la qualificazione della domanda da parte del giudice di merito (attribuzione inquadramento superiore e relative mansioni) sarebbe erronea e ultra petita;

3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 58 del 1992, art. 4, art. 2103 c.c., art. 24 Cost.; art. 2095 c.c. e art. 96 disp. att. c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

lamenta che la Corte di merito, pur avendo affermato l’inapplicabilità alla vicenda traslativa in questione dell’art. 2103 c.c., abbia proceduto ad un raffronto meccanicistico tra le vecchie e nuove qualifiche contrattuali collettive, e relative mansioni svolte, tenendo unicamente conto della professionalità acquisita e del suo tendenziale accrescimento, tipicamente tutelati dall’art. 2103 c.c., senza effettuare il necessario esame comparativo e complessivo tra la precedente e la nuova classificazione del dipendente, secondo una valutazione globale imposta dall’esigenza di raccordo tra i diversi sistemi di classificazione e di inquadramento propri del sistema pubblicistico dell’ASST e, rispettivamente, delle società che ad essa per legge si sono sostituite;

4. il motivo non è fondato;

4.1. va ricordato (richiamando Cass. n. 6066/2016; Cass. 19927/2014; Cass. n. 24231/2010; Cass. n. 15605/2004) che la L. 29 gennaio 1992, n. 58, nel riformare il settore delle telecomunicazioni con il passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello privato – senza che tale passaggio desse luogo all’applicazione dell’art. 2112 c.c., – ha stabilito la predisposizione, sulla base di accordi con le organizzazioni sindacali, di tabelle di equiparazione, fissando quali criteri la tutela della professionalità acquisita e la garanzia di un trattamento economico globalmente non inferiore a quello precedentemente goduto;

le organizzazioni sindacali, dunque, ripetevano dalla cit. L. n. 58 del 1992 il potere di concordare con la parte datoriale le tabelle, ma, trattandosi di tabelle di “equiparazione”, le stesse non erano destinate a disporre dei diritti dei lavoratori, in quanto dirette alla conservazione sostanziale delle posizioni giuridiche ed economiche di ciascuno, con il limite legislativamente previsto del rispetto degli indicati criteri inderogabili;

pertanto, così come la corrispondenza del trattamento economico andava valutata in senso globale, anche le tabelle di equiparazione avrebbero dovuto essere elaborate dalle organizzazioni sindacali non in termini di corrispondenza meccanica ed assoluta ma, in armonia con il concetto stesso di “equiparazione”, secondo un raffronto complessivo delle declaratorie o dei profili di volta a volta presi in considerazione, avendo riguardo anche ad aspetti eventualmente assorbenti, stante l’esigenza di raccordo (non di semplice giustapposizione) tra i diversi sistemi, di classificazione e di inquadramento, propri del sistema pubblicistico dell’ASST e, rispettivamente, delle società che ad essa per legge si sono sostituite;

tuttavia, benchè la medesima legge non abbia previsto una specifica procedura di impugnazione delle tabelle di equiparazione in contraddittorio con le parti stipulanti, è stata ritenuta possibile la disapplicazione di esse ad opera del giudice che ne ravvisi, in via incidentale, la parziale nullità per la non corrispondenza ai criteri imposti dalla legge stessa (ferma restando la necessità di una valutazione circa la legittimità della equiparazione prevista in sede collettiva sulla base di un raffronto complessivo tra le qualifiche o i livelli di volta in volta posti a raffronto), con conseguente individuazione, nel nuovo assetto del personale, della posizione corrispondente a quella rivestita dal lavoratore nell’inquadramento precedente (cfr. oltre ai precedenti sopra ricordati anche Cass. n. 12647/2004, che parimenti ha affermato che in materia di rapporti di lavoro dei dipendenti dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici, nel passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello privato, qualora le tabelle di equiparazione tra le qualifiche di provenienza e quelle previste nell’IRITEL S.p.A. e successivamente nella Telecom S.p.A. non siano adeguate, per mancata corrispondenza tra le mansioni da esse equiparate, esse possono essere disapplicate nel giudizio concernente la qualifica o livello da attribuire al lavoratore transitato dall’ASST alla società concessionaria dei servizi telefonici, con l’individuazione ad opera del giudice della qualifica o livello corrispondente alle astratte previsioni di quella precedentemente rivestita, secondo le rispettive definizioni e mediante una valutazione globale e non meccanicistica di queste; cfr. anche Cass., n. 10039/2007);

4.2. nella specie la Corte d’appello, ha ricostruito correttamente il quadro di riferimento normativo, in modo conforme ai principi sopra richiamati, ricordando che la tutela della professionalità acquisita trovava la sua fonte nella L. n. 58 del 1992, art. 4 per cui doveva affermarsi, in adesione a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che nel caso in cui nella concreta valutazione della corrispondenza delle qualifiche in termini di conservazione della professionalità si fosse riscontarla l’erroneità delle tabelle, per la mancata corrispondenza delle mansioni da esse equiparate, il giudice di merito ben poteva disapplicarle in quanto non rispettose del principio di tutela della professionalità acquisita, procedendo alla individuazione, nel nuovo assetto del personale, della posizione corrispondente a quella rivestita dal lavoratore nell’inquadramento precedente;

ha, altresì, correttamente precisato che nelle operazioni di raffronto tra i contenuti di professionalità corrispondenti a ciascuna delle qualifiche e livelli equiparati non poteva aversi riguardo tout court ai criteri giurisprudenziali relativi all’equivalenza delle mansioni, da intendersi in senso professionale, nell’ambito dei mutamenti della posizione lavorativa realizzatesi nello stesso rapporto alle dipendenze di un unico imprenditore, e con riferimento alle limitazioni allo ius variandi, disciplinato dall’art. 2103 c.c.;

5. con il terzo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 58 del 1992, art. 4, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che le mansioni dedotte come svolte dal lavoratore precedentemente al passaggio in Telecom, non fossero state adeguatamente contestate dalla società, lamentando l’impossibilità da parte del datore di lavoro privato, non succeduto ex art. 2112 c.c., al precedente datore di lavoro pubblico, di conoscere esattamente tali precedenti mansioni e che proprio per tale ragione la L. n. 58 del 1992, delegò alle organizzazioni sindacali l’equiparazione attraverso “tabelle inquadramentali” che tenessero conto della peculiarità della vicenda traslativa;

lamenta inoltre che la sentenza impugnata abbia ritenuto in ogni caso provate le pregresse mansioni in tesi svolte dal C., senza disporre alcuna istruttoria e sulla base di una presunta non contestazione;

6. il motivo è in parte inammissibile e in parte non è fondato;

la ricorrente, dopo aver riportato la motivazione della sentenza alla quale è rivolta la censura, si limita a richiamare, rinviando alla lettura degli stessi, che allega, i propri atti difensivi, ma non ne illustra il contenuto, nè ne riporta passi significativi, così contravvenendo al principio di specificità del ricorso;

quanto all’impossibilità della contestazione, che introduce, peraltro un elemento di contraddittorietà con la prima parte seppure generica della censura, si osserva che la doglianza non è fondata, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, nella prima fase del complesso percorso che portava al passaggio del personale – con l’applicazione delle tabelle di equiparazione tra le qualifiche rivestite dal personale negli ordinamenti di provenienza e quelle previste nella Società e nelle concessionarie, tenuto conto delle diverse specializzazioni richieste per l’esercizio degli impianti – la società concessionaria si avvaleva del personale dell’Amministrazione delle Poste e delle telecomunicazioni addetto alle attività concernenti i servizi trasferiti alla concessionaria stessa, che conservava il trattamento giuridico, economico e pensionistico proprio del rapporto di pubblico impiego;

7. con il quarto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 58 del 1992, art. 4, in relazione all’art. 12 del c.c.n.l. SIP 30.6.92 e del c.c.n.l. Telecomunicazioni 1996, oltre che degli artt. 112 c.p.c., 1362 e 1363 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

evidenzia che anche a voler ammettere come effettivamente svolte le mansioni dedotte dal C., esse corrispondevano complessivamente a quelle di cui al 5 livello del c.c.n.l. SIP 1992, e poi E di cui al c.c.n.l. Telecomunicazioni del 1996, secondo cui appartengono a tale livello “i lavoratori che in possesso di particolare preparazione e capacità professionale, esplicano funzioni direttive caratterizzate da facoltà di decisione nell’ambito dei programmi previsti e nella conduzione di organismi operativi”, mentre non era risultato che il C. avesse avuto il “coordinamento di importanti organismi operativi”, ovvero che la sua attività fosse stata caratterizzata dal “contributo innovativo” richiamato dal Collegio partenopeo;

assume che così operando la Corte di merito non avrebbe considerato che in materia di interpretazione dei c.c.n.l. il principale criterio ermeneutico è rappresentato non già dall’art. 1362, bensì dall’art. 1363 c.c., e dunque da una interpretazione complessiva delle clausole, stante la natura articolata e del tutto peculiare dell’iter formativo della contrattazione sindacale;

richiama, sul punto, Cass. n. 17844/05 secondo cui la comune volontà delle parti contrattuali non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, atteso che la natura di detta contrattazione, articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale, ecc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa (che sovente consigliano alle parti sociali il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra le parti private, come preamboli, premesse, note a verbale, ecc.), il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune, e da ultimo il carattere vincolante che non di rado assumono nella azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che rendono indispensabile nella materia della contrattazione collettiva una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici, che di detta specificità tenga conto, con conseguente rilievo del canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c.;

lamenta che anche tale principio sia stato violato dalla Corte di merito che si è invece limitata ad utilizzare il semplice criterio letterale pur nella complessa vicenda traslativa in questione, comportante la privatizzazione del sistema delle telecomunicazioni;

8. con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 414,420,115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2697,1226 e 2043 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

censura la sentenza impugnata relativamente al capo concernente il risarcimento del danno e sostiene che nella specie il dipendente non avesse assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante;

9. il quarto motivo è infondato, sia per le ragioni già sopra esposte con riguardo al corretto inquadramento normativo effettuato dalla Corte d’appello, sia per le ragioni di seguito illustrate;

9.1. la ricorrente si è limitata a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato ed a richiamare la decisione di questa Corte n. 17844/2005 ma non ha spiegato le ragioni per le quali l’interpretazione della clausola collettiva sia stata inadeguata per ricostruire la comune volontà delle parti nè ha indicato quale potesse essere in realtà tale comune volontà delle parti diversa da quella ricostruita dalla Corte di merito (ex multis Cass. n. 21888/2016; Cass. n. 4460/2020);

quest’ultima, diversamente da quanto prospetta la ricorrente, come già evidenziato innanzi, si è confrontata con la complessità della vicenda dedotta in giudizio e in particolare con il quadro normativo che ha regolato la privatizzazione del sistema delle telecomunicazioni;

9.2. ad ogni buon conto, il giudice di secondo grado, esaminando in fatto le mansioni in concreto svolte dall’istante sia presso l’ente di provenienza sia presso quello di destinazione, analiticamente indicate nell’atto introduttivo (che non è riprodotto nelle censure in esame al fine di contestarne il contenuto), non oggetto sul punto di alcuna specifica e, dunque, valida contestazione nel corso del giudizio di primo grado, ha ritenuto che i nuovi compiti allo stesso assegnati non corrispondessero alla professionalità in precedenza acquisita;

ha così, in particolare, evidenziato che il C., presso l’ASST, aveva svolto compiti di coordinamento, anche amministrativo, di personale subalterno (ben 10 unità), aveva diretto le operazioni di manutenzione, esercizio e collaudo della rete, aveva espletato attività di monitoraggio studio e ricerca, si era occupato delle commesse più importanti ed aveva approvato i relativi SAL, fornendo assistenza sin dalla fase delle gare di appalto, il tutto con piena autonomia operativa e poteri decisionali, svolgendo con effetto dal 1983 ed a seguito di concorso, le mansioni di revisore tecnico coordinatore;

ad avviso del Collegio di appello l’attività suddetta era stata caratterizzata da preparazione professionale specializzata, facoltà di iniziativa e decisionale nell’ambito delle direttive generali e che l’inquadramento individuato in sede di passaggio presso l’IRITEL e poi presso la Telecom, non poteva ritenersi rispettoso del principio di conservazione della professionalità acquisita, tutelato dalla normativa di cui alla L. n. 58 del 1992;

ed invero, la declaratoria della VII categoria dell’ordinamento di provenienza, quale definita dalla L. n. 797 del 1981 (Attività con preparazione professionale ed eventuale responsabilità di unità organiche) comprendeva: “Attività amministrativo-contabili o tecniche, richiedenti preparazione professionale specializzata, comportante ampi margini di valutazione per il perseguimento dei risultati da conseguire, con facoltà di iniziativa, proposta e decisione nell’ambito di direttive generali; comportano collaborazione istruttoria o di studio e ricerca, nel campo amministrativo, di progettazione, direzione di lavori, collaudo ed analisi in quello tecnico implicante qualificato apporto professionale, nonchè controllo ispettivo, qualificata ispezione contabile e direzione di uffici e impianti costituenti unità organiche di media entità o grandi ripartizioni interne di unità organiche di rilevante entità. La preposizione alle unità organiche o alle grandi ripartizioni interne delle unità organiche di rilevante entità comporta la piena responsabilità per le direttive o istruzioni impartite e per i risultati conseguiti”;

il 5 livello del contratto collettivo nazionale di lavoro SIP stabiliva, invece, che appartenevano allo stesso “i lavoratori che, in possesso di particolare preparazione e capacità professionale, esplicano funzioni direttive caratterizzate da facoltà di decisione nell’ambito dei programmi previsti e nella conduzione di organismi operativi, ovvero i lavoratori che svolgono funzioni specialistiche di elevato e particolare livello tecnico-professionale comportanti responsabilità ed autonomia di pari rilevanza”;

Il 4 livello del contratto collettivo nazionale SIP prevedeva che appartenevano allo stesso “i lavoratori che, in possesso di particolare e consolidata preparazione e capacità professionale, coordinano, con discrezionalità ed autonomia, sulla base delle disposizioni aziendali ricevute, importanti organismi operativi, ovvero coloro che – anche supportando altri lavoratori – svolgono funzioni di livello tecnico-professionale richiedenti caratteristiche di responsabilità ed autonomia equivalenti”;

orbene la Corte partenopea ha correttamente ritenuto che proprio la declaratoria di cui al 4 livello del contratto SIP fosse pienamente calzante all’inquadramento precedente del C. ed alle mansioni dallo stesso svolte valorizzando quale elemento comune la preparazione professionale specializzata, gli ampi margini di valutazione per il perseguimento dei risultati da conseguire, caratterizzanti, appunto, il profilo di “specialista”, laddove l’attribuzione del 5 livello aveva determinato la privazione delle mansioni di coordinamento di un gruppo di lavoro che, a ben guardare, era l’aspetto più importante della qualifica in precedenza rivestita (prevedente anche la “direzione di uffici e impianti costituenti unità organiche di media entità o grandi ripartizioni interne di unità organiche di rilevante entità”);

peraltro, come evidenziato in sentenza, la violazione del principio di tutela e salvaguardia della professionalità acquisita risultava ulteriormente confermata ove si ponevano a confronto le mansioni svolte all’appellante prima e dopo il novembre 1993, giacchè era risultato dimostrato dal confronto tra l’atto introduttivo del giudizio e la memoria di costituzione della società, che dopo tale data e nell’ambito del nuovo inquadramento, il C. si era visto sottrarre il coordinamento del personale ovvero il potere di direzione e coordinamento di squadre di tecnici con facoltà decisionale di scelta;

la Corte d’appello ha quindi apprezzato come congruo il 4 livello di inquadramento del ricorrente: si tratta di una tipica valutazione di merito, fondata su una corretta ricostruzione del quadro normativo e sui principi più volte affermati da questa Corte in relazione alla vicenda traslativa in esame, e pertanto, è censurabile solo per vizio di motivazione (ora nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5);

10. è del pari infondato il quinto motivo;

deve ritenersi corretta in diritto la pronuncia impugnata laddove ha individuato il danno da dequalificazione in via presuntiva ricostruendo i compiti svolti dal lavoratore e desumendo il pregiudizio, subito per effetto dello svilimento della professionalità, dalla sua durata e gravità, nonchè dall’anzianità di servizio dello stesso lavoratore;

in tal modo, infatti, la decisione del giudice di appello non si è posta in contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6572/2006; Cass. n. 4652/2009; Cass. n. 4991/2011; Cass. n. 19778/2014; Cass. 19923/2019), che ai fini della prova del danno da dequalificazione del lavoratore dipendente ammette il ricorso alla prova per presunzioni, desumibile da precisi elementi dedotti (come le caratteristiche, la durata, la gravità, la frustrazione di precise e ragionevoli aspettative di progressione professionale);

ed infatti i giudici di secondo grado non hanno ritenuto sussistente il danno da demansionamento in re ipsa, ma come lesione della professionalità del lavoratore, sulla base di un accertamento fortemente presumibile, hanno ancorato l’impoverimento del bagaglio professionale del ricorrente (revisore tecnico coordinatore) alla quantità e qualità del lavoro successivamente svolto, al tipo e alla natura della professionalità coinvolta, alla durata del demansionamento, alla diversa e nuova collocazione lavorativa dopo la lamentata dequalificazione;

si ricorda che questa Corte (v. Cass. n. 10315/2008) in una vicenda analoga ha ritenuto immune da censure l’accertamento del giudice di appello secondo il quale, se una dequalificazione non comporta l’immediata perdita della professionalità, tuttavia, trascorso un certo periodo di tempo si può senz’altro ritenere che i lavoratori specializzati in settori tecnologicamente avanzati rimangono privi progressivamente e irrimediabilmente dell’indispensabile, continuo aggiornamento teorico pratico; il che da un lato impedisce l’affinarsi e lo sviluppo di una professionalità nell’esecuzione del lavoro, dall’altro compromette una utile ricollocazione nella stessa azienda, o in generale, sul mercato del lavoro (si vedano nel medesimo senso Cass. 17525/2018; Cass. n. 25473/2018; Cass. 7483/2020);

11. il ricorso deve pertanto essere rigettato;

12. le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

13. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%, da corrispondersi all’avv. Ernesto Maria Cirillo, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quaterdà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

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