Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38210 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2021, (ud. 21/09/2021, dep. 03/12/2021), n.38210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16547/2018 proposto da:

EVEN GROUP S.A.S. DI A.D.G. &. C., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE PARIOLI, 56, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

SALUSTRI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5433/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/12/2017 R.G.N. 3678/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/09/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri che, in accoglimento del ricorso proposto da C.S., ha condannato la Even Group s.a.s. di A.D.G. & C. al pagamento delle differenze retributive spettanti in relazione all’accertato rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 20.10.2007 al 1.9.2011 con inquadramento nel IV livello del c.c.n.l. di categoria pari ad Euro 51.717,17 oltre accessori dovuti per legge.

2. La Corte territoriale ha accertato che dalla prova testimoniale assunta era risultata confermata la data di inizio del rapporto di lavoro (il 20.10.2007). Inoltre, ha ritenuto che non vi fossero elementi per ritenere non attendibili le dichiarazioni dei testi escussi genericamente contestati dalla società appellante. Ha ritenuto irrilevante, poi, la circostanza che nella lettera di dimissioni della lavoratrice era stata indicata una data di inizio del rapporto diversa evidenziando che, comunque, nel rito del lavoro la prova della simulazione può essere data anche per testi e che i testi, appunto, avevano confermato la data più risalente indicata dal lavoratore. Quanto alla consulenza contabile il giudice di appello ha accertato che i quesiti posti all’ausiliare del giudice erano coerenti con le emergenze dell’istruttoria svolta con riguardo all’orario di lavoro prestato ed alla decorrenza del rapporto. Sotto altro profilo poi ha evidenziato che comunque i calcoli effettuati dal consulente non erano stati oggetto di specifica e puntuale contestazione.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Even Group s.a.s. di A.D.G. & C. che ha articolato due motivi. C.S. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 246 c.p.c., per inadeguatezza della motivazione e violazione delle regole ermeneutiche. Deduce la ricorrente che la Corte di merito avrebbe fatto malgoverno dei principi che sovraintendono l’applicazione dell’art. 246 c.p.c., omettendo ogni motivazione circa la dedotta inattendibilità dei testi indotti dalla lavoratrice a cagione della avvenuta proposizione di un’azione contro la società datrice di lavoro (quanto alla teste Co.) e della assoluta inattendibilità del teste R.. Quanto alla prima sostiene che la testimonianza, ove pure ammissibile, avrebbe dovuto essere valutata con estrema attenzione. Quanto al secondo ribadisce la carenza di motivazione sull’eccezione di inattendibilità pure ritualmente formulata. Inoltre deduce che il teste S., da lei indotto, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, nulla aveva confermato di preciso quanto all’inizio del rapporto di lavoro.

5. La censura è inammissibile sotto vari profili.

5.1. Va rammentato che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.

5.2. Ciò premesso va evidenziato che la Corte di appello nel verificare se vi era la prova di un inizio del rapporto di lavoro in data antecedente rispetto a quella dichiarata dalla società ha preso in esame le allegazioni della società al riguardo e le ha ritenute generiche. Ha poi proceduto, nell’ambito del potere di apprezzamento del materiale probatorio riservato al giudice del merito, all’esame delle emergenze della prova testimoniale ricostruendo i fatti secondo il suo prudente apprezzamento non censurabile davanti al giudice di legittimità se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.3. Peraltro va ribadito che l’interesse che determina l’incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati e che tale interesse non si identifica con l’interesse di mero fatto, che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa (cfr. Cass. 12/05/2006 n. 11034 e molte altre successive, tra le altre Cass. 24/09/2014 n. 20106).

5.4. Tanto premesso e con riguardo alla censura formulata va rilevato che la stessa in parte finisce per dolersi della ricostruzione operata dal giudice del merito del materiale probatorio acquisito è si risolve in una ricostruzione che si contrappone a quella della Corte territoriale della quale però non denuncia una omessa valutazione di fatti decisivi.

5.5. Peraltro la censura e’, per alcuni aspetti, generica in quanto, pur dolendosi dell’illogica valutazione delle dichiarazioni rese da uno dei testi – il teste S. che a suo dire nulla avrebbe riferito quanto all’inizio del rapporto di lavoro – tuttavia non ne riporta il contenuto, neppure per sintesi, limitandosi assertivamente ad affermare che le dichiarazioni rese erano diverse da quelle riferite dalla Corte nella sentenza, precludendo così alla Corte di apprezzare sin dalla lettura del ricorso il contenuto della censura.

6. Anche il secondo motivo di ricorso – con il quale la società lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e deduce che dall’inattendibilità dei testi indotti dalla lavoratrice deriverebbe la mancanza di prova circa il fatto costitutivo della pretesa azionata (orari e giorni di lavoro in relazione ai quali erano pretese ed erano state riconosciute le differenze retributive) – è inammissibile poiché all’evidenza si risolve nella contrapposizione di una diversa valutazione del materiale probatorio non consentita in sede di legittimità.

7. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte della C. rimasta intimata. Va invece dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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