Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 38196 del 03/12/2021

Cassazione civile sez. I, 03/12/2021, (ud. 20/10/2021, dep. 03/12/2021), n.38196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16128/2016 proposto da:

Eurosa S.S., nella persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Francesco Macario, ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Lungotevere

Marzio, n. 1, giusta procura speciale a margine del ricorso per

cassazione.

– ricorrente –

contro

Comune di Terlizzi, nella persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Fernando Tripaldi, giusta procura

speciale a margine del controricorso, tutti elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. Enrico Liberati, in Roma, via

della Giuliana, n. 32.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BARI, n. 2063/2015,

depositata il 28 dicembre 2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 28 dicembre 2015, la Corte di appello di Bari ha rigettato l’appello proposto dalla Eurosa S.S. avverso la sentenza del Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia, n. 42 del 20 febbraio 2009, che aveva rigettato la domanda, formulata nei confronti del Comune di Terlizzi, di corresponsione delle provvidenze di cui alla L. n. 185 del 1992, art. 3, per un importo di Euro 780.381,83, e di risarcimento del danno, pari alla rivalutazione monetaria dal 31 gennaio 1995, sino al soddisfo, oltre interessi legali e spese del giudizio.

2. La Corte adita ha ritenuto infondato il primo motivo di appello non ravvisando nella fattispecie concreta i requisiti richiesti dalla L. n. 185 del 1992 e affermando che non trovava applicazione l’art. 2559 c.c., circoscritto ai soli crediti strettamente attinenti alla gestione dell’impresa; i giudici di secondo grado hanno ritenuto infondato anche il secondo motivo di gravame, condividendo la qualificazione giuridica del contratto offerta dal Tribunale, tenuto conto che nel contratto non si faceva alcun cenno alle provvidenze di cui alla L. n. 85 del 1992, non vi era accollo di posizioni debitorie, fatta eccezione per il mutuo fondiario erogato dall’Istituto San Paolo di Torino, non risultava esserci stata continuità aziendale e i beni ceduti dal B. (fondo rustico e pertinenze) non consentivano alcuna attività, per lo stato di totale deterioramento ed abbandono in cui si trovavano, proprio in seguito alla straordinaria nevicata del 1993, tanto che erano stati venduti ad un valore di gran lunga inferiore alle provvidenze invocate, come si evinceva dal confronto tra l’atto di vendita e la stima effettuata dal Dott. V..

3. La società Eurosa S.S. ricorre in Cassazione con atto affidato a due motivi.

4. Il Comune di Terlizzi resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 185 del 1992, art. 3, comma 2, lett. e), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato la Corte di appello a qualificare i contributi statali di cui alla L. n. 185 del 1992, alla stregua di una “forma di risarcimento”, connaturata ad un fatto illecito commesso da un soggetto nei confronti di altro soggetto, costituendo piuttosto i contributi in esame un sostegno “solidaristico” alle imprese agricole; la Corte di appello, muovendo dalla qualificazione dei contributi di cui si discute in termini risarcitori, ha errato nel desumere la non trasmissibilità del diritto a percepire i detti benefici, che avevano natura di contributi solidaristici e dovevano ritenersi strettamente connessi con il recupero del bene produttivo danneggiato; la Corte ha ulteriormente errato a negare il diritto dei contributi inconsiderazione della “natura soggettiva” dei contributi in questione, dovendo venire in rilievo l’accertamento degli effetti della calamità naturale rispetto ai beni produttivi danneggiati e il rapporto giuridico tra il soggetto richiedente e l’oggetto che (in via mediata) giustificava l’erogazione; nessuna rilevanza assumeva, di conseguenza, la circostanza che l’attività intesa a sfruttare i beni produttivi danneggiati fosse condotta da un imprenditore ovvero dal suo avente causa, quale successore nella titolarità dei detti beni produttivi, venendo in rilievo soltanto la sussistenza di un valido titolo di acquisto; la decisione della Corte territoriale era errata anche alla luce delle conclusioni della relazione tecnica predisposta dal tecnico del Comune che aveva messo in evidenza la natura oggettiva dei contributi in esame e dei principi regolatori del procedimento amministrativo di concessione di detti contributi; la considerazione, poi, svolta dalla Corte sull’asserita estraneità della società ricorrente all’evento dannoso era del tutto irrilevante ed erronea, non rilevando giuridicamente ai fini dell’applicazione della normativa in esame, in quanto il pregiudizio economico colpiva i beni fondiari aziendali e riguardava indirettamente il soggetto interessato al loro ripristino e alla loro ricostruzione e riconversione.

1.1 Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

1.2 E’ inammissibile nella parte in cui si duole della erronea qualificazione operata dalla Corte territoriale sulla natura risarcitoria, piuttosto che solidaristica, dei contributi previsti dalla L. n. 185 del 1992, stante che i giudici di merito con l’asserzione usata (“forma di risarcimento”) non hanno operato affatto una qualificazione giuridica (come emerge, all’evidenza, dalla lettura dell’intera motivazione), né la stessa integra un’autonoma ratio decidendi idonea a sorreggere di per sé sola la decisione sul punto, venendo in rilievo, piuttosto, l’ulteriore iter argomentativo svolto nel prosieguo della sentenza, dal quale emerge, invece, che la non trasmissibilità del diritto a percepire i detti benefici, non ha trovato la sua ragione fondante nella qualificazione dei contributi in termini risarcitori.

1.3 In merito e a conferma della natura solidaristica dei contributi in esame, va richiamata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 708, che ha affermato che la L. 14 febbraio 1992, n. 185, art. 3, comma 2, lett. c, “in tema di contributi in caso di calamità naturali o di avversità atmosferiche di carattere eccezionale, non introduce un meccanismo di re fusione dei danni, proporzionale ai medesimi, ma solo un meccanismo solidaristico, con il quale la collettività interviene a sostegno dei consociati colpiti dall’evento eccezionale. La norma, in altri termini, non prevede affatto che i contributi di cui si tratta siano parametrati alle colture praticate o ad altro elemento di quantificazione del danno diversi dalla produzione lorda, e nemmeno i successivi commi, che pure disciplinano compiutamente le diverse forme di intervento finanziario contengono analoga previsione”.

1.4 Il motivo è pure infondato.

1.5. Deve premettersi, al riguardo, che il contratto in esame è stato stipulato da C.V., C.A. e C.C., con il precedente titolare, B.D.F., in data 31 dicembre 1993; il B. aveva chiesto al Comune di Terlizzi, in data 29 aprile 1993, la concessione del contributo a fondo perduto, ai sensi della L. n. 185 del 1992, art. 3, comma 2, lett. e), per la realizzazione delle opere necessarie a riparare i danni subiti dall’azienda a seguito della straordinaria nevicata del 2/3 gennaio 1993; che gli acquirenti avevano comunicato al Comune di Terlizzi la variazione della titolarità dell’azienda; che l’istanza di concessione del contributo era stata rigettata due volte dal Comune di Terlizzi, la seconda, nonostante il parere positivo del funzionario del Comune incaricato dell’istruttoria al riconoscimento della concessione del beneficio in esame; che, con atto di citazione notificato il 19 marzo2003, la Eurosa s.s., in persona dei soci C.V., C.C., C.A., avevano convenuto in giudizio il Comune di Terlizzi per il pagamento della somma di Euro 780.381,83, oltre al risarcimento dei danni, interessi legali e spese.

1.6 Tanto premesso, l’art. 3 (rubricato “Interventi per favorire la ripresa dell’attività produttiva”), della L. 14 febbraio 1992, n. 185, ratione temporis applicabile, stabilisce:

Al comma 1: “Hanno titolo agli interventi di cui al presente articolo e agli artt. 4 e 5, le aziende agricole, singole ed associate, ricadenti nelle zone delimitate, che abbiano subito danni non inferiori al 35 per cento della produzione lorda vendibile, esclusa quella zootecnica…”.

Al comma 2, lett. e): “Le aziende agricole di cui al comma 1, hanno titolo ai seguenti interventi: lett. e) concessione di mutui decennali, a tasso agevolato, con preammortamento triennale a tasso agevolato, per il ripristino, la ricostruzione e la riconversione delle strutture fondiarie aziendali danneggiate, ivi compresi impianti arborei, vivai, serre e opere di viabilità aziendale. I mutui anzidetti vengono considerati operazioni di credito agrario di miglioramento. In alternativa alla concessione di mutui decennali a tasso agevolato, possono essere concessi contributi in conto capitale, secondo le modalità e le misure previste dalla L. 21 luglio 1960, n. 739, art. 1, comma 4, e successive modificazioni”.

1.7 Ciò posto, il tenore letterale della norma, è chiaro nell’individuare, quali soggetti titolati a richiedere gli interventi previsti dalla legge, le aziende agricole, sia esse associate, che singole, ricadenti nelle zone delimitate e che abbiano subito danni non inferiori al 35 per cento della produzione lorda vendibile, esclusa quella zootecnica e nel prevedere, per quel che rileva in questa sede, che, in alternativa, alla concessione di mutui decennali a tasso agevolato, possono essere concessi contributi in conto capitale, secondo le modalità e le misure previste dalla L. 21 luglio 1960, n. 739, art. 1, comma 4, e successive modificazioni”.

1.8 Ciò è sufficiente per ritenere insussistente il vizio di violazione di legge dedotto, avendo la Corte di appello correttamente affermato che, tenuto conto che il contributo in questione poteva essere erogato per favorire la ripresa dell’attività produttiva (ovvero per il ripristino, la ricostruzione e la riconversione delle strutture fondiarie aziendali danneggiate) la sua erogazione implicava un’istruttoria anche in merito all’individuazione del soggetto danneggiato (elemento soggettivo) e che, nella fattispecie in esame, l’Eurosa era estranea all’evento dannoso, che aveva, invece, colpito il B.; i giudici di secondo grado, inoltre, con un’autonoma ragione del decidere, che non è stata minimamente censurata, hanno affermato che il B., al momento della cessione, non aveva conseguito alcun diritto di credito trasmissibile con il contratto di compravendita, nel quale, infatti, non si era fatto cenno alle provvidenze di cui alla L. n. 185 del 1992. Soccorrono, in merito, alcuni principi statuiti nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2017, n. 4505, secondo cui: “la regola, secondo cui l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, nulla ha a che fare con l’assunzione di obblighi di carattere pubblicistico con l’amministrazione in materia di finanziamenti pubblici, concernendo solo i negozi di diritto privato precedentemente stipulati e vale, inoltre, per omogeneità di ratio, il consolidato principio dell’intrasmissibilità dei rapporti giuridici derivanti da provvedimenti autorizzatori e concessori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5268; IV, 28 maggio 2002, n. 2940; IV, 7 marzo 2013, n. 1403)”.

1.9 Le Sezioni Unite di questa Corte, inoltre, hanno statuito, che il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso, e, configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest’ultimo nell’ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario (Cass., Sez. U., 16 febbraio 2016, n. 2951).

In particolare, questa Corte, nella sentenza richiamata, ha affermato che: il diritto al risarcimento dei danni cagionati ad un bene non costituisce un accessorio del diritto di proprietà ma è un diritto di credito, distinto ed autonomo rispetto al diritto reale; l’autonomia comporta che il diritto al risarcimento del danno subito dall’immobile, in caso di alienazione del bene, non si trasferisce insieme al diritto reale come accadrebbe se fosse un elemento accessorio, ma è suscettibile solo di specifico atto di cessione ai sensi dell’art. 1260 c.c.; di conseguenza, quando accanto all’atto di trasferimento della proprietà, non vi sia stato un atto di cessione del credito, il diritto al risarcimento dei danni compete esclusivamente a chi, essendo proprietario del bene al momento dell’evento dannoso, ha subito la relativa diminuzione patrimoniale.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1369 c.c.; L. n. 185 del 1992, art. 3, comma 2, lett. e); difetto e contraddittorietà della motivazione in relazione a un punto decisivo della controversa, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’interpretazione e qualificazione del contratto intercorso tra le parti: la Corte di appello ha errato nel qualificare il contratto stipulato tra le parti in data 31 dicembre 1993 come vendita immobiliare e non come cessione d’azienda, poiché aveva avuto ad oggetto un fondo rustico organizzato per lo sfruttamento produttivo, sul quale insistevano otto serre, nonché gli impianti di irrigazione e sollevamento del pozzo artesiano esistente, l’impianto di riscaldamento automizzato, gli impianti elettrici con i relativi quadri di distribuzione in bassa tensione, nonché tutte le piantagioni esistenti, sul quale insistevano otto serre; del tutto insignificanti erano, dunque, gli elementi assunti dal Giudice a motivo del suo convincimento sulla errata qualificazione dell’atto, come vendita preclusiva del diritto a richiedere i contributi.

2.1 Il motivo è inammissibile, perché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).

2.2 Non sussiste nemmeno la dedotta violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale espressi dagli artt. 1362,1363 e 1369 c.c., che la società ricorrente si limita a richiamare genericamente.

E’ noto che la ricerca e la individuazione della comune volontà dei contraenti è un tipico accertamento di fatto riservato istituzionalmente al giudice del merito, il cui risultato è sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (Cass., 5 dicembre 2017, n. 29111) e che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass., 10 maggio 2018, n. 11254;Cass.,12 gennaio 2006, n. 420).

2.3 Orbene, fermi tali principi di diritto, nel caso in esame la società ricorrente si è limitata a censurare il ragionamento seguito dalla Corte territoriale, senza spiegare il perché avesse deviato dalle regole di ermeneutica contrattuale e non avesse rispettato la volontà dei contraenti, prospettando solamente una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, peraltro applicando gli stessi canoni di interpretazione utilizzati dai giudici di merito.

2.4 La Corte di appello, con un percorso argomentativo che non è stato adeguatamente censurato, se non in termini di “elementi insignificanti”, condividendo la qualificazione giuridica del contratto offerta dal Tribunale come contratto di vendita e non come contratto di cessione di azienda, ha evidenziato, specificamente, che non vi era stato accollo di posizioni debitorie, fatta eccezione per il mutuo fondiario erogato dall’Istituto San Paolo di Torino, e che non risultava esserci stata continuità aziendale, poiché i beni ceduti dal B. non consentivano alcuna attività, proprio in ragione dello stato di totale deterioramento ed abbandono in cui si trovavano, tanto che erano stati venduti ad un valore di gran lunga inferiore alle provvidenza invocate, come si evinceva dal confronto tra l’atto di vendita e la stima effettuata dal Dott. V..

Ciò, peraltro, conformemente ai principi statuiti da questa Corte secondo cui il carattere precipuo dell’azienda, secondo la nozione civilistica dell’istituto, è “l’organizzazione dei beni finalizzata all’esercizio dell’impresa”, intesa come opera unificatrice dell’imprenditore funzionale alla realizzazione di un rapporto di complementarietà strumentale tra beni destinati alla produzione. Ne consegue la legittimità della configurazione, da parte del giudice di merito, della fattispecie della cessione di azienda tutte le volte in cui la relativa convenzione negoziale abbia avuto ad oggetto il trasferimento di beni organizzati in un contesto produttivo (anche solo potenziale) dall’imprenditore per l’attività d’impresa, non rilevando senza che risulti di ostacolo alla configurabilità della cessione né la eventuale mancanza attuale del cosiddetto “avviamento”, né la destinazione dei beni aziendali altro settore produttivo da parte dall’acquirente, purché la nuova produzione si realizzi, pur sempre, attraverso tale complesso di beni già organizzati dal precedente imprenditore (Cass., 28 aprile 1998, n. 4319; Cass., 25 gennaio 2002, n. 897).

Nel caso in esame, i giudici di appello hanno qualificato il contratto in esame, stipulato singolarmente, quali acquirenti, da C.V., C.A. e C.C., come un contratto di compravendita (le stesse parti, peraltro, hanno attribuito il nomen iuris di compravendita all’atto posto in essere), ravvisando la cessione del solo fondo rustico, con annessi due fabbricati rurali, inidoneo di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, in presenza di un quadro organizzativo dismesso proprio in ragione della calamità naturale verificatasi il 2/3 gennaio 1993.

E’, difatti, l’organizzazione, finalizzata alla produzione, dei singoli beni che costituiscono l’azienda, oltre che il carattere rivelatore dell’azienda stessa e che conferisce al complesso dei beni il carattere di complementarietà necessario perché possa attribuirsi ad esso la definizione di azienda, mentre i beni, singolarmente considerati, prospettano solo la loro specifica essenza, ma non anche la loro organizzazione; il che induce, immancabilmente, a rimarcare l’opera unificatrice dell’imprenditore con riferimento sia al momento della cessione dei beni, sia al momento del loro acquisto da parte di altro imprenditore, perché è il mantenimento del rapporto di complementarietà dei beni finalizzato alla produzione che, di per sé, determina la esatta qualificazione (Cass., 28 aprile 1998, n. 4319, citata).

3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal Comune controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

 

 

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