Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3817 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. I, 17/02/2010, (ud. 12/11/2005, dep. 17/02/2010), n.3817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 4586 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2005, proposto da:

M.M., MA.MA. E B.

M.G., quali eredi di m.m., elettivamente

domiciliati in Roma, Viale di Villa Grazioli n. 5, presso l’avv.

Tonachella Amedeo che, con l’avv. Vincenzo Coppola, li rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso.

– ricorrenti –

contro

HOME SHOPPING EUROPE BROADCASTING s.p.a. (nuova ragione sociale di

VALLAU ITALIANA PROMOMARKET s.r.l.), con sede in (OMISSIS)

((OMISSIS)), in persona degli amministratori delegati e

legali

rappresentanti p.t. ing. F.M. e Dr. G.F.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via G. Belloni n. 88, presso

l’avv. Prosperetti Giulio, che la rappresenta e difende, per procura

a margine del controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, prima sezione

civile, n. 1252, del 4 giugno – 13 settembre 2004.

Udita, all’udienza del 12 novembre 2009, la relazione del Cons. Dr.

Fabrizio Forte.

Uditi l’avv. Antonella Barbieri, per delega dell’avv. Prosperetti,

per il controricorrente, il P.M. Dr. LECCISI Giampaolo che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 13 agosto 2002, rigettava la domanda proposta da m.m. nei confronti della s.r.l.

Vallau Italiana Promomarket, per il pagamento di L. 4 64.694.258 quale compenso residuo per i diritti d’autore ancora dovutogli a integrazione della somma mensile di L. 3.000.000 oltre IVA, versata ad una società e destinata all’istante, per effetto d’un contratto scritto concluso dalle parti, avente ad oggetto l’attività dell’attore, svolta nell’ideazione e esecuzione di programmi televisivi prodotti e trasmessi dalla convenuta. Ad avviso del primo giudice era valida la previsione, nel contratto di cui sopra, di un compenso minore rispetto a quello previsto dalle tabelle SIAE, per le attività oggetto dell’accordo, non essendo tali tabelle imperative ed essendo disponibili i diritti in esse regolati anche per somme minori; pertanto il versamento mensile erogato, come confermato dai testi escussi, doveva ritenersi comprendere il corrispettivo di tutte le prestazioni del M..

L’appello degli eredi dell’attore, deceduto nelle more, M. M. e Ma. e B.M.G., impugnava la sentenza di primo grado, per avere ritenuto che il compenso fissato in contratto coprisse anche i diritti d’autore per le sceneggiature e i testi delle trasmissioni televisive della emittente “Rete Mia” di proprietà di controparte e non la sola “realizzazione” di esse da m.m. quale attore e protagonista dei programmi, nessun rilievo avendo il fatto che egli fosse collaboratore stabile o “consulente” della emittente televisiva, come previsto in contratto.

Secondo gli appellanti, dalla prova testimoniale assunta erroneamente il Tribunale aveva dedotto che il corrispettivo concordato fosse comprensivo di quanto dovuto per diritti d’autore, che invece non era stato interamente corrisposto, per cui erano dovute le differenze pretese.

A tale gravame ha resistito la Home Shopping Europe Broadcasting s.p.a., succeduta alla originaria convenuta, e l’appello è stato rigettato con sentenza del 13 settembre 2004, notificata il 30 dicembre successivo, della Corte d’appello di Firenze.

La Corte di merito non solo ha considerato valido il contratto di cui sopra da leggere nei sensi indicati dal tribunale, ma ha ritenuto “alquanto dubbio che i programmi ideati dal M.” potessero considerarsi “opere dell’ingegno … come tali … tutelate dalla legge sul diritto d’autore”, perchè privi di “interesse culturale” e contenenti “divagazioni demenziali” del dante causa degli appellanti nei programmi ideati, definito nel contratto “consulente” della controparte (le parole tra virgolette sono alle pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata).

Le idee del M. prevedevano infatti trasmissioni, la cui ideazione non esprimeva alcuna creatività sia pure soggettiva, essendo l’andamento del programma rimesso alla improvvisazione e alla capacità di attore, interprete e protagonista dello stesso ideatore, come poteva rilevarsi dalla descrizione di alcune di tali ideazioni, con la previsione dei titoli e il richiamo a dialoghi improvvisati del presentatore-protagonista con gli spettatori in studio, i telespettatori o soggetti incontrati in strada e coinvolti in scherzi o nella soluzione di indovinelli.

L’appello era quindi rigettato e le spese del secondo grado erano poste a carico degli appellanti M. e B. che, per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso di tre motivi, notificato il 15 febbraio 2005, cui ha replicato con controricorso, notificato il 24 marzo 2005, la Home Shopping Europe Broadcasting s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione della L. 22 aprile 1941, n. 633, artt. 1 e 110 e dell’art. 2581 c.c., dalla sentenza impugnata, per avere negato il carattere creativo delle opere di m.m. e la tutelabilità dei suoi diritti quale autore dei programmi televisivi utilizzati da controparte, in applicazione della norme che precedono e che si pretendono disapplicate.

La L. n. 633 del 1941, art. 1, specifica che sono opere dell’ingegno quelle appartenenti “alla letteratura, alla musica … al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione” ed è norma che, secondo la giurisprudenza costante della Cassazione, tutela la creatività in senso soggettivo a differenza di quanto accade nell’invenzione, non occorrendo quindi, per domandare i diritti di utilizzazione di tali opere, una creazione oggettiva, assolutamente originale e nuova, nè potendo escludersi tale tutela per avere l’opera un contenuto minimo o fondato su nozioni modeste o elementari (si cita in ricorso Cass. 11 agosto 2004 n. 15496).

La Corte di merito avrebbe dovuto dedurre dallo stesso contratto concluso dalle parti per iscritto, il trasferimento della titolarità dei diritti di sfruttamento economico delle opere di ingegno del M. alla emittente appellata, la quale per essi doveva versare il residuo corrispettivo all’autore.

La controricorrente deduce l’inammissibilità o infondatezza del motivo di ricorso che denuncia solo l’errata valutazione, dai giudici del merito, dei caratteri creativi e originali delle idee di programmi televisivi realizzate dal M., in base alle prove documentali in atti e a quelle testimoniali assunte, le cui risultanze non sono in alcun modo smentite dal ricorso, che neppure in sintesi precisa gli errori della Corte d’appello.

Non è chiara la ragione per cui è censurata la sentenza della Corte d’appello che esclude ogni originalità e creatività dei programmi oggetto di causa, perchè frutto di improvvisazione del M., con una valutazione nel merito delle idee proposte per realizzare trasmissioni, la cui struttura non risulta chiara, domandando comunque un nuovo esame di esse, precluso in sede di legittimità.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la contraddittorietà di motivazione della sentenza impugnata, fondata sulla pretesa modestia della qualità dei programmi televisivi ideati dal dante causa dei ricorrenti, per affermarne la non tutelabilità come opere di ingegno. Da tale premessa contestabile è dedotta dai giudici del merito la omnicomprensività del compenso di cui al contratto concluso dalle parti originarie della causa, confermata pure dai testi, senza rilevare che con essa si giustifica pure la mancata previsione nel detto atto, di qualsiasi corrispettivo per i diritti d’autore per la utilizzazione dei programmi dalla emittente per i due anni successivi, mentre il pagamento mensile copriva le sole prestazioni d’esecuzione dei programmi del M., versato alla società gestita dal figlio di questo.

Pur mancando un atto in forma scritta che prevedesse la cessione del diritto d’autore dal dante causa dei ricorrenti alla società del figlio, deve considerarsi che di tale diritto era stato pagato solo il 10% di quanto fissato nelle tabelle SIAE, e quindi deve presumersi per i ricorrenti che il M. potesse pretendere le differenze chieste, avendo controparte fatto circolare e utilizzato le trasmissioni ideate dall’altro contraente, dopo la loro realizzazione.

La società controricorrente, non avendo corrisposto i diritti d’autore al M., non poteva trasmettere i programmi di lui successivamente alla loro realizzazione, avendo pagato solo quanto dovuto per l’attività di esecuzione delle trasmissioni e non il compenso per la creazione dei programmi.

Replica la resistente che, in mancanza della stessa opera d’ingegno accertata dalla Corte di merito, non poteva che rilevarsi, come punto decisivo della pronuncia di questa, l’affermata omnicomprensività del corrispettivo, confermata dalle deposizioni dei testi Ma. e C. oltre che dal comportamento dello stesso M. che, nei due anni di esecuzione di programmi per l’emittente, mai aveva chiesto a quest’ultima i diritti d’autore oggetto di causa.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza di merito per falsa applicazione dell’art. 2581 c.c. e della citata L. n. 633 del 1941, art. 110. Il compenso forfettizzato cui si riferiscono i giudici del merito attiene alla mera attività esecutiva di regista, sceneggiatore e attore di m.m., ma non copre il diritto d’autore, risultando che esso è stato corrisposto ad una società di capitali gestita dal figlio di lui, con la conseguenza che a questa si sarebbero ceduti oralmente tali diritti, in violazione della L. n. 633 del 1941, art. 110, non prevedendosi compenso per l’opera di ingegno poi sfruttata dalla controricorrente. Deduce la resistente che tale motivo di ricorso attiene al merito della controversia, di cui è chiesto un inammissibile riesame in sede di legittimità.

2.1. Il primo motivo d’impugnazione è infondato in ordine alla violazione di entrambe le norme in esso indicate, anche se è opportuna una precisazione della motivazione di merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Indipendentemente dallo speciale diritto di utilizzare le opere televisive dell’emittente di esse, di cui all’art. 65 della legge sul diritto d’autore e al D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685, art. 11 (Cass. 2 settembre 2005 n. 17699), la pronuncia di merito considera immeritevoli di tutela le idee dei programmi posti del M., dubitando che le stesse possano qualificarsi “opere dell’ingegno”.

La Corte d’appello giunge a tale conclusione in ragione del carattere di mero “passatempo” delle idee proposte dall’originario attore e a causa della loro carenza di “ambizione culturale”, negandone la “creatività” anche solo soggettiva e la loro tutelabilità, ai sensi della legge sul diritto d’autore, anche se ne rileva la “originalità”.

La Corte di merito, ritenuta non provata la esistenza di dialoghi redatti e di sceneggiature predisposte dal M. per i programmi per cui è causa, descrive le relative trasmissioni come costituite da un titolo e da uno sviluppo degli eventi da trasmettere improvvisato, pur se da svolgere nell’ambito di un’idea proposta per dialoghi solo eventuali, in base a quanto poteva accadere in trasmissione tra l’attore-presentatore e i terzi.

Pur affermandosi che il concetto giuridico di creatività nel diritto d’autore è comunque soggettivo e prescinde da una assoluta novità e originalità dell’opera, ritenendosi tutelabile anche idee modeste e nozioni semplici (così Cass. 12 marzo 2004 n. 5089, anteriore alla sentenza citata in ricorso cui si rifà anche Cass. 27 ottobre 2005 n. 20925), si è però sempre ritenuto necessario, per la tutelabilità del diritto d’autore, che tali idee possano essere colte “nella loro individualità, quale oggetto di elaborazione personale di carattere creativo da parte dell’autore” (Cass. 29 maggio 2003 n. 8597).

La Corte d’appello ha invece negato nella specie la stessa configurabilità del concetto di opera dell’ingegno, ritenendo inesistenti i caratteri dei cd. “formats” o “formati” nelle idee di programmi e trasmissioni proposte dal M. e oggetto di causa, per la mancanza di un loro “canovaccio” idoneo a caratterizzarne il concreto svolgimento, con indicazione degli eventi da trasmettere di regola improvvisati, per cui l’andamento del programma era rimesso alle doti d’attore del M..

In assenza di una definizione normativa del concetto di “format”, cioè della cd. idea base di programma televisivo come modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni, non può che farsi riferimento a quanto risulta dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66 del 1994, p. 546, in ordine ad esso ai fini del deposito delle opere dell’ingegno, anche perchè lo stesso M. e i suoi eredi fanno espresso riferimento alla stessa Società e alle tabelle da essa predisposte, per la liquidazione di quanto, preteso in questa causa a titolo di diritti d’autore.

Per la SIAE “si intende per formato l’opera d’ingegno, avente struttura originale esplicativa di uno spettacolo e compiuta nelle articolazioni delle sue fasi sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un’azione radiotelevisiva o teatrale, immediatamente o attraverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli. Ai fini della tutela, l’opera deve presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi”.

Tali caratteri non si sono ritenuti sussistere nella fattispecie dalla Corte di merito, per la carenza delle “articolazioni sequenziali” dei programmi ideati, cioè di un canovaccio o “struttura narrativa di base” e di “apparato scenico”, che consentissero ai giudici di individuare l’opera da tutelare nei suoi caratteri minimi per qualificarla “format”, non identificato nel.

caso per i contenuti minimi delle succinte proposte del M. non ritenute meritevoli di tutela per la loro modestia.

Anche per la prevalente giurisprudenza di legittimità, il contenuto dell’opera rileva in quanto sia configurabile una forma o struttura esplicativa del programma, che nel caso si è negato esservi, con motivazione concisa ma sufficiente a escludere la tutela domandata (così con Cass. cit. n. 5089/04, cfr. Cass. 23 novembre 2005 n. 24594 e 24 luglio 2006 n. 16888).

Si è ritenuta legittima l’utilizzazione dei programmi dall’emittente in base al D.Lgs. 16 novembre 1992, n. 685 (Cass. 2 settembre 2005 n. 17699), negandosi alle idee a base di essi, la qualifica di opere di ingegno e il diritto d’autore su cui fonda la sua pretesa il M..

La Corte fiorentina, nella motivazione scarna ma adeguata della sentenza, non si sofferma sulla L. n. 633 del 1941, art. 2, rilevando che, dall’esame dei documenti prodotti da parte attrice in primo grado, i programmi televisivi cui egli aveva dato il titolo, consistevano in meri colloqui tra attore-autore dello spettacolo e pubblico o ospiti su vari argomenti non specificamente individuati, con dialoghi improvvisati, mancando in essi una struttura predefinita, necessaria ad integrare il format come opera dell’ingegno tutelabile ai sensi della L. n. 633 del 1941.

Pur non disconoscendo la originalità delle idee, ritenuta sussistente anche nella sentenza di merito, la modestia e pochezza di esse ha comportato la negazione della loro creatività, sia pure soggettiva, perchè non si sviluppano in un canovaccio precostituito ma solo in base a quanto verrà chiesto dai terzi o a costoro dal presentatore, in funzione cioè di eventi imprevedibili, con impossibilità di predisporre dialoghi e testi delle trasmissioni, caratterizzate da pochezza dei contenuti.

In assenza dell’opera dell’ingegno, nessuna tutela può essere accordata solo all’esistente titolo dei programmi proposti dal M., mancando l’opera di ingegno cui essi accedono (Cass. 19 dicembre 2008 n. 29774 e la cit. n. 16888 del 2006).

Inoltre, non essendo legalmente disciplinato il contratto di trasferimento dei diritti d’autore per il quale è prevista solo la “forma scritta” ad probationem dagli articoli di legge che il ricorrente deduce essersi violati, la interpretazione dell’accordo a base delle pretese in controversia, costituisce una mera quaestio voluntatis rimessa all’interpretazione del giudice del merito, logicamente sufficiente e non violativa di norme con infondatezza anche per tale profilo del primo motivo di ricorso (Cass. 6 novembre 2008 n. 26626).

La censura diviene inammissibile anche in ragione della pretesa disapplicazione della citata L. n. 633 del 1941, art. 110, una volta che si è esclusa la esistenza dei diritti di utilizzazione dell’opera d’ingegno da trasferire con atto scritto ad probationem ai sensi dell’art. 2581 c.c. e della norma speciale che precede, precetti comunque inapplicabili alla concreta fattispecie.

2.2. Per tutto quanto non resta assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso anche nel secondo, quest’ultimo, relativo all’altra ratio decidendi della sentenza di merito che ha confermato la validità e legittimità del contratto concluso dalle parti e la portata del suo contenuto di cui alla decisione di primo grado, deve dichiararsi inammissibile in ordine alla dedotta contraddittorietà della motivazione su tali punti decisivi.

Nella sentenza infatti, da un canto si afferma che la mancata previsione nel contratto concluso dal M. con la emittente televisiva di un prezzo o compenso del diritto di utilizzare per due anni le sue trasmissioni, è sintomatica della assenza di un diritto d’autore da tutelare nella fattispecie e d’altro canto si perviene alla stessa conclusione, con un’analisi delle idee di programmi del dante causa dei ricorrenti non configurabili come opere dell’ingegno da tutelare.

L’avere il M. accettato un compenso pari al 10% di quanto previsto dalle Tabelle SIAE per la creazione di programmi televisivi, ove queste fossero qualificabili come formats ed opere di ingegno, conferma e non smentisce che tra le parti del contratto per cui è causa s’era esclusa l’esistenza di diritti d’autore da utilizzare per la società emittente successivamente.

Di conseguenza, anche il pagamento ad un terzo del corrispettivo per le attività di cui al contratto per cui è causa, cioè ad una società di capitali gestita dal figlio di M.M., non presupponendo il trasferimento dei diritti di utilizzazione di programmi di cui è negata l’esistenza, è compatibile con l’assenza di un atto in forma scritta per trasferire il compenso concordato e ritenere la retribuzione comprendente tutta l’attività svolta dal dante causa dei ricorrenti per la controparte, nel rapporto di consulenza e collaborazione regolato in contratto (sul diritto d’autore nei contratti di lavoro: Cass. 1 luglio 2004 n. 12089).

Non vi è stato bisogno di alcun consenso per iscritto dell’autore a utilizzare le trasmissioni da lui realizzate nei due anni successivi per l’emittente, in mancanza di un’opera dell’ingegno da tutelare, dovendosi considerare che la forma scritta ad probationem per la cessione dei diritti d’autore, ha solo la funzione di provare il titolo per evitare ai successivi aventi causa utilizzatori dell’opera, di vedersi pretendere compensi aggiuntivi da chi ha ricevuto gli stessi diritti da altri.

2.3. Va esclusa anche la falsa applicazione dell’art. 2581 c.c., per le stesse ragioni per le quali si è negata l’applicabilità della L. n. 633 del 1941, art. 110, e tale conclusione comporta l’ammissibilità della prova testimoniale assunta nel merito in primo grado sul carattere omnicomprensivo del compenso concordato.

Anche a non ritenere il motivo quale censura della sola decisione del tribunale e non della Corte d’appello, come tale inammissibile, il dante causa dei ricorrenti, nel chiedere il pagamento dei diritti d’autore, di cui si è negata la esistenza, nessun richiamo opera al diritto all’equo compenso che a lui sarebbe spettato quale interprete ed esecutore, ai sensi dell’art. 2579 c.c., per la successiva trasmissione del programma di cui egli è stato il protagonista anche con improvvisazioni originali.

Il terzo motivo di ricorso pertanto, per la parte in cui non è inammissibile, non può che essere anche esso rigettato, perchè infondato.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di cassazione, per la soccombenza, devono porsi a carico dei ricorrenti in solido e liquidarsi nella misura di cui al dispositivo in favore della, controricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare alla controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00 (cinquemila duecento/00), dei quali Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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