Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3816 del 15/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 15/02/2021), n.3816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2432/2015 proposto da:

D.P.P., C.A., L.P.M.,

P.L., CE.SA., T.S., D.S.,

M.L., CA.GI., TR.RO., F.A.,

DO.ER., MO.BI., PO.GI.FR., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DUILIO, 7, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO MARETTO, rappresentati e difesi dall’avvocato ARNALDO

FAIOLA;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA USL DI LATINA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1068/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/06/2014 R.G.N. 2136/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ARNALDO FAIOLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 19.6.14, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del 2.12.10 del tribunale di Latina, ha rigettato la domanda dei lavoratori in epigrafe – infermieri professionali presso il pronto soccorso di (OMISSIS), ASL Latina – volta alla corresponsione delle indennità per utilizzo della strumentazione cosiddetta POCT (Point of care testing), per analisi effettuate vicino al paziente in situazione di urgenza, anche per il periodo seguente il 31.12.2004 (data di scadenza del progetto prevista sulla base della Delib. di avvio – n. 1295/2003 – e delle Delib. di proroga – n. 778 del 2004 e n. 1176 del 2004).

2. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che l’utilizzazione di tali strumenti nell’ambito delle mansioni degli infermieri fosse aggiuntivo nell’ottica del servizio reso alla collettività e non invece in relazione ai compiti dei singoli operatori e, rilevato che tale utilizzo era stato incentivato con la previsione di apposito fondo di produttività destinato ad operare solo in una prima fase di avvio, non trovando l’erogazione permanente delle somme relative causa nella contrattazione collettiva aziendale, ha escluso il diritto dei lavoratori alle somme in questione. La corte territoriale ha altresì escluso la fondatezza della domanda subordinata svolta ex art. 2041 c.c., trattandosi di esercizio della mansioni proprie del personale coinvolto e secondo le finalità istituzionali.

3. Avverso tale sentenza ricorrono i lavoratori per un motivo, I’ASL è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con unico motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – vizio di motivazione e violazione di legge (ed in particolare degli artt. 167 e 115 c.p.c., art. 1362 c.c., L. n. 42 del 1999, D.M. n. 739 del 1994, D.M. n. 745 del 1994, D.M. 2 aprile 2001, art. 2229 c.c. e art. 32 Cost.), per non avere la sentenza impugnata considerato da un lato le mansioni concretamente dedotte dai lavoratori e non contestate dalla Asl (ed in particolare la tipologia delle apparecchiature disponibili – coagulometro; contaglobuli; emogasanalizzatore; analizzatore per marcatori cardiaci; strumento per parametri biochimici; lettore di strisce per urine – e le loro modalità d’uso, con piena autonomia degli operatori, incaricati anche della taratura quotidiana degli strumenti e del loro controllo di qualità) e, dall’altro lato, il carattere aggiuntivo dell’utilizzo della strumentazione rispetto alle mansioni proprie della figura professionale quale definite dalle fonti richiamate, oggetto peraltro di specifica retribuzione aggiuntiva sebbene solo per un periodo precedente.

5. Il ricorso è inammissibile nella parte in cui si lamenta la violazione del principio di non contestazione e del principio dispositivo, in quanto non parametrato ai contenuti della sentenza. Non vi è alcun accertamento di mansioni diverse rispetto a quelle poste a base della sentenza di primo grado sulla base del principio di non contestazione; il giudice dell’appello ha piuttosto ritenuto che le mansioni allegate fossero di competenza del profilo dell’infermiere professionale.

6. Ne consegue la inammissibilità delle ulteriori censure mosse sotto il profilo del vizio di motivazione, in quanto non vi è questione di omesso esame di fatti storici ma piuttosto di sussunzione di quei fatti nella mansioni dell’infermiere professionale.

7. Per il resto, il ricorso è infondato.

8. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede che il prestatore di lavoro deve essere adibito “alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi”. Gli artt. 2 e 45 del decreto riservano, poi, alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio, escludendo che il datore di lavoro pubblico, nel contratto individuale, possa attribuire un trattamento diverso, anche se di miglior favore per il dipendente.

9. Analizzando il complesso di dette disposizioni questa Corte ha ripetutamente affermato che la disciplina tiene conto delle perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore, condizionato nella organizzazione del lavoro da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse (in tal senso Cass. 21 maggio 2009, n. 11835 e Cass. 11 maggio 2010, n. 11405). Non è poi senza rilievo, ai fini che qui interessano, sottolineare che il datore di lavoro pubblico incontra precisi limiti nella determinazione del trattamento economico spettante al personale, poichè detta voce di spesa deve essere “evidente, certa e prevedibile nella evoluzione” (art. 8), con la conseguenza che il trattamento economico non può che essere quello definito dai contratti collettivi (art. 45, commi 1 e 2), la cui conclusione è assoggettata ad un rigoroso procedimento di determinazione degli oneri finanziari conseguenti (art. 47).

10. La questione che qui viene in rilievo, relativa alla sussistenza del diritto del dipendente pubblico ad essere retribuito ex art. 36 Cost., per la prestazione aggiuntiva resa nell’ambito del normale orario di lavoro, non può prescindere dal quadro normativo e contrattuale sopra delineato nei suoi tratti essenziali.

11. Dai principi di diritto richiamati, infatti, discende innanzitutto che il parametro di riferimento per la stessa configurabilità in astratto di una “prestazione aggiuntiva” deve essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva, giacchè la mansione potrà essere considerata ulteriore rispetto a quelle che il datore di lavoro può legittimamente esigere D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 52, solo a condizione che la stessa esuli dal profilo professionale delineato in via generale dalle parti collettive.

12. Non a caso le pronunce di questa Corte (Cass. 19 marzo 2008, n. 7387 e Cass. 3 giugno 2014, n. 12358), che hanno ammesso la astratta possibilità di riconoscere ex art. 36 Cost., una maggiorazione stipendiale al dipendente pubblico chiamato a svolgere mansioni aggiuntive, si riferivano a fattispecie nelle quali le prestazioni ulteriori pacificamente non erano ricomprese nel profilo, come delineato in un caso dalla legge nell’altro dalla contrattazione collettiva.

13. In tal senso, questa Corte ha già chiarito (Sez. 6-L, Ordinanza n. 16094 del 02/08/2016, Rv. 640722-01) che il lavoratore pubblico ha diritto ad un compenso per prestazioni aggiuntive purchè i compiti, espletati in concreto, integrino una mansione ulteriore rispetto a quella che il datore di lavoro può esigere in forza del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, tale risultando quella che esuli dal profilo professionale salvo che, in presenza di un inquadramento che comporti una pluralità di compiti nell’ambito del normale orario, il datore di lavoro non abbia esercitato il proprio potere di determinare l’oggetto del contratto assegnando prevalenza all’uno o all’altro compito riconducibile alla qualifica di assunzione.

14. In tale contesto, deve rilevarsi che i ricorrenti deducono che la utilizzazione della strumentazione POCT comportava l’esecuzione di esami diagnostici, mansioni aggiuntive rispetto a quelle proprie della figura professionale dell’infermiere e pertinenti, invece, alla figura del tecnico di laboratorio, come definita dal D.M. n. 745 del 1994, art. 1. Trascurano però i ricorrenti che entrambi i profili professionali indicati sono riconducibili all’Area D, che ricomprende tutti “i lavoratori che, ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre a conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa nell’ambito di strutture operative semplici previste dal modello organizzativo aziendale”, e prevede tra i profili professionali sia i collaboratori professionali sanitari – personale infermieristico, sia il personale tecnico sanitario – tecnico sanitario di laboratorio biomedico.

15. In secondo luogo, deve rilevarsi che dall’esame del mansionario degli infermieri professionali, già approvato con D.M. n. 225 del 1974, si evince che l’esecuzione di esami strumentali semplici non è

estranea alla professionalità dell’infermiere specializzato: infatti, il richiamato decreto, tra le attribuzioni degli infermieri professionali, ricomprendeva (art. 2) l’effettuazione degli esami di laboratorio più semplici, gli interventi di urgenza, il prelievo capillare e venoso del sangue, l’effettuazione di iniezioni ipodermiche, intramuscolari e tests allergodiagnostici.

16. E’ vero peraltro che il mansionario per gli infermieri professionali è stato poi abrogato, ma ciò è avvenuto in coerenza con le previsioni normative (in particolare dettate dalla L. n. 42 del 1999) che, lungi dall’escludere mansioni già ricomprese nell’attività in discorso, hanno ampliato autonomia e responsabilità dell’infermiere quale professionista Sanitario che, in quanto tale, risponde direttamente delle sue azioni.

17. Nel descritto contesto, le prestazioni POCT attengono a tipiche attività infermieristiche, operando poi gli apparecchi utilizzati l’analisi tecnica dei risultati.

18. La corte territoriale ha correttamente ritenuto che la soluzione del tribunale, secondo il quale l’utilizzo della strumentazione POCT, che consentiva di eseguire vicino al paziente esami emodiagnostici con immediata visualizzazione dell’esito, non rientrava tra le mansioni degli infermieri ma tra quelle dei tecnici sanitari di laboratorio – si fondava su una concezione statica delle mansioni, impermeabile alle innovazioni tecnologiche. Sarebbe invero un paradosso affermare che i POCT siano estranei alle mansioni dell’infermiere oggi, all’esito di una normazione (D.M. n. 739 del 1994, L. n. 42 del 1999, L. n. 251 del 2000, L. n. 43 del 2006, Codice Deontologico) che ha accrescituo la professionalità dell’operatore sanitario ed ha sancito il definitivo superamento del concetto di ausiliarietà e mera esecutività dell’assistenza infermieristica in relazione alla professione medica.

19. In terzo luogo, va rilevato che non è sufficiente ai fini invocati dai ricorrenti la sola allegazione di aver svolto mansioni aggiuntive, essendo anche necessario che dallo svolgimento di compiti ulteriori derivi una inadeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost..

20. Questa Corte (tra le altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 12763 del 21/12/1998) ha affermato che il lavoratore il quale, nel rispetto della professionalità e della qualificazione contrattuale conseguite, sia, nel corso del rapporto, adibito dal datore di lavoro allo svolgimento di mansioni ulteriori rispetto a quelle originariamente assegnategli non può pretendere, in mancanza di disposizioni legislative o contrattuali in tal senso, la corresponsione di un doppio salario, per la duplicità di mansioni conglobate in un’unica prestazione lavorativa, configurandosi eventualmente, nella situazione anzidetta, soltanto un problema di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione in relazione alla qualità e quantità della prestazione lavorativa complessivamente svolta. La soluzione di tale questione – anche sotto il profilo della spettanza o meno di un incremento retributivo a titolo di compenso per un lavoro accessorio – è riservata al giudice del merito, la cui valutazione, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità.

21. Si è per altro verso osservato (Cass., Sez. L, sentenza 25246 del 15/12/2015) che il giudizio di congruità della retribuzione va formulato prendendo in considerazione tutti gli elementi concreti del rapporto, da fornirsi da parte del lavoratore che lamenti l’insufficienza della retribuzione, e riguarda il trattamento economico complessivo corrisposto al lavoratore, non già singole componenti dello stesso. Da detto principio discende che perchè il prestatore possa pretendere ex art. 36 Cost., il pagamento della prestazione ritenuta aggiuntiva non è sufficiente la mera allegazione dello svolgimento di compiti ulteriori e di un criterio di calcolo per determinare il compenso di tale attività, ma è necessario fornire elementi tali che consentano di verificare la congruità del complessivo trattamento economico ricevuto rispetto al parametro di cui all’art. 36 Cost. (Cass. 3.6.2014 n. 12358). Infatti la Corte Costituzionale ha “reiteratamente chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all’art. 36 Cost., non può essere svolto per singoli istituti, nè – può aggiungersi – giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze nn. 366 e 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994)”(Corte Costituzionale 4.4.2012 n. 120).

22. Nel caso di specie, le ricorrenti si sono limitate a rivendicare un compenso per la asserita prestazione aggiuntiva senza fare alcun riferimento all’ammontare complessivo della retribuzione mensile.

23. Per altro verso, deve osservarsi che nessun aggravamento quantitativo o qualificatico della prestazione svolta risulta nella specie allegato, nè con riferimento all’orario di lavoro nè all’intensità o maggior onerosità della prestazione lavorativa. Del resto, la previsione di apposito compenso aggiuntivo era solo volta all’incentivazione delle nuove attività e dunque previsto solo per una fase di avvio delle stesse, mentre non era affatto indice di insufficienza del trattamento economico originariamente attribuito agli infermieri.

24. Infine, deve escludersi la fondatezza del ricorso quanto alla domanda subordinata svolta ex art. 2041 c.c., trattandosi di esercizio della mansioni proprie del personale coinvolto e secondo le finalità istituzionali, e non dunque di prestazione sine causa.

25. Nulla per spese, essendo la ASL rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

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