Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3812 del 16/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 3812 Anno 2018
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 13245/2011 R.G. proposto da
Artsana Sud Spa, rappresentato e difeso dall’Avv. Ernesto Lanni e
dall’Avv. Guido Romanelli, con domicilio eletto presso quest’ultimo,
in Roma via Pacuvio n. 34, giusta procura a margine del ricorso;

ricorrente e con troricorrente al ricorso incidentale

contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;

controricorrente e ricorrente incidentale

contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze

intimato

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
dell’Abruzzo n. 355/10/10, depositata il 18 novembre 2010.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 novembre
2017 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli;
RILEVATO CHE
– Artsana Sud Spa impugna per cassazione la decisione della CTR in
epigrafe che, confermando la sentenza di primo grado, aveva

Data pubblicazione: 16/02/2018

ritenuto legittimo l’accertamento, per Iva, Irpeg e Irap per l’anno
2003, in ordine alle spese di ordinaria manutenzione ed ai maggiori
ammortamenti per rivalutazione dei beni aziendali, e non fondata la
ripresa quanto ai costi per premi assicurativi, nonché, in parte,
quanto al recupero delle spese di consulenza tecnica, che riduceva;

l’Agenzia delle entrate propone, con due motivi, ricorso

ritenute dalla CTR ripartibili nell’arco di un triennio;
– la contribuente resiste con controricorso al ricorso incidentale,
deducendone l’infondatezza;
CONSIDERATO CHE
– va dichiarata, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso nei
confronti del Ministero delle Finanze, neppure parte nei precedenti
gradi di giudizio e, comunque, difettante di legittimazione,
spettando essa, in forza del d.lgs. n. 300 del 1999, istitutivo delle
Agenzie fiscali, all’Agenzia delle entrate a decorrere dal 1 gennaio
2001, data di operatività della disciplina;
– pure il ricorso avverso l’Agenzia delle entrate è inammissibile;
– con l’unico globale motivo di impugnazione (privo anche di rubrica
e di ogni riferimento agli specifici vizi di cui all’art. 360 c.p.c.) la
parte qui ricorrente si duole – contemporaneamente e sotto una
molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente mescolati dell’esito della controversia, censurando liberamente le conclusioni
a cui il giudice del merito è pervenuto e rinnovando più che altro le
censure già formulate per tacciare di illegittimità il provvedimento
impositivo;
– tale modalità di articolazione della censura nei confronti della
decisione impugnata (nel difetto di qualsivoglia coordinamento con
le fattispecie di vizio tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c.)
non è rispettosa del sistema processuale vigente, ponendosi in
pieno contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale
secondo cui “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica
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incidentale in ordine alla deducibilità delle spese di consulenza,

vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono
una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione
tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice
di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente
possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige
una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri

inammissibile la critica generica della sentenza impugnata,
formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra
loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna
delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito” (v. tra le molte
Cass. n. 19959 del 22/09/2014; Cass. n. 25332 del 28/11/2014;
Cass. n. 18202 del 03/07/2008; Cass. n. 10420 del 18/05/2005;
Cass. n. 16763 del 27/11/2002);
– passando al ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate con il
primo motivo censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c., omessa e insufficiente motivazione su fatto controverso e
decisivo per non aver la CTR indicato le ragioni in base alle quali i
costi per la consulenza tecnica (avente ad oggetto il piano di
attività per l’espansione del progetto Word Class Operations
Management per il miglioramento dell’affidabilità degli impianti)
non fossero soggetti al criterio di imputazione di cui agli artt. 74
tuir e 2426, n. 5, c.c. e, dunque, all’obbligatoria imputazione in
cinque anni;
– con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 74, comma 3, tuir, nel
testo applicabile ratione temporis, e 2426, n. 5, c.c., dai quali
deriva l’obbligatorietà dell’imputazione quinquennale;
– i motivi, da trattare unitariamente per connessione logica, sono
infondati;
– l’art. 74, comma 3, tuir, nel testo applicabile ratione temporis,
testualmente dispone “Le altre spese relative a più esercizi, diverse
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nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è

da quelle considerate nei commi 1 e 2 sono deducibili nel limite
della quota imputabile a ciascun esercizio”;
– la norma tributaria, con riferimento ai costi in questione, a
differenza delle spese di pubblicità e di propaganda regolate dal
comma 2, non poneva, dunque, una alternativa secca tra la
deducibilità nell’esercizio in cui essi sono state sostenuti e la

– solamente con la modifica operata con l’art. 11, d.lgs. n. 38 del
2005, che ha aggiunto il periodo

“Le medesime spese, non

capitalizza bili per effetto dei principi contabili internazionali, sono
deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute
e nei quattro successivi”, è stata, infatti, introdotta nella norma
fiscale una simile regolamentazione;
– secondo l’Agenzia, invero, il medesimo risultato sarebbe stato
raggiungibile anche prima della citata novella mediante il ricorso ai
criteri indicati dall’art. 2426, n. 5, c.c., la cui applicazione, tuttavia,
non può essere fatta discendere, come sostiene l’Ufficio, da un
rinvio recettizio ma, nel caso, in via estensiva od analogica;
– va peraltro rilevato che, anche a prescindere dalla correttezza del
ricorso alle disposizioni del codice civile, una tale prospettazione
non conduce comunque all’auspicata soluzione;
– l’art. 2426, n. 5, c.c., nel testo applicabile ratione temporis,
prevedeva, infatti, che “5) i costi di impianto e di ampliamento, i
costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale
possono essere iscritti nell’attivo con il consenso del collegio
sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non
superiore a cinque anni”;
– se ne può dedurre, in coerenza con il dictum già ripetutamente
espresso dalla Corte (v. Cass. n. 24939 del 06/11/2013; Cass. n.
377 del 11/01/2006), che i costi siano capitalizzabili in quanto sia
stata la società, col consenso del collegio sindacale, ad optare per
la loro capitalizzazione, reputando che producano benefici
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ripartizione in cinque esercizi consecutivi;

prolungati nel tempo in base ad una scelta necessariamente
sostenuta da una “discrezionalità tecnica tra il far gravare i costi
interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti ed il
capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale”;
– non solo: è sempre la società che deve “valutare, in bilancio, con
la medesima discrezionalità, la durata del beneficio, anche in

patrimoniale di queste spese è consentita, oltre che dalla loro utilità
pluriennale, dalla circostanza che esse non abbiano avuto, come
contropartita, l’incremento di valore di specifici beni o diritti
anch’essi iscritti all’attivo”, profilo quest’ultimo, che, nella vicenda
in esame, non è neppure stato oggetto di contestazione;
– ne deriva che il ricorso ai criteri indicati all’art. 2426 c.c. non
comporta che l’ammortamento debba necessariamente coprire
l’arco quinquennale, invece previsto solo come limite massimo dalla
citata norma;
– le spese, attesa la reciproca soccombenza, vanno compensate;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il
ricorso incidentale; compensa le spese del presente giudizio.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 novembre 2017

considerazione del fatto che l’iscrizione all’attivo dello stato

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