Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3811 del 16/02/2018
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3811 Anno 2018
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: FEDERICI FRANCESCO
ORDINANZA
sul ricorso 826-2011 proposto da:
BB,
AA,
domiciliati presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che li
rappresenta e difende;
– ricorrenti contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
2017
2922
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI,
Data pubblicazione: 16/02/2018
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO TERRITORIALE DI BARI,
BB;
–
intimati
–
sul ricorso 845-2011 proposto da:
BB,
elettivamente
dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI,
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO TERRITORIALE DI BARI;
–
intimati_
–
avverso la sentenza n. 109/2009 della COMM.TRIB.REG.
della PUGLIA, depositata 1’11/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 24/11/2017 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO FEDERICI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha chiesto l’inammissibilità
domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio
in subordine rigetto dei ricorsi.
Rilevato che:
BB ha impugnato, con tredici motivi, la
sentenza n. 109/06/09, depositata dalla CTR della Puglia 1’11.11.2009;
ha riferito che a seguito di processi verbali di constatazione, redatti dalla
GdF competente, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei suoi confronti cinque
avvisi di accertamento, relativamente agli anni 1999 (n. 884020201055), 2000
(884020201061), recuperando a tassazione rispettivamente C 9.502,81 per
Irap, C 6.742,34 per ritenute accertate, C 93571,14 per Iva, C 149.302,57 per
sanzioni, e determinando il reddito di impresa, da imputare ai soci pro quota,
in C 466.523,78 per l’anno 1999; C 9.502,81 per Irap, C 6.742,34 per ritenute
accertate, C 93571,14 per Iva, C 149.302,57 per sanzioni, e determinando il
reddito di impresa, da imputare ai soci pro quota, in C 233.589,69 per l’anno
2000; C 13.708,83 per Irap, C 9.491,44 per ritenute accertate, C 122.464,84
per Iva, C 268.744,61 per sanzioni, e determinando il reddito d’impresa, da
imputare ai soci pro quota, in C 322.555,74 per l’anno 2001; C 18.761,00 per
Irap, C 12.071,00 per ritenute accertate, C 152.473,00 per Iva, C 483.740,31
per sanzioni, inoltre determinando il reddito d’impresa, da imputare ai soci pro
quota, in C 441.439,00, per l’anno 2002; C 29.554,00 per Irap, C 9.153,00 per
ritenute accertate, C 188.993,00 per Iva, C 808.205,06 per sanzioni, infine
determinando il reddito d’impresa, da imputare ai soci pro quota, in C
695.388,00 per l’anno 2004; gli accertamenti seguivano alla omessa
presentazione delle dichiarazioni relative ai predetti anni;
la società proponeva altrettanti ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria
Provinciale di Bari. Riuniti i ricorsi, con sentenza n. 458/4/07 il giudice di primo
grado accoglieva parzialmente le domande, annullando, per quanto qui
d’interesse, gli accertamenti relativi agli anni d’imposta 1999 e 2000 e
riconoscendo la detrazione dell’Iva per costi e spese sostenute per gli anni
1999-2004, secondo quanto emergente dalla copia dei registri allegati al
ricorso -e inerenti l’attività-. La pronuncia era impugnata dalla contribuente
dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale pugliese per la
RGN 826/2011
Re Fec(erici
(n. 884020201057), 2001 (n. 884020201058), 2002 (n. 884020201059), 2004
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regolamentazione delle spese e, con ricorso incidentale, dalla Agenzia delle
Entrate, che chiedeva la riforma della sentenza relativamente ai capi favorevoli
alla società ed ai soci. Con la pronuncia oggetto del presente giudizio la
Commissione Regionale rigettava la domanda della contribuente e accoglieva
quella incidentale;
la Publiteam censura la sentenza:
546 del 1992, in relazione all’art. 360 co. i. , n. 3 c.p.c., per aver
erroneamente affermato che, pur regolarmente presentate le dichiarazioni
annuali, ex art. 3, co. 8 e 10, del d.P.R. n. 322 del 1998, ratione temporis
vigente per gli anni d’imposta 1999 e 2000, ugualmente legittimi dovessero
ritenersi gli accertamenti espletati, sebbene in forza dell’art. 39, co. 2, anziché
dell’art. 41 del d.P.R. n. 600 cit.;
con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 39,
co. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.,
nella parte in cui il giudice d’appello ha sostenuto che erroneamente il giudice
di primo grado non aveva riconosciuto il doppio presupposto impositivo, ex
artt. 41 e 39, co. 2 cit., legittimanti l’accertamento dell’ufficio;
con il terzo motivo per insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360,
co. 1, n. 5 c.p.c., in ordine al mancato riconoscimento di elementi negativi di
reddito, ex art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986;
con il quarto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 41 cit, e
dell’art. 109 cit., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere escluso
gli elementi negativi di reddito risultanti dagli atti e documenti raccolti in sede
di verifica, giudicando inattendibile la contabilità, senza pertanto considerare
tutta la documentazione disponibile;
con il quinto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.,
in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c., perché, relativamente alla detrazione
dell’Iva pagata su beni e servizi acquistati, nonostante l’Amministrazione non
avesse preso posizione sulla applicabilità dell’art. 52, co. 5, del d.P.R. n. 633
del 1972, ha ritenuto che il ricorrente non avesse diritto alla prova, applicando
dunque l’art. 52 cit.;
RGN 826/2011
Feeric!
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con il primo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs.
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con il sesto motivo per insufficiente motivazione in ordine ad un fatto
controverso, ex art. 52 co. 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art.
360, co. 1, n. 5, c.p.c., per aver erroneamente valutato come dolosa la
condotta della contribuente nella mancata esibizione della documentazione
contabile, poi esibita in sede di accertamento con adesione e in sede
contenziosa;
del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver
ritenuto applicabili gli effetti prescritti dall’art. 52 cit. anche senza una prova
specifica del dolo del contribuente;
con l’ottavo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 55 del d.P.R.
n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c. per aver erroneamente
interpretato l’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’ipotesi di inadempienze
agli obblighi di presentazione della dichiarazione annuale, in senso preclusivo
al computo dell’iva a credito per acquisto di beni e servizi, ai fini della
diminuzione dell’imposta risultante a debito, ancorchè in presenza di
liquidazioni periodiche scritturate sui registri;
con il nono motivo per illogica motivazione in ordine al fatto controverso ex
artt. 55 e 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5,
c.p.c., per la scarsa attinenza del termine finale di esercizio della detrazione
rispetto alla precedente
ratio
della assenza di dichiarazioni mensili o
trimestrali;
con il decimo motivo per omessa motivazione in ordine al fatto
controverso, ex art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, per gli anni d’imposta 1999
e 2000, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per avere il giudice
ugualmente escluso la detrazione dell’iva a credito anche relativamente ai
suddetti anni d’imposta, nonostante per essi dovessero ritenersi presentate le
dichiarazioni ex art. 3, co. 8 e 10, del d.P.R. n. 322 del 1998, cit.;
con l’undicesimo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 19,
d.P.R. n. 633 del 1972; in riferimento agli anni d’imposta 1999 e 2000, in
relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per non aver tenuto conto del diritto
RGN 826/2011
Fe9erici
,
I ,
con il settimo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 52, co. 5,
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alla detrazioni ex art. 19 cit., sebbene adempiuti gli obblighi di presentazione
della dichiarazione annuale;
con il dodicesimo motivo per insufficiente motivazione, in relazione ad un
fatto controverso, ex art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360,
co. 1, n. 5, c.p.c., per l’incongruità della motivazione in ordine alle sanzioni,
nella parte in cui riconosce la connivenza della società con le inadempienze del
con il tredicesimo motivo per violazione o falsa applicazione degli artt. 5 e
2 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.,
perché, ai fini della applicazione delle sanzioni, è stata riconosciuta la
responsabilità del contribuente, per culpa in vigilando, delle condotte omissive
del professionista incaricato della gestione degli adempimenti fiscali per conto
della società;
Si costituiva l’Agenzia, che contestava i motivi di ricorso, sostenendo tanto
il diritto di poter procedere all’accertamento in forza dell’art. 39 co. 2, cit.,
quanto l’indetraibilità dell’Iva a credito per assenza dei presupposti, chiedendo
pertanto il rigetto del ricorso;
interveniva anche il P.G. con memoria depositata ai sensi dell’art. 384
bis.1, c.p.c., che eccepiva l’inammissibilità del ricorso e nel merito la sua
infondatezza.
Avverso la medesima sentenza, ma con separato atto, proponevano ricorso
i soci BB e AA, censurandola:
con il primo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 61
del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché 331 e 102 c.p.c., in relazione all’art. 360,
co. 1, n. 4, c.p.c. per mancata integrazione del contraddittorio;
con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del
d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 co. 1 , n. 3 c.p.c. per aver
erroneamente ritenuto che, nonostante per gli anni d’imposta 1999 e 2000 le
dichiarazioni annuali fossero state regolarmente presentate, ex art. 3, co. 8 e
RG N 826/2011
Rek\ Federici
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I
commercialista;
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10, del d.P.R. n. 322 del 1998, ratione temporis vigente, gli accertamenti sono
stati ritenuti legittimamente espletati, sebbene non più in forza dell’art 41
d.P.R. n. 600 cit., bensì ai sensi dell’art. 39, co. 2 della medesima normativa,
invocata solo in sede d’appello;
con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 39,
co. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.,
commissione provinciale non aveva riconosciuto il doppio presupposto
impositivo, ex artt. 41 e 39 cit., legittimante l’accertamento dell’ufficio;
con il quarto motivo per insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360,
co. 1, n. 5 c.p.c., in ordine al mancato riconoscimento di elementi negativi di
reddito, ex art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986;
con il quinto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 41 cit, e
dell’art. 109 cit., in relazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere escluso
gli elementi negativi di reddito risultanti dagli atti e documenti raccolti in sede
di verifica, per un giudizio di inattendibilità della contabilità, senza dunque
considerare tutta la documentazione disponibile;
con il sesto motivo per insufficiente motivazione su di un fatto controverso,
ex art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.,
per l’incongruità della motivazione in ordine alle sanzioni, nella parte in cui
riconosce la connivenza della società con le inadempienze del commercialista;
con il settimo motivo per violazione o falsa applicazione degli artt. 5 e 2 del
d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., perché, ai
fini della applicazione delle sanzioni, è stata riconosciuta la responsabilità del
contribuente, per culpa in vigilando, delle condotte omissive del professionista
incaricato alla gestione degli adempimenti fiscali per conto della società;
si costituiva con controricorso l’Agenzia, che contestava puntualmente il
fondamento dei motivi di ricorso, chiedendone il rigetto;
RGN 826/2011
Rl Federici
nella parte in cui il giudice d’appello ha sostenuto che erroneamente la
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la Procura Generale depositava ai sensi dell’art. 384 bis.1 c.p.c. memoria,
con la quale anche in questo caso eccepiva la inammissibilità del ricorso, e nel
merito la sua infondatezza.
I ricorrenti depositavano infine, in entrambi i procedimenti, le memorie ex
art. 380 bis, co. 2, C.P.C.
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei due giudizi i quali,
avendo come oggetto della controversia la legittimità e fondatezza di avvisi di
accertamento emessi dal’Ufficio nei confronti della società di persone BB e, ai sensi dell’art. 5 TUIR, dei suoi due soci (lo
stesso BB e la di lui coniuge AA), afferiscono ad un contenzioso che
richiede una trattazione unitaria, con litisconsorzio necessario tra le parti, ai
sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546/1992. Pertanto il procedimento n. 845/2011,
con iscrizione più recente, va riunito a quello con iscrizione anteriore, n.
826/2011.
Quanto al rispetto del litisconsorzio, la cui mancata osservanza in sede di
appello è stata eccepita con il primo motivo del ricorso iscritto al R.G.N.
826/2011, trattasi di eccezione infondata.
I ricorrenti BB e AA hanno in particolare lamentato che l’appello
proposto dalla società avverso la sentenza di primo grado fu notificato alla sola
Agenzia e non anche a loro, in violazione del principio del litisconsorzio
necessario. Va premesso che è principio affermato reiteratamente da questa
Corte che nella ipotesi di rettifica del reddito di una società di persone e di
quello di partecipazione dei soci, le pronunce riguardanti la società ed i soci,
adottate dallo stesso collegio in identica composizione, nella medesima
circostanza e nel contesto di una trattazione in concreto unitaria, implicano la
presunzione che si sia realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa
del litisconsorzio formale, sicché la parte ricorrente per cassazione, che lamenti
la violazione del principio del necessario contraddittorio con riferimento al
giudizio di primo grado, ha l’onere – in conformità al principio di autosufficienza
RGN 826/2011
R\eL Fetrici
i/
Considerato che:
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del ricorso – di descrivere lo sviluppo delle procedure nel corso di quel grado
(così Sez. 6-5, ord. n. 12375 del 2016). Più in generale, se oggetto della
controversia sia l’accertamento del reddito di una società di persone, incidente
sul reddito di partecipazione di ciascun socio, per il principio della trasparenza,
ex art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, deve ritenersi già soddisfatta l’esigenza
del simultaneus processus nei gradi di merito quando i diversi ricorsi, seppur
contradditorio (dal ultimo Sez. 5, sent. n. 5108/2017; cfr. Sez. U, sent. n.
14815/2008).
Questa la ricostruzione delle regole processuali applicate in materia
tributaria, nel caso di specie il contraddittorio e il litisconsorzio risultano
pienamente rispettati. È infatti incontestato che, a fronte dei ricorsi presentati
avverso i numerosi avvisi di accertamento notificati per gli anni d’imposta dal
1999 al 2004 (con la sola eccezione dell’anno 2003) alla società e ai singoli
soci, la commissione tributaria provinciale, previa riunione di tutti i giudizi,
adottò un’unica decisione con sentenza n. 458/4/2007 del 21 gennaio 2007.
Contro quella pronuncia la società propose appello sulla sola questione della
regolamentazione delle spese di causa, l’Agenzia invece propose ricorso
incidentale, notificato alla società ed ai soci, che però decisero di non costituirsi
in secondo grado. Anche, questa sentenza fu dunque emessa nella contestuale
presenza processuale di tutte le parti. Peraltro è appena il caso di avvertire
come la mancata notifica del ricorso principale, oltre che superata dalla sua
conoscenza mediante la notifica del ricorso incidentale, in nulla incideva sugli
interessi e sui diritti di difesa dei soci, atteso che l’impugnazione del
provvedimento della CTP di Bari sulla regolamentazione delle spese processuali
era proposta non solo nell’interesse della società ma anche degli stessi soci, di
tanto a sicura conoscenza in considerazione della esiguità della compagine
sociale e della forma giuridica della società stessa.
In conclusione l’eccezione non merita accoglimento.
Sempre in via preliminare deve rigettarsi l’eccepita inammissibilità dei
ricorsi, sollevata dal P.G. che denuncia l’integrale trasposizione di intere parti
RGN 826/2011
resi oggetto di distinte decisioni, abbiano avuto la completezza del
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delle sentenze e degli atti difensivi. In concreto lamenta il mancato rispetto del
principio di autosufficienza perché i ricorsi sarebbero stati confezionati con la
tecnica dell’assemblaggio dei documenti.
In ordine all’utilizzo di tale tecnica di redazione dell’atto impugnativo,
ritenuta generalmente motivo di inammissibilità del ricorso per mancato
rispetto del contenuto prescritto dall’art. 366, co. 1, n. 3, c.p.c., la
riproduzione di una serie di documenti si traduce in un mascheramento dei dati
effettivamente rilevanti, così risolvendosi in un difetto di autosufficienza
sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti
integralmente riprodotti, se facilmente individuabile ed isolabile, possa essere
separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza pertanto, una
volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali,
dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli
motivi (Cass., Sez. 5, sent. n. 18363 del 2015; ord. n. 12641 del 2017). Nel
caso che ci occupa, sebbene siano riportate integralmente ampie parti degli
atti, con una inutile fedele riproduzione dei medesimi, si rileva ciò nondimeno
possibile isolare le parti così riprodotte lasciando in evidenza quelle essenziali,
dall’esame delle quali emerge il rispetto del principio di autosufficienza.
Nel merito, quanto agli altri motivi di ricorso, per l’unitarietà delle questioni
trattate possono esaminarsi congiuntamente il secondo e terzo motivo del
ricorso n. 826/2011, il primo e secondo motivo del ricorso n. 845/2011. Essi
sono infondati e non meritano accoglimento.
La società e i soci lamentano, in violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del
1992, che il giudice d’appello abbia consentito, con riferimento agli
accertamenti relativi al biennio 1999/2000, il mutamento del presupposto
giuridico giustificativo degli atti impositivi. In particolare la contribuente sul
punto afferma che l’accertamento era stato giustificato dall’omessa
presentazione delle dichiarazioni annuali, a tal fine invocandosi negli avvisi
l’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973. Essendo stato però eccepito dai
contribuenti che per gli anni 1999 e 2000 la dichiarazione doveva ritenersi
RGN 826/2011
R’ek. Fedgrici
I
i
giurisprudenza ha però opportunamente puntualizzato che l’integrale
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presentata ai sensi dell’art. 3, co. 8 e 10 del d.P.R. n. 322 del 1998 -secondo
cui, nel testo applicabile ratione temporis, la dichiarazione si considerava
presentata al momento della sua consegna ad uno dei soggetti intermediari
indicati nei commi 2 bis e 3 (cioè al professionista addetto alla trasmissione)-,
motivo per cui il giudice di primo grado aveva annullato gli accertamenti
riguardo a quel biennio, l’Amministrazione, adito il giudice tributario regionale,
non solo nell’art. 41, ma anche ai sensi dell’art. 39, co. 2, del d.P.R. n. 600. La
difesa della contribuente riconosce che gli atti impositivi facevano menzione
anche dell’art. 39 cit., ma sostiene che ciò costituiva un mero rinvio alla
disciplina di riferimento del metodo induttivo, giammai la giustificazione dei
poteri di accertamento. Denunciava pertanto l’inadeguatezza della difesa e
comunque il carattere di novità della prospettazione formulata dalla Agenzia
solo in sede d’appello.
Dopo aver dato atto che per gli anni d’imposta 1999 e 2000 la
dichiarazione doveva considerarsi presentata ai sensi dell’art. 3, commi 8 e 10
del d.P.R. n. 322 del 1998, la motivazione della sentenza sul punto è la
seguente «…la lettera della norma [l’art. 3 cit.] può essere interpretata a
favore del contribuente, ma solo per quanto concerne la presentazione del
documento “Unico” 2000 e 2001 (anni d’imposta 1999 e 2000), non certo può
esentare lo stesso dalla responsabilità relativa alla violazione degli obblighi
relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni
soggette ad IVA (omessa documentazione di operazioni imponibili); così come
per la violazione degli obblighi relativi alla tenuta delle scritture contabili
(omessa tenuta del libro giornale e dei bilanci), oltre che per le violazioni in
materia di normativa del lavoro…..violazioni formali che insieme a quelle
sostanziali dell’omesso versamento delle imposte dovute per tutti gli anni non
dichiarati (1999, 2000, 2001, 2002, 2004) sono state tutte contestate negli
avvisi di accertamento notificati alla società e ai soci, avvisi nei quali
espressamente si dice: “ai sensi del combinato disposto degli artt. 39, 2°
comma, e 41 del DPR n. 600/73, sulla base dei dati e notizie comunque
raccolti, tenuto conto che è stata omessa la dichiarazione dei redditi e sono
RGN 826/2011
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per la prima volta aveva affermato che l’accertamento trovava giustificazione
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state commesse irregolarità gravi, numerose e ripetute, si accerta il reddito
d’impresa…” Sicchè del tutto priva di fondamento appare l’eccezione
sollevata da Publiteam snc di inammissibilità dell’appello in considerazione del
preteso nuovo motivo di appello consistente nel richiamo all’inattendibilità delle
scritture contabili: gli artt. 39 comma 2° e 41 DPR 600/73 sono espressamente
richiamati nel PVC e in tutti gli accertamenti notificati alle parti, nel testo sopra
contabili.».
Questo il testo della sentenza nei passaggi più significativi, oggetto di
censura, anche a non voler tener conto che i soci, non costituendosi in grado
d’appello, nulla hanno opposto in quella sede sul mutamento della “impalcatura
motivazionale” della Amministrazione a supporto degli avvisi d’accertamento,
ed anche volendo superare la considerazione che l’ingresso di un nuovo motivo
difensivo in secondo grado costituisce un
error in procedendo, sicchè la
censura del suo accoglimento da parte del giudice d’appello avrebbe meritato
una più corretta collocazione tra le violazioni di regole processuali più che di
interpretazione erronea di regole sostanziali, vi è che l’incontestato contenuto
degli avvisi di accertamento esclude a priori ogni carattere di novità della
difesa della Agenzia. Nel corpo delle motivazione (delle motivazioni relative ad
ogni avviso di accertamento) è denunciata sia la omessa presentazione delle
dichiarazioni annuali dei redditi, sia, in modo specifico e del tutto autonoma
come desumibile dall’utilizzo della congiunzione “e”, la commissione di
irregolarità gravi, numerose e ripetute, ossia proprio di quelle irregolarità che
per l’art. 39 co. 2 del d.P.R. 600 del 1973 giustificano l’accertamento induttivo
anche mediante presunzioni semplici. Cade allora la pur suggestiva
prospettazione della difesa dei ricorrenti in ordine al carattere di novità del
potere giustificativo dell’attività accertativa e impositiva della Amministrazione,
che invece è stata correttamente interpretata dal giudice regionale come
fondata sia sulla mancata presentazione delle dichiarazioni, sia sulle gravi
irregolarità riscontrate nella contabilità, situazione quest’ultima che altrimenti
sarebbe stata del tutto inutile evidenziare e valorizzare. Altrettanto
correttamente dunque il giudice dell’appello ha sostenuto che, pur se
RGN 826/2011
Fedprici
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riportato che fa espresso riferimento all’inattendibilità delle scritture
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adempiuto l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni relative agli anni
d’imposta 1999 e 2000, le gravi omissioni e irregolarità contabili rinvenute nel
corso dell’accertamento hanno parimenti giustificato l’accertamento induttivo
dei redditi per quegli stessi anni.
D’altronde, volendo per un momento soffermare l’attenzione sul sistema di
regole dei poteri di accertamento della Amministrazione Finanziaria, se l’art.
o modificare in aumento l’accertamento, con il limite della esplicitazione dei
nuovi elementi e degli atti o fatti ulteriori, a maggior ragione non vi è alcun
salto logico o contrasto con le regole se, nel corso di un accertamento che
abbia avuto inizio per l’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali, prima
ancora della conclusione del procedimento e della sua esternazione nella forma
dell’avviso di accertamento, ci si avveda delle gravi irregolarità di tenuta delle
scritture e, senza soluzione di continuità, l’accertamento prosegua e si
concluda anche sulla base dei presupposti previsti dall’art. 39, co. 2, cit., ciò
che può rivelarsi non indifferente ai fini delle regole di determinazione di costi e
ricavi. Ne discende dunque che anche sul piano ricostruttivo della vicenda
giuridica la motivazione della sentenza impugnata è indenne tanto in punto di
coerenza e logicità della motivazione (art. 360, co. 1, n. 5), quanto in punto di
corretta interpretazione e applicazione delle norme (art. 360, co. 1, n. 3).
Colgono aspetti della medesima questione, e pertanto meritano trattazione
unitaria, anche il quarto e quinto motivo del ricorso n. 826/2011, nonché il
terzo e quarto motivo del ricorso n. 845/2011;
con essi i contribuenti lamentano il mancato riconoscimento degli elementi
negativi del reddito, ex art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, pur risultanti dalla
contabilità, giudicata invece inattendibile dal giudice dell’appello;
trattasi di motivi in parte inammissibili e in parte infondati. Quanto alla
denuncia della insufficiente motivazione, essa è inammissibile innanzitutto
perché pretende una rivalutazione degli elementi fattuali, inibita in sede di
legittimità, senza che la ricostruzione operata dal giudice del merito manifesti
carenze nel percorso logico seguito, sul piano della contraddittorietà come della
RGN 826/2011
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41, co. 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 lascia impregiudicato il potere di integrare
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insufficienza. È inoltre inammissibile anche per difetto di autosufficienza. La
difesa dei contribuenti infatti lamenta che i finanzieri accertatori non avevano
inteso riconoscere tutti i costi emergenti dalla documentazione, attesa
l’irregolare tenuta della contabilità; a tal fine, criticando l’adesione del giudice
dell’appello alle valutazioni dei militari operanti, il ricorso rinvia ad un allegato
(il n. 7) del p.v.c., nel quale sarebbero analiticamente riportati i costi.
interessano, ai sensi dell’art. 366, n. 6), c.p.c., ciò che invece manca, non
potendo tale obbligo essere sostituito dallo schema, ricostruito dalla difesa dei
contribuenti per “semplificazione” (così definita alla pag. 67 del ricorso relativo
al giudizio n. 845/2011, sicchè risultano incomprensibili le precisazioni sulla
riproduzione dell’allegato, contenute nella memoria di cui all’art. 380 bis, co. 3,
cit.), e riportato nell’atto difensivo (peraltro solo in quello relativo al giudizio n.
845/2011, mentre non vi è traccia di esso nel ricorso relativo al giudizio n.
826/2011).
Inammissibile e comunque infondata è anche la censura, relativa al
medesimo oggetto, sotto il profilo della violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3),
c.p.c.; con essa i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 41 del d.P.R. n.
600 del 1973, affermando che anche l’accertamento d’ufficio ai sensi della
citata norma non esonera l’Amministrazione dal tener conto dei costi al fine
della ricostruzione del reddito imponibile. Sennonché il motivo, riproducendo
sostanzialmente quanto già illustrato in quello precedente, maschera una
censura in punto di fatto, così rivelandosi inammissibile, e in ogni caso è del
tutto infondato perché non coglie il senso della motivazione della sentenza, con
la quale il giudice dell’appello non ha escluso il computo dei costi tout court,
ma ha solamente escluso delle voci perché ritenute inattendibili, con un
giudizio di merito, supportato dalla condivisione della inattendibilità della
contabilità. È evidente allora che nessuna violazione interpretativa dell’art. 41
cit. può essere addebitata al giudice dell’appello. In conclusione i motivi vanno
rigettati.
RGN 826/2011
RJ k Fede rici
Sennonché occorreva trascrivere il predetto allegato, nelle parti che
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Possono trattarsi unitariamente, per l’oggetto che gli accomuna, anche il
sesto e settimo motivo del ricorso n. 826/2011, nonché i corrispondenti
dodicesimo e tredicesimo motivo del ricorso n. 845/2011;
Con essi si contesta l’incongruità della motivazione in ordine alla
comminazione delle sanzioni, nella parte in cui essa riconosce la connivenza
della società con le inadempienze del commercialista, attribuendo ai
professionista incaricato alla gestione degli adempimenti fiscali;
i motivi sono del tutto infondati e non meritano accoglimento. A tal fine è
sufficiente rammentare che la giurisprudenza di legittimità in tema di omessa
dichiarazione -ma il principio vale per qualunque condotta omissiva o illecita
commessa dal professionista incaricato- ha reiteratamente affermato che il
contribuente non assolve gli obblighi tributari con il mero affidamento al
commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione
alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a vigilare affinchè tale
mandato sia puntualmente adempiuto, escludendosi la sua responsabilità solo
nell’ipotesi di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a
mascherare il proprio inadempimento (Cass., Sez. 6-5, ord. n. 11832 del
2016; ord. 25580 del 2015); nel caso che ci occupa dunque, ferme le eventuali
azioni di rivalsa che i contribuenti vorranno spiegare nei confronti del loro
professionista di fiducia, è lampante che il riconoscimento della corretta
applicazione delle sanzioni da parte del giudice tributario regionale non è
censurabile né sotto il profilo delle valutazioni di fatto operate nella pronuncia
impugnata, né sotto l’aspetto della interpretazione della disciplina positiva.
Passando ora all’esame dei motivi di ricorso relativi alle contestazioni
sollevate dalla Agenzia in materia di Iva, propri del solo giudizio iscritto al n.
845/2011, possono trovare unitaria trattazione i motivi quinto, sesto e settimo
del medesimo procedimento, relativi alle conseguenze derivanti dall’art. 52, co.
5, del d.P.R. n. 633 del 1972, che il giudice dell’appello ha ritenuto di applicare
in ordine alla mancata tempestiva esibizione della documentazione al momento
della verifica, e che, di contro, costituisce per la ricorrente società decisione
RGN 826/2011
Rel ifed)2rici
17,
contribuenti per culpa in vigilando la responsabilità delle condotte omissive del
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censurabile sia sotto il profilo della violazione delle regole processuali, perché
sul punto nulla era stato eccepito dalla Agenzia e ciononostante il giudice ha
ritenuto applicabile la norma così decidendo ultra petita, sia sotto il profilo del
vizio di motivazione, perché non provato il dolo del contribuente nel non fornire
la documentazione, sia infine sotto l’aspetto della falsa interpretazione della
norma, che richiede il dolo del contribuente nel rifiutare o nel dichiarare di non
La prima delle tre censure è fondata. Dal contenuto dell’atto di appello
della Agenzia, riprodotto nel ricorso della società per la parte che qui interessa,
emerge che in ordine alla detraibilità dell’Iva sugli acquisti, a fronte dell’utilizzo
da parte del giudice tributario provinciale sia dei registri esibiti al momento
della verifica della GdF, sia di quelli successivamente esibiti in sede di
accertamento con adesione e in sede contenziosa, l’Agenzia, dinanzi alla CTR
della Puglia, non sollevava alcuna eccezione in ordine alle preclusioni derivanti
dalla applicazione dell’art. 52, co. 5, cit., limitandosi solo ad invocare
l’applicabilità dell’art. 55 della disciplina dell’iva, nonché i limiti di detraibilità,
nel concreto, dei versamenti mensili e trimestrali, ex art. 19 del d.P.R. n. 633
del 1972. Il tenore del controricorso conferma che in sede d’appello nulla è
stato eccepito, neppure implicitamente, in ordine alle preclusioni di allegazione
documentale previste dall’art. 52, co. 5. Ebbene, trattandosi di un punto di
decisione della domanda, incidente sul materiale riconducibile -ai fini probatorinel processo, sarebbe stato onere della Amministrazione, in sede di
impugnazione della decisione del giudice provinciale, eccepire le preclusioni in
cui era incorso il contribuente ai sensi dell’art. 52, co. 5, cit. Invece la
questione è stata sollevata d’iniziativa del giudice regionale, così violando l’art.
112 c.p.c.
In conclusione il quinto motivo è fondato e va accolto.
L’accoglimento del quinto motivo assorbe i motivi sesto e settimo.
Dall’accoglimento del quinto motivo discende anche l’assorbimento dei
motivi ottavo, nono, decimo e undicesimo, con i quali la società ha lamentato,
sotto vari profili, la cattiva interpretazione ed applicazione dell’art. 55 del
d.P.R. n. 633 del 1972; tanto più che, come condivisibilmente affermato,
RGN 826/2011
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possedere la documentazione.
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ot
a:z. he con l’accertamento induttivo ex art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 non si
determina l’automatica perdita del diritto alla detrazione dell’imposta assolta
per rivalsa sugli acquisti di beni e servizi, atteso che l’onere di provare i crediti
vantati, se non risultanti dalle dichiarazioni periodiche, può essere adempiuto
con le modalità di cui all’art. 2724 c.c. ove l’allegata impossibilità di dimostrare
con i mezzi ordinari VIVA assolta in rivalsa sia conseguenza di un
discende che ogni valutazione in ordine alla detraibilità dell’Iva a credito potrà
essere operata solo tenendo conto della documentazione che invece il giudice
dell’appello, ai sensi dell’art. 52, co. 5, ha preliminarmente escluso.
Considerato che
va accolto il quinto motivo del ricorso n. 845/2011, formulato ai fini delle
contestazioni sull’iva, assorbiti i motivi sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e
undicesimo (del ricorso n. 845/2011) quale effetto dell’accoglimento del
quinto, e vanno rigettati tutti gli altri, comuni ai ricorsi n. 845/2011 e
826/2011 (per quest’ ultimo corrispondenti a tutti i motivi di ricorso);
all’esito del giudizio la sentenza va cassata e rinviata alla Commissione
Tributaria Regionale della Puglia, in altra composizione, che deciderà anche in
ordine alle spese.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il quinto motivo -del riunito ricorso n.
845/2011-, assorbiti i motivi sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e
undicesimo quale effetto dell’accoglimento del quinto; rigetta tutti gli altri
relativi al medesimo ricorso; rigetta tutti i motivi del ricorso n. 826/2011;
cassa la sentenza nei limiti dell’accoglimento e rinvia alla Commissione
Tributaria Regionale della Puglia, che deciderà in altra composizione anche
sulle spese.
RGN 826/2011
comportamento incolpevole (cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 25694/2016). Ne
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Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta civile
della Corte suprema di cassazione, il giorno 24 ettatn23 2017.