Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3808 del 18/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3808 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 2189-2008 proposto da:
TIBERIO SIMONETTA C.F.TBRSNT53P69H501Q, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 95, presso lo
studio dell’avvocato CUTELLE’ PANCRAZIO, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente 2014

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contro

DI LORENZO FRANCESCO SAVERIO, ARMENTANO TERESA;
– intimati

avverso la sentenza n. 5212/2006 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 28/11/2006;

Data pubblicazione: 18/02/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato Cutellè Pancrazio difensore della
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 1999 Simonetta Tiberio conveniva in
giudizio il marito non convivente e la di lui madre
Armentano Teresa.
L’attrice assumeva:

sostenute

spese

per

la

sopraelevazione

e

la

ristrutturazione di un fabbricato rurale su un terreno
di proprietà dell’Armentano;

che con l’esecuzione delle opere erano stati

realizzati due appartamenti dei quali uno era usufruito
da lei stessa e dal marito;
– che con lo scioglimento della comunione familiare,
aveva diritto, pro quota, a quanto spettante ex art.
936 c.c. al terzo che ha eseguito opere sul fondo e al
contributo individuale apportato con le somme ricevute
in prestito dal proprio padre.
Nel frattempo nei confronti del marito era pendente
causa di separazione poi definita con sentenza di
separazione nel corso di questa causa.
Ciò premesso la Tiberio chiedeva, previo accertamento
del valore dell’appartamento detratto il valore del
diritto di superficie o dell’ammontare dei costi, la
determinazione della quota che le competeva ai sensi

3

– che con denaro della comunione familiare erano state

dell’art. 936 c.c., la condanna dell’Armentano al
pagamento del relativo importo e lo scioglimento della
comunione tra coniugi relativamente ai beni mobili
esistenti nell’appartamento e la condanna dei convenuti
alla consegna di quelli a lei spettanti all’esito della

I convenuti contestavano che l’immobile fosse stato
costruito con i proventi della comunione legale e che
l’attrice

esercitasse

un

possesso

sull’immobile

essendo, invece, semplice ospite nel periodo estivo.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 28/6/2001
rigettava le domande.
Simonetta

Tiberio

proponeva

appello

al

quale

resistevano i convenuti.
La Corte di Appello di Roma con sentenza del 28/11/2006
rigettava l’appello rilevando:
– che il coniuge della Tiberio non era terzo rispetto
alla propria madre, proprietaria del suolo, in quanto
il suo apporto economico trovava un corrispettivo nel
godimento dell’appartamento; l’apporto della Tiberio
passava attraverso la comunione familiare tra lei e il
coniuge ed insieme erano possessori, ma la Tiberio,
quale compossessore, non poteva avvalersi dell’art. 936
c.c. e neppure aveva diritto all’indennità di cui

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divisione.

all’art. 1150 c.c. in quanto non aveva contribuito alla
spese perchè, non lavorando, non poteva apportare alcun
contributo;
– che non era provata la contribuzione, non essendo
provati

(né

con

documenti,

con

le

prove

marito, ma solo spese sostenute dai coniugi in
comunione per il godimento del bene;
– che le prove per testi non avrebbero potuto incidere
sulla evidenziata situazione di diritto;
– che la situazione di compossesso di cui si giovava la
comunione non rientrava nella previsione dell’art. 177
c.c. perché la comunione de

residuo

riguarda solo

crediti o beni mobili;
– che la domanda di scioglimento della comunione sui
mobili esistenti nell’appartamento non poteva essere
accolta in quanto generica, priva dell’indicazione dei
beni sia in relazione alla prova testimoniale, sia alle
prove testimoniali.
Tiberio Simonetta propone ricorso affidato a tre motivi
oltre ad un quarto motivo relativo alla mancata
ammissione di istanze istruttorie.
Di Lorenzo Francesco e Armentano Teresa sono rimasti
intimati.

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richieste)esborsi personali della Tiberio o di suo

Motivi della decisione
l. Con il primo motivo la ricorrente deduce la
violazione degli artt. 99, 112, 132, 342 c.p.c., 936 e
1150 c.c., 111 Cost. e il vizio di motivazione.
La ricorrente:
richiama la motivazione della Corte di Appello

secondo la quale il suo apporto passava attraverso la
comunione con il marito che non era terzo a fronte del
corrispettivo rappresentato dal godimento dell’immobile
e che entrambi erano possessori che utilizzavano
l’immobile per le ferie estive;
– sostiene che sarebbe mancante o solo apparente la
motivazione con la quale

si è escluso che potesse

essere considerata terza ai fini dell’applicazione
dell’art. 936 c.c.
– sostiene che la Corte di Appello, in violazione degli
artt. 99 e 112 c.p.c. e del principio devolutivo ex
art. 342 c.p.c,

avrebbe proceduto ad un nuovo esame

delle questioni già dibattute in primo grado senza
esaminare

le

specifiche

censure

formulate

con

l’appello;

afferma che non era rilevante il fatto che la

proprietaria del suolo fosse la madre del proprio

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coniuge per escludere la qualità di terzo al fine della
spettanza dei diritti attribuiti dall’art. 936 c.c.

afferma che era stato violato l’art. 1150 c.c. in

quanto non era stata riconosciuta l’indennità ivi
prevista a favore del possessore in buona fede.

366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile

ratione

termporis, chiede:
– se il giudice dell’impugnazione ai sensi degli artt.
99, 112 e 342 c.p.c debba procedere all’esame delle
doglianze dell’appellante dando ragione del loro
rigetto;

se il coniuge in regime di comunione possa

considerarsi terzo ai sensi dell’art. 936 c.p.c nei
confronti della madre dell’altro coniuge, proprietaria
del fondo sul quale gli stessi coniugi abbiano
apportato addizioni o miglioramenti;

se detto coniuge abbia diritto al pagamento, pro

quota,

del valore dei materiali e del prezzo della

mano d’opera o dell’aumento di valore arrecato al fondo
secondo la disciplina dell’art. 936 c.c.;

se il coniuge, possessore, abbia diritto alle

indennità per miglioramenti e addizioni secondo la
disciplina dell’art. 1150 c.c.

7

I

La ricorrente, formulando i quesiti di diritto ex art.

1.1 n motivo è infondato.
Non v’è violazione delle norme processuali richiamate
(99, 112 e 342 c.p.c.) perché la questione proposta,
con effetto devolutivo alla Corte di Appello consisteva
proprio nello stabilire se l’attrice e/o il di lei

non legati da alcun rapporto giuridico con il
proprietario del suolo ai fini della spettanza delle
somme dovute per l’arricchimento del proprietario del
suolo ai sensi dell’art. 936 c.c. e se, ove ritenuta
non applicabile la norma, potesse essere riconosciuta
l’indennità spettante al possessore ai sensi dell’art.
1150 c.c.
A tali questioni, portate al suo esame, la Corte di
Appello ha dato risposta.
La Corte territoriale infatti:
– ha negato che, dati i rapporti intercorsi, potessero
considerarsi terzi il figlio della proprietaria o la
stessa Tiberio, posto che gli apporti patrimoniali
costituivano il corrispettivo per il godimento del
bene; tale circostanza, accertata nel giudizio di
merito, effettivamente esclude la terzietà dei coniugi
rispetto all’opera di ristrutturazione;

8

l

coniuge potessero essere considerati terzi in quanto

- ha inoltre negato che le spettasse l’indennità
spettante
riparazioni

al possessore

ex art.

straordinarie

o

1150

c.c.

miglioramenti

per

perché

l’attrice, non lavorando, non poteva avere contribuito
con denaro proprio alle spese per l’immobile, ma al più

del bene; inoltre i giudici del merito hanno ritenuto
mancante la provi concreta degli esborsi da parte dei
coniugi, essendo non univoci i documenti prodotti.
Pertanto la Corte di Appello, proprio tenendo conto
dell’effetto devolutivo dell’appello ancorché
circoscritto ai suoi motivi, ha dato piena ed
esauriente risposta al gravame, non essendo necessaria
una espressa motivazione su ogni singolo argomento
sviluppato nell’appello, quando la motivazione della
sentenza sia di per sè assorbente, come nella
fattispecie, degli ulteriori argomenti e in tal senso
si risponde al primo quesito del motivo.
In ordine alla motivazione, occorre osservare che la
Corte di Appello non ha escluso la qualità di terzo del
coniuge dell’attrice per il fatto che fosse figlio
della proprietaria, ma l’ha esclusa in quanto ha
ravvisato l’esistenza di un accordo secondo il quale
l’apporto economico era il corrispettivo del godimento

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i coniugi avevano sostenuto spese solo per il godimento

del bene e questo accordo escludeva la possibilità di
considerare terzo il figlio o la di lui moglie, stante
la comunione familiare tra i due e in tal senso si
risponde al secondo e al terzo quesito e al dedotto

In ordine all’applicazione dell’art. 1150 c.c. che
prevede il diritto del possessore al rimborso per le
spese straordinarie o l’indennità per i miglioramenti
arrecati alla cosa, la Corte territoriale ha rilevato,
con valutazione di merito non sindacabile in questa
sede, che le spese dei coniugi non erano provate e che
erano provate con documenti non univoci solo spese per
il godimento dell’immobile; ha aggiunto che, in ogni
caso, non risultavano esborsi personali della Tiberio e
in tal senso si risponde al quarto quesito che si fonda
su un presupposto di fatto motivatamente escluso dalla
Corte territoriale.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la
violazione dell’art. 191 c.c. e sostiene che, pur in
presenza di una sentenza di separazione giudiziale
passata in giudicato, ingiustamente le sarebbe stato
negato il diritto allo scioglimento della comunione
legale per difetto di indicazione dei cespiti
mobiliari, perché non sarebbe rilevante la mancata

10

vizio di motivazione.

indicazione dei mobili da dividere e perché lo
scioglimento della comunione doveva comunque esplicare
effetto per il credito della Tiberio relativo alla
somma di lire 8.500.000 provento di un prestito
ricevuto dal padre.

se ai sensi degli artt. 177 e 191 c.c. sussista il
diritto del coniuge separato con sentenza passata in
giudicato, allo scioglimento della comunione familiare
anche in difetto di indicazione dei cespiti mobiliari
da dividere.
2.1 La Corte di Appello ha inteso negare il diritto
alla divisione dei beni per la mancanza di ogni
specificazione e indicazione dei beni sia in relazione
alla prova testimoniale sia alle prove documentali.
Tuttavia con la sentenza di separazione sorge
l’interesse ad agire, concreto ed attuale, diretto alla
scioglimento della comunione e alla divisione; la
sentenza di separazione (passata in giudicato) può
considerarsi come il fatto costitutivo del diritto ad
ottenere tale scioglimento e la conseguente divisione.
Occorre ancora osservare che, salvo prova contraria, si
presume che i beni in possesso dei coniugi non siano di

11

La ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede

proprietà

individuale,

ma

facciano

parte

della

comunione.
L’attività

di

specifica

individuazione

dei

beni

appartiene invece alla successiva fase dell’attuazione
della divisione alla quale, in ipotesi, ben potrebbe

escludere che fossero caduti in comunione i beni che
l’attrice affermava costituire l’intero arredamento
dell’appartamento ed essere stati acquistati in regime
di comunione.
Entro questi limiti il motivo deve essere accolto non
potendo essere negato l’accesso alle operazioni
divisionali laddove l’indicazione dei beni da dividere,
pur indicati genericamente, faccia riferimento ai beni
di arredamento di un immobile in comune godimento dei
coniugi.
Costituisce invece questione nuova l’inclusione nella
comunione,oltre che dei mobili di arredamento, anche
del credito della somma di lire 8.500.000 che secondo
le affermazioni della ricorrente era stata spesa e
della quale, invece, era richiesta l’integrale
restituzione, come si desume da quanto affermato dalla
ricorrente a pagina 11 del ricorso

“l’attrice ha

dedotto una personale contribuzione alla costruzione

12

ì,

non darsi seguito ove il giudice del merito dovesse

avendo assunto in proprio il debito residuo di lire
8.000.000 contratto dai coniugi nei confronti del padre
di lei”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la
violazione degli artt. 177 e 191 c.c., 99, 112, 132,

sostiene che la Corte di Appello non avrebbe fatto
corretta applicazione dell’art. 177 c.c. perché non
avrebbe considerato che la comunione incide anche sugli
acquisti separati di ciascun coniuge e che pertanto
risultava irrilevante che la moglie potesse o meno
contribuire con denaro proprio alle spese sostenute.
La ricorrente, formulando i quesiti di diritto, chiede:
– se ai sensi dell’art. 177 c.c. la comunione incide
anche su acquisti separati di ciascun coniuge, sia che
la moglie lavori, sia che lavori solo il marito;
– se nell’ipotesi di addizioni o miglioramenti da parte
dei coniugi in regime di comunione, il coniuge che non
lavori e non possa contribuire con denaro proprio,
abbia diritto, pro quota e ai sensi degli artt. 936 e
1150 c.c. al pagamento del valore dei materiali e del
prezzo della manodopera o dell’aumento del valore del
fondo.

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342 c.p.c. e 111 Cost. e il vizio di motivazione e

Infine la ricorrente, premesso che le parti non avevano
contestato l’erogazione del prestito paterno, censura
la sentenza per difetto di motivazione perché ha
escluso, per mancanza di prova, gli esborsi personali
della Tiberio ed ha affermato l’irrilevanza del

3.1 n motivo è infondato per le ragioni già
esplicitate nel rigettare il primo motivo di ricorso,
ossia perché il credito per indennizzo ex art. 936 c.c.
non sussiste per l’evidenziata mancanza di terzietà dei
coniugi e perchè l’indennità ex art. 1150 c.c. è stata
esclusa dalla Corte territoriale con valutazione di
merito non sindacabile in questa sede, in quanto le
spese dei coniugi non erano provate e comunque erano
provate con documenti non univoci solo spese per il
godimento dell’immobile e, in ogni caso, l’attrice, non
lavorando, non aveva potuto contribuire con denaro
proprio alle spese.
Va aggiunto che il preteso credito ex art. 936 c.c. o
ex art. 1150 c.c. non può considerarsi un acquisto
ricompreso nella comunione familiare perché la
comunione degli acquisti provenienti da attività
separata non comprende tutti indistintamente i diritti
.

di credito, in quanto l’atto deve avere ad oggetto

14

i

prestito del padre.

l’acquisizione di un “bene” ai sensi degli articoli

810, 812 e 813 cod. civ. e restano esclusi i meri
diritti di credito che non abbiano una componente
patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di
scambio; per ritenere che il credito sia caduto in

stata effettivamente eseguita con apporti di entrambi
(cfr. Cass.

15/1/2009 n. 799) ma la prova non è stata

fornita dall’attrice.
Infatti, le somme provenienti dall’attività lavorativa
separata di uno dei due coniugi (nella specie il

marito) non sono comuni e quindi possono essere oggetto
di comunione soltanto se non consumate al momento dello
scioglimento della comunione, ai sensi dell’art. 177
c.c., lett.c.
Quanto al finanziamento ricevuto dal padre (che non
sembra contestato), la Corte di Appello ha fornito
adeguata motivazione rilevando che non erano provati
esborsi personali della Tiberio, ma al più spese dei
coniugi esclusivamente dirette al godimento del bene.
4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la
violazione degli artt. 115, 116, e 245 c.p.c. e il
vizio di motivazione per la mancata ammissione di prove
orali (delle quali riporta i capitoli) che a suo dire,

comunione è necessaria la prova che la costruzione sia

avrebbero dovuto fornire proprio quella prova che la
Corte di Appello aveva ritenuto mancante, ossia che il
proprio coniuge aveva contribuito alla sopraelevazione
dell’edificio, al completamento di parti comuni, che
essa e il marito avevano contribuito alle spese di

oneri per la concessione in sanatoria e altri impianti,
che l’appartamento era stato arredato a spese esclusive
della comunione, che fu impiegato denaro proveniente da
un prestito erogato alla ricorrente da suo padre, oltre
ad altre circostanze, relative al possesso dell’unità
immobiliare e al pagamento di utenze e tributi.
4.1 H motivo è infondato in quanto dalla motivazione
della sentenza si evince che ai coniugi era attribuito
il godimento dell’immobile e che le spese dei coniugi
trovavano il loro corrispettivo nel godimento
dell’immobile e per tale finalità erano sostenute così
che non poteva applicarsi neppure l’art. 1150 c.c.
La Corte di Appello ha affermato che i testi non
avrebbero potuto incidere sulla situazione di diritto,
come risultante dalla sentenza e tanto meno una CTU e,
tenuto anche conto delle precisazioni in diritto sopra
evidenziate, il giudizio della Corte di Appello merita
conferma e il motivo deve essere rigettato.

16

progettazione, intonacatura, tinteggiatura muri, agli

6. In conclusione deve essere accolto il secondo motivo
di ricorso e devono essere rigettati gli altri motivi.
In conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo la
sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio,
anche per le spese, ad altra sezione della Corte di

delle prove offerte dalle parti, dei mobili di
arredamento oggetto di causa che fossero in comunione
al momento del passaggio in giudicato della sentenza di
separazione personale tra coniugi, provvederà alla loro
divisione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta
gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra
sezione della Corte di Appello di Roma.
Così deciso in Roma, 1’8/1/2014.

Appello di Roma che previa individuazione, sulla scorta

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