Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3808 del 16/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 16/02/2011), n.3808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2265-10 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po n. 25b, presso lo

studio dell’avv. Pessi Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 21/2009 della Corte d’appello di Firenze,

depositata in data 20.01.2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 1.12.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito l’avv. Mario Miceli per delega Pessi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Destro Carlo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- C.A.L., assieme ad altri lavoratori oggi non presenti in causa, chiedeva al giudice del lavoro di Siena che fosse dichiarato nullo il termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. Accolta la domanda, era dichiarata l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate.

2.- Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza pubblicata in data 20.1.09, rigettava l’impugnazione. Considerato che il contratto era stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda, rilevava che le assunzioni per tale causale erano ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – di modo che per quella in questione, relativa al periodo 5.10.00-31.01.01, il termine era illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione. Non svolgeva attività difensiva la C..

Il Consigliere relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. depositava relazione che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata al difensore costituito.

Poste Italiane ha depositato memoria, con la quale – tra l’altro – prende atto dell’entrata in vigore della L. 4 novembre 2010, n. 183 e, per il caso di non accoglimento del ricorso, chiede che l’eventuale risarcimento del danno venga fissato nei limiti previsti dall’art. 32, commi 5, 6 e 7, di detta legge.

4.- I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. sono così sintetizzati:

4.1.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, degli artt. 1362 e segg. c.c. e art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94, nonchè degli accordi 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98 e 18.1.01, contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, in particolare evidenziandosi la contraddittorietà della sentenza impugnata quando afferma che l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale del contratto a termine, sarebbe soggetta ad un limite temporale di efficacia;

4.2.- violazione dell’art. 2697 c.c. e carenza di motivazione, in quanto non spetterebbe a Poste Italiane dare la prova che il numero dei dipendenti assunti con contratto a termine rientrava nella percentuale prevista dalla contrattazione collettiva (cd. clausola di contingentamento);

4.3.- violazione delle normativa in materia di risarcimento del danno, non avendo controparte provato e quantificato il danno conseguente alla nullità del termine; si sostiene, inoltre, che erroneamente il giudice di merito non ha considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento.

5.- Quanto al primo motivo (n. 4.1), la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv.

dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza, ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante delle esigenze eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis Cass. 23.8.06 n. 18378).

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme al principio dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti potessero, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (pure previsto solo per il settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

L’impostazione adottata consente di affermare che la sussistenza delle esigenze eccezionali è stata negozialmente riconosciuta dalle parti stipulanti limitatamente ad un periodo temporale limitato alla data del 30.4.98 e che, conseguentemente, la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di Poste Italiane di dare prova di una specifica e concreta esigenza.

Essendo stato il contratto a termine della C., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato per il periodo 5.10.00-31.01.01, il primo motivo è infondato.

6.- Il secondo motivo (n. 4.2) è inammissibile in quanto affronta una questione non trattata dal giudice di merito.

7. Quanto al terzo motivo (n. 4,3), deve rilevarsi che in questa causa il risarcimento del danno spettante all’attrice è stato quantificato con consulenza tecnica di ufficio e che in appello Poste Italiane ha censurato l’acriticità del rinvio del primo giudice alla relazione peritale, senza nulla obiettare circa gli aspetti della costituzione in mora e dell’aliunde perceptum.

Le censure oggi proposte al riguardo si prospettano, dunque, entrambe inammissibili, in quanto nessuno dei due profili di censura ivi agitati è stato oggetto di trattazione da parte del giudice di appello e non è stato, in ogni caso, dedotto il vizio di omesso esame.

L’inesistenza di un valido motivo di censura della pronunzia in punto di risarcimento del danno impedisce di affrontare la questione dell’applicabilità alla presente controversia della L. n. 183 del 2010, art. 32.

Nulla deve statuirsi sulle spese non avendo la C. svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2011

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