Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3801 del 16/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 16/02/2011), n.3801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3322-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2862/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

7/04/08, depositata il 27/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’01/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato Miceli Mario, (delega avvocato Fiorillo Luigi),

difensore della ricorrente che si riporta agli scritti insistendo per

la trattazione in P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da L.F., nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione del termine nel contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 3.1.2000 al 29.2.2000 (per “esigenze eccezionali” ex accordo 25.9.1997). Il Tribunale dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 3.1.2000, ordinava la reintegra nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate dall’atto di messa in mora del 14.6.2004. Avverso tale sentenza proponeva appello la società. La Corte d’Appello di Roma accoglieva l’impugnazione solo riguardo alla domanda risarcitoria, che rigettava.

La società ha proposto ricorso con quattro motivi. L’intimato non si è costituito. La ricorrente ha depositato memoria con cui ha prospettato la rilevanza dello ius superveniens rappresentato dalla L. 9 novembre 2010, n. 183, art. 32.

Il ricorso appare qualificabile come manifestamente infondato.

Deve subito rilevarsi che il richiamato ius superveniens nella specie non rileva minimamente, poichè la domanda risarcitoria – su cui la nuova normativa avrebbe potuto incidere – è stata rigettata dal giudice di appello con statuizione su cui si è formato il giudicato.

Il primo motivo, deducendo erronea motivazione in ordine all’art. 1372 c.p.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c., art. 100 c.p.c., censura il mancato accoglimento della eccezione secondo cui il rapporto doveva ritenersi risolto per risoluzione consensuale, mancato accoglimento basato sulla sottovalutazione o mancata considerazione delle circostanze al riguardo rilevanti, consistenti nel fatto che, a seguito di un contratto durato poco più di un mese, l’interessato aveva reagito solo dopo 50 mesi, peraltro dopo avere percepito il t.f.r.. In effetti tali elementi sono stati presi in considerazione dal giudice di merito, la cui conclusione circa il loro valore non adeguatamente sintomatico di una volontà risolutiva non presenta palesi incongruità e deve quindi ritenersi incensurabile sulla base dei principi enunciati in materia da questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 26935/2008).

Quanto all’ulteriore deduzione, di cui al secondo motivo, costituente uno sviluppo del motivo precedente, secondo cui il L., chiamato in servizio in esecuzione della sentenza di primo grado, non si era presentato (e quindi era stato licenziato in esito a procedimento disciplinare), confermandosi così il suo disinteresse per il rapporto con le Poste, deve rilevarsi che la stessa non risulta già proposta nel giudizio di merito (così come non viene neanche affermata la produzione nel medesimo della relativa documentazione, ora allegata al ricorso), è quindi ne risulta l’inammissibilità.

Il terzo motivo, deducendo violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994 e di successivi accordi sindacali, in connessione con l’art. 1362 c.c., e il quarto motivo, deducendo vizio di motivazione, censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittimamente apposto il termine al contratto di lavoro, e in particolare per avere ritenuto di individuare nella data del 30.4.1998 il preteso termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25.9.1997. Al riguardo si sostiene con vari argomenti che, in sostanza, se si analizza tanto l’accordo del 25.9.1997 quanto la disciplina collettiva posteriore alla sua stipula, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., è evidente che tali accordi hanno sempre avuto mera natura ricognitiva di una situazione contingente e non fissano alcun termine temporale.

Detti motivi devono essere disattesi, in base all’indirizzo, ormai consolidato, in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2.3.2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggetti ve di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4.8.2008 n. 21063, v. anche Cass. 20.4.2006 n. 9245, Cass. 7.3.2005 n. 4862, Cass. 26.7.2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4.8.2008 n. 21062, Cass. 23.8.2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23.8.2006 n. 18383, Cass. 14.4.2005 n. 7745, Cass. 14.2.2004 n. 2866).

In particolare, quindi, nella specie, come questa Corte ha più volte affermato e come va enunciato anche in questa sede, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1.10.2007 n. 20608, Cass. 27.3.2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla, deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo è irrilevante l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Giustificatamente, quindi, in relazione all’epoca di stipulazione del contratto di lavoro, la Corte di merito ha ritenuto nella specie l’invalidità del relativo termine.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese stante la mancata costituzione in giudizio della parte intimata..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2011

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