Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3794 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/02/2017, (ud. 20/12/2016, dep.14/02/2017),  n. 3794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14473-2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Prof.

B.T.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato GAETANO DE RUVO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALESSANDRO DI MEGLIO,

DANIELA ANZIANO, SAMUELA PISCHEDDA giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.A., A.T., A.S., A.V.,

A.F., A.P., A.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EMILIO DE’ CAVALIERI 11,

presso lo studio dell’avvocato ALDO FONTANELLI, rappresentati e

difesi dall’avvocato GEREMIA BIANCARDI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1235/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. SESTINI DANILO;

udito l’Avvocato ENRICO MITTONI per delega;

udito l’Avvocato ALDO FONTANELLI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – INPS propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo con cui gli era stato intimato il pagamento della somma di oltre 23.000,00 Euro a titolo di indennità di occupazione, per il mese di giugno 2004, in relazione ad un immobile ad esso locato da A.F. (n. (OMISSIS)), A.F. (n. (OMISSIS)) e A., T. e A.V..

Gli A. resistettero all’opposizione e proposero successivo ricorso per sentir accertare l’illegittimità del recesso anticipato esercitato dall’INPS e, altresì, per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’alterazione dell’originario stato dell’immobile, all’omissione dell’ordinaria manutenzione e -comunque- al deterioramento del bene.

Decidendo le due cause riunite, il Tribunale di Nola – per un verso – accolse l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’INPS e – per altro verso- accolse la domanda successivamente proposta dagli A. limitatamente alla richiesta di risarcimento dei danni provocati all’immobile.

La Corte di Appello di Napoli ha rigettato il gravame principale dell’INPS, mentre ha accolto l’appello incidentale proposto da P., R. e A.S. (eredi di A.F. n. il (OMISSIS)) in punto di spettanza dell’indennità di occupazione, rigettando pertanto l’opposizione avverso il d.i..

Ricorre per cassazione l’INPS, affidandosi a tre motivi; resistono tutti gli intimati a mezzo di unico controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 1590 e 1588 c.c.” nonchè “omessa, illogica e/o insufficiente motivazione”), il ricorrente premette che la Corte era chiamata a “valutare se le alterazioni dello stato dei luoghi, come verificate dal CTU di primo grado…, potessero configurare deterioramenti dei beni locati al di fuori di quelli dipendenti dal normale uso convenuto” e censura la sentenza per avere “del tutto obliterato l’onere motivazionale” in merito al fatto che gli interventi riscontrati dal c.t.u. attenevano agli “equipaggiamenti minimi” occorrenti per adattare l’immobile alla destinazione contrattualmente prevista e per avere offerto una motivazione “illogica e carente” nella parte in cui ha ritenuto che i danneggiamenti erano dovuti, in molti casi, “non agli interventi modificativi in sè, bensì alla loro esecuzione non a regola d’arte”, senza esplicitare i “criteri che qualificano la c.d. regola dell’arte, non rinvenibili per relationem neppure nell’elaborato peritale depositato in primo grado”.

1.1. Il motivo è inammissibile: non individua alcun error in iure, ma si limita a censurare l’apprezzamento delle risultanze della c.t.u. deducendo un vizio motivazionale ai sensi del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non più applicabile ratione temporis; peraltro, il vizio motivazionale non era proponibile ex se, a norma dell’art. 348 ter c.p.c., u.c. (a fronte di un giudizio di appello iniziato nel luglio 2013).

2. Il secondo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.” nonchè “omessa e/o insufficiente motivazione) censura “l’adesione acritica alle risultanze… cui era pervenuto l’ausiliare in primo grado, obliterando viceversa la delibazione del compendio probatorio rilevante in relazione alla individuazione della fonte dei lamentati danni”. Il ricorrente, si duole, in particolare, che la Corte abbia ascritto al conduttore i danni riscontrati pur a fronte dell’affermazione del c.t.u. circa l’impossibilità di “stabilire con certezza chi sia il responsabile dell’attuale condizione di degrado”.

2.1. Anche questo motivo è inammissibile, sia nella parte in cui denuncia il vizio motivazionale (per le ragioni indicate sub 1.1.) sia laddove lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto non prospetta un’erronea distribuzione dell’onere probatorio, ma si duole della valutazione sulla sussistenza di prova adeguata circa la riconducibilità dei danni alla responsabilità del conduttore.

3. Il terzo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c.”) investe la sentenza nella parte in cui ha ritenuto dovuta l’indennità di occupazione per il mese di giugno 2004 e ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’INPS.

3.1. Al riguardo, la Corte ha richiamato la giurisprudenza di legittimità in merito alla idoneità dell’offerta non formale di restituzione a evitare la mora del conduttore, purchè tale offerta non formale sia seria, concreta e tempestiva e semprechè non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore; ciò premesso, ha dato atto che dai verbali redatti in contraddittorio fra le parti il 18 e il 28.5.2004 risultava che l’immobile non era stato completamente liberato e che la parte locatrice aveva comunicato la propria impossibilità a presenziare alle operazioni di rilascio fissate dal conduttore per il 31.5.2004, data in cui l’INPS aveva consegnato le chiavi dell’immobile ad un istituto di vigilanza; tanto considerato, la Corte ha concluso che non era “dato affermare che prima del 28.6.2004” (data in cui -promossa la procedura ai sensi degli artt. 1216 e 1209 c.c. – era stato redatto il verbale di riconsegna), “il conduttore si sia liberato dall’obbligazione di corrispondere quanto meno il canone convenuto, ex art. 1591 c.c., o che fino a quella data la mancata riconsegna dell’immobile sia acrivibile a comportamento ingiustificatamente ostruzionistico o scorretto dei locatori”, tanto più che “questi ultimi avevano manifestato la volontà di procedere, in contraddittorio con il conduttore, ad una completa descrizione dell’immobile locato, al fine di accertarne lo stato di conservazione, una volta liberato da tutti gli arredi e materiali ivi esistenti”.

3.2. Il ricorrente ha censurato la Corte sia per avere valorizzato l’intenzione dei locatori di conseguire il bene solo dopo aver verificato in contraddittorio lo stato dei luoghi (in tal senso effettuando “una interpretazione… additiva e travisata” delle comunicazioni intercorse fra le parti), sia per avere trascurato la circostanza che la parte locatrice aveva “inspiegabilmente” disertato la convocazione del 31.5.2004 e – successivamente- aveva costretto il conduttore ad attivare la procedura di intimazione formale.

3.1. Il motivo – per quanto prospettato sotto la specie della violazione di norme di diritto – investe la valutazione di merito della condotta tenuta dalle parti in occasione del rilascio dell’immobile, segnatamente in ordine alla ritenuta assenza di un comportamento ingiustificatamente ostruzionistico o scorretto da parte dei locatori nell’accettare la restituzione; come tale, la censura è inammissibile perchè volta a veicolare una non consentita rivalutazione in fatto.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza.

5. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.400,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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