Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3788 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. II, 17/02/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 17/02/2010), n.3788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1826-2005 proposto da:

RASORI EZIO & C SAS (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore e socio accomandatario Geom. R.

E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. DA PALESTRINA 19,

presso lo studio dell’avvocato DETTORI MASALA GIOVANNA ANGELA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LINETTI ANTONELLO;

– ricorrente –

contro

R.N.C. (OMISSIS), vedova S.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo

studio dell’avvocato MATTIA ROSA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ZILIOLI UMBERTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 774/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2

5/01/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito l’Avvocato MANCA BITTI Daniele, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato LINETTI Antonello, difensore del ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento delle difese depositate;

udito l’Avvocato MATTIA Rosa, difensore della resistente che ha

chiesto di riportarsi agli scritti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI COSTANTINO che ha concluso per inammissibilità o il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3 aprile 1989 la RASORI Geom.

EZIO s.a.s. conveniva R.N. davanti al Tribunale di Brescia, per ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare stipulato in data (OMISSIS), avente ad oggetto la vendita di un immobile in (OMISSIS), con condanna della convenuta alla restituzione della caparra ricevuta, oltre al risarcimento dei danni, chiesti in subordine nella sola misura dell’interesse negativo.

La convenuta, costituitasi, eccepiva la nullità del contratto e in subordine la risoluzione dello stesso per impossibilità sopravvenuta.

Con sentenza in data 27 marzo 1996 il Tribunale di Brescia rigettava la domanda di risoluzione, osservando che il contratto preliminare indicava espressamente una parte promittente costituita da quattro soggetti quali proprietari del bene, fra i quali la sola R. N. aveva sottoscritto l’atto, per se stessa e senza alcuna rappresentanza degli altri comproprietari, il che comportava l’inesistenza del contratto stesso, con conseguente rigetto delle domande contrattuali proposte dalla società attrice.

In ordine al risarcimento per responsabilità precontrattuale, il tribunale osservava che si trattava di domanda formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, rispetto alla quale la convenuta non aveva accettato il contraddittorio.

La RASORI Geom. EZIO s.a.s. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Brescia in base alla seguente motivazione:

Il contratto preliminare (OMISSIS) cosi recita: fra i sottoscritti R.N. per se stessa ed i Sigg. R.A., C.P. per 3/4 della proprietà e per 1/4 Sig. R.I. – E. – P. parte venditrice .. i sig.ri R.N., R.A., C.P. per 3/4 della proprietà e per 1/4 Sig. R.I. – E. – P. cedono e vendono…. E’ quindi evidente che la cd.

promissaria venditrice è costituita da più soggetti e che R. N. non risulta, in alcun modo, rappresentante o mandataria di uno dei soggetti indicati nell’atto.

Il “contratto” risulta formato solo dalla R., così che a fronte della promessa di vendita posta in essere da una parte soggettivamente complessa e da una accettazione relativa alla promessa così come sopra descritta, tre dei quattro soggetti che componevano la parte venditrice non avevano fatto proprio l’atto.

Da ciò discende l’inesistenza del negozio invocato da parte attrice, con conseguente rigetto delle domande contrattuali dalla stessa proposte.

Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno extracontrattuale, così come formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni si impongono le seguenti considerazioni.

L’art. 184 c.p.c. indica nell’udienza di precisazione delle conclusioni il limite massimo oltre il quale non è possibile introdurre nel processo nuovi elementi concernenti l’oggetto del processo stesso o i mezzi di prova (sembrando così escludere la possibilità di introdurre domande nuove), ma la Suprema Corte è pacifica nel ritenere che qualora una parte introduca un’autentica domanda nuova in sede di precisazione delle conclusioni ciò non da luogo a nullità rilevabile d’ufficio, ma può solo fondare un’eccezione di preclusione che l’altra parte ha l’onere di proporre in quella medesima sede di precisazione delle conclusioni, sotto pena di implicita accettazione del contraddittorio, con la conseguente sanatoria (Cass. n. 184/76, 1368/78, 7166/83, 5442/84, 3834/85).

La difesa della convenuta ha eccepito tempestivamente la novità della domanda sicchè la pretesa di parte attrice va respinta.

La soluzione non cambierebbe neppure ove si volesse rinvenire la domanda di risarcimento dei danni ex art. 1337 c.c. in quella parte delle conclusioni, contenuta in citazione, dove l’attrice limita al solo interesse negativo la propria pretesa.

Nell’invocato ed inesistente contratto infatti è specificamente indicato chi avrebbero dovuto essere i promittenti venditori, sicchè non vi spazio alcuno per addebitare alla convenuta comportamenti dolosi o colposi, posto che non è onere di uno dei futuri promittenti venditori attivarsi al fine di ottenere il consenso degli altri, nè risulta che la convenuta abbia frapposto ostacoli alla formazione del consenso.

D’altra parte in tutta le narrativa dell’atto di citazione si da per pacifica la conclusione del contratto de quo, sicchè diverrebbe impossibile evincere dalla domanda l’allegazione di comportamenti rilevanti ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Va comunque osservato che anche in comparsa conclusionale parte attrice non individua quali sarebbero stati quei comportamenti dolosi o colposi che le avrebbero dato il diritto di chiedere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1337 c.c.. Va infine osservato che l’istante non ha chiesto la restituzione a titolo di indebito di quanto percepito dalla convenuta, con conseguente impossibilità per il Collegio di pronunciarsi sul punto.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, la RASORI Geom. EZIO s.a.s..

Resiste con controricorso R.N.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente sostanzialmente deduce che erroneamente la Corte di appello ha affermato la inesistenza del contratto, in presenza di una chiara volontà di R.N. di stipulare un contratto preliminare in nome proprio e per gli altri comproprietari, rilevando solo sotto altro profilo il mancato conferimento della procura alla convenuta da parte di questi ultimi.

Il motivo è infondato.

La Corte di appello, infatti, in relazione dalla domanda di risoluzione di un contratto preliminare avente ad oggetto il trasferimento di un immobile in comunione stipulato da un comproprietario che aveva dichiarato di agire per sè e per gli altri comproprietari, senza essere munito del relativo potere rappresentativo, ha fatto applicazione del principio più volte affermato da questa S.C. con riferimento alla ipotesi di domanda di esecuzione specifica di un simile contratto. In particolare, si è affermato che in tal caso si presume che le parti abbiano considerato l’oggetto del contratto come un unicum inscindibile, per cui le singole manifestazioni di volontà di vendere da parte dei singoli comproprietari sono prive di autonomia e destinate a fondersi in un’unica dichiarazione negoziale, con la ulteriore conseguenza che qualora una di tali, manifestazioni manchi (come nella specie) si determina una situazione che impedisce la prestazione del consenso negoziale della parte complessa (cfr., da ultimo, sent. 23 febbraio 2007 n. 42279). In altri termini, il fatto che R.N. avesse espresso la volontà di vendere, per sè e per gli altri comproprietari diventava irrilevante di fronte alla inefficacia di tale volontà ed escludeva la possibilità di risoluzione per inadempimento di un contratto che non era mai venuto ad esistenza.

Con il secondo motivo la società ricorrente, oltre a ribadire in parte quanto già sostenuto con il primo motivo, sembra proporre due censure.

Con la prima si sostiene che i giudici di merito non avrebbero considerato che gli altri comproprietari si erano comportati come se il contratto fosse inefficace nei loro confronti.

La doglianza, a prescindere dal problema della novità della questione che con essa viene sollevata, è infondata, in quanto l’eventuale ratifica da parte degli altri comproprietari avrebbe dovuto essere espressa per iscritto.

Con la seconda censura si sostiene che i giudici di merito (ai fin, dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto e della conseguente condanna di R.N. al risarcimento dei danni) avrebbero dovuto tenere conto che nella specie ricorreva una ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui.

La doglianza è inammissibile, in quanto prospetta per la prima volta in questa sede una problematica che risulta estranea al giudizio di merito, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, sopra trascritta, contrariamente a quanto afferma la società ricorrente.

Con il terzo motivo la società ricorrente deduce che, anche volendo ritenere che il contratto non si era validamente concluso, i giudici di merito avrebbero comunque potuto accogliere la domanda subordinata di risarcimento dei danni sotto il profilo della responsabilità precontrattuale o dell’indebito arricchimento.

In relazione alla responsabilità precontrattuale si deduce che erroneamente la Corte di appello ha fatto riferimento all’art. 1337 cod. civ., mentre, in realtà, doveva intendersi richiamato l’art. 1338 cod. civ..

La doglianza è infondata, in base alla decisiva considerazione che non viene neppure indicato come potesse ritenersi che la responsabilità ex art. 1338 cod. civ. fosse stata invocata con i motivi di appello e come ne fossero stati indicati i presupposti (in particolare, la mala fede dell’altra parte), per cui sarebbe irrilevante l’errore della Corte di appello consistente nell’avere (tra l’altro, ad abundantiam) ipotizzato che veniva fatta valere una responsabilità ex art. 1337 cod. civ..

Con il quarto motivo la società ricorrente deduce testualmente:

Insufficiente o contraddittoria motivazione, motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 112 c.p.c., per aver ritenuto inammissibile la domanda di restituzione della caparra.

Già abbiano osservato che le domande di rimborso delle spese sostenute sono state avanzate non solo sotto il profilo della responsabilità precontrattuale, ma evidentemente anche dell’arricchimento senza causa, che viene escluso unicamente della possibilità di esperire azione contrattuale (art. 2042 c.c.). Venuto meno il contratto, doveva essere accolta quantomeno la domanda di rimborso della caparra (non del doppio, perchè ciò implica l’esistenza del contratto), in conformità alla domanda subordinata svolta in citazione di primo grado, per quanto sinteticamente illustrata. La qualificazione giuridica della domanda di rimborso, che è causa diversa dalla causa petendi, competeva al giudice in virtù del più volte accennato principio jura novit curia. L’avere ritenuto semplicemente mai proposta in primo grado e quindi inammissibile la domanda di rimborso della caparra è stato un errore di salutazione nella motivazione ed una conseguente violazione della norma processuale indicata.

La doglianza è fondata.

Come risulta dalla stessa sentenza impugnata, la domanda di restituzione della caparra è stata proposta fin dall’inizio, per cui hanno errato i giudici di merito a non prenderla in esame, fermo restando che spetterà al giudice di rinvio accertare se tale domanda fosse accoglibile o meno in quanto tale anche a seguito del rigetto della domanda di risoluzione in considerazione della inesistenza del contratto in relazione al quale la caparra era stata versata.

In definitiva, vanno rigettati i primi tre motivi del ricorso, mentre va accolto il quarto. In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso; accoglie il quarto motivo; in relazione al motivo accolto cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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