Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3788 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. I, 14/02/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 14/02/2020), n.3788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FEDERICO Guido – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34105/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione e difeso dall’avvocato LIA MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il

27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Catania, con decreto del 27.9.2018, ha rigettato la domanda proposta da S.A., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato – costui aveva riferito di non voler ritornare in (OMISSIS) per paura della guerra e perchè non aveva più alcun parente – sul rilievo che il suo racconto era stato estremamente lacunoso, poco circostanziato e comunque generico in ordine al timore per la propria vita, in riferimento ad una guerra avvenuta molti anni prima, senza considerare che il richiedente si era trasferito in Senegal nel 2002 ove aveva costituito una famiglia, allontanandosi solo nel 2014 per cercare migliori condizioni di lavoro.

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di instabilità politica e conflitto armato tale da ingenerare una situazione di rischio in caso di ritorno nel paese d’origine.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione S.A. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5.

Lamenta il ricorrente che il giudice di prime cure ha violato il principio di attenuazione dell’onere della prova vigente in materia, non ritenendo sufficienti le prove dallo stesso fornite anche se di carattere indiziario o collegate a fatti notori, come la violenza generalizzata in (OMISSIS) e l’assoluta mancanza di tutela da parte delle autorità locali.

Il Tribunale di Catania non ha spiegato adeguatamente perchè il suo racconto non è stato considerato idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta il ricorrente che non può non riconoscergli il danno grave di cui all’art. 14 sopra citato, avuto riguardo al contesto socio politico della (OMISSIS), caratterizzato da livelli di violenza tali da concretare un elevato rischio per la sua incolumità personale.

3. I due motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta colleganza delle questioni trattate, sono inammissibili.

Con riferimento alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, il Tribunale ha valutato le dichiarazioni del ricorrente tenendo ben presenti i parametri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 essendo state specificamente indicate le ragioni della ritenuta non plausibilità e coerenza del suo racconto.

In particolare, il giudice di primo grado ha evidenziato che il racconto del richiedente era estremamente lacunoso e poco circostanziato e comunque generico in ordine al timore per la propria vita, in riferimento ad una guerra avvenuta molti anni prima, senza considerare che il richiedente si era trasferito in Senegal nel lontano 2002 ove aveva costituito una famiglia, allontanandosi solo nel 2014, per sua stessa ammissione, per cercare migliori condizioni di lavoro.

Il ricorrente ha contestato solo genericamente la valutazione di non attendibilità effettuata dal giudice di merito, limitandosi a dare per pacifiche circostanze fattuali ritenute non credibili dal Tribunale, e senza quindi neppure allegare le gravi anomalie motivazionali (nei termini sopra illustrati dalla giurisprudenza di questa Corte), che sono le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inoltre, il ricorrente, con l’apparente censura della violazione da parte del Tribunale di norme di legge, ovvero il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 ha, in realtà, svolto delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

In proposito, questa Corte, sempre nella pronuncia n. 3340 del 05/02/2019 sopra citata, ha statuito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, con la conseguenza che il giudizio di fatto in ordine alla credibilità del richiedente non può essere censurato sub specie violazione di legge ed è quindi sottratto al sindacato di legittimità.

In ordine alla protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito, ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di provenienza del ricorrente ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Catania non ha considerato la situazione di instabilità della (OMISSIS) che è tale da giustificare quantomeno la concessione della protezione umanitaria, risultando evidente che se lo stesso tornasse in patria non avrebbe la possibilità di godere dei propri diritti umani fondamentali (tra cui il diritto all’alimentazione).

5. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, oltre a non essere stato dedotto assolutamente nulla dal ricorrente in ordine alle condizioni personali di vita prima della sua partenza dal paese d’origine (se non con riferimento ai motivi del suo allontanamento, ritenuti coerentemente non credibili dal Tribunale), è stata dedotta la violazione dei diritti fondamentali in (OMISSIS) in modo molto generico, per lo più con riferimento alla situazione di instabilità ed insicurezza ivi presente.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta comunque la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio solo tardivamente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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