Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3786 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.14/02/2017),  n. 3786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9468/2014 proposto da:

C.A., questi in proprio e quale tutore legale

rappresentante del figlio C.P., T.M. C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTI PARIOLI 28, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO FOLCHITTO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNA ZUCCARO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI, in persona del Procuratore

N.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VESPASIANO 17/A,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE INCANNO’, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GAETANO DIEGO ANGELO DEL BORRELLO

giusta procura speciale in calce al controricorso;

ALLIANZ SPA in persona del procuratore Dr. C.P.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88 presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

V.E., M.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 866/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato GIOVANNA ZUCCARO;

udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;

udito l’Avvocato GAETANO DIEGO ANGELO DEL BORRELLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.A. (in proprio e quale legale rappresentante del figlio interdetto P.) e T.M., convennero in giudizio M.F. ed V.E., nonchè le rispettive compagnie assicuratrici Reale Mutua di Assicurazioni e Lloyd Adriatico, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, in proprio e iure hereditatis, in conseguenza del decesso del figlio S., avvenuta a seguito di un sinistro tra l’autovettura della V., su cui era trasportato C.S. e quella del M..

Si costituì in giudizio la convenuta V., sostenendo l’esclusiva responsabilità del signor M., per aver tenuto una velocità elevatissima e non adeguata alle condizioni della strada e alla presenza di un incrocio, e svolgeva domanda riconvenzionale nei confronti di quest’ultimo e della sua compagnia di assicurazione per essere risarcita di tutti danni subiti.

A sua volta, il M. si costituì sostenendo l’esclusiva responsabilità della signora V., per aver omesso di concedere la dovuta precedenza nell’immettersi sulla strada principale.

Il Tribunale di Varese, con la sentenza n. 555/2008, sulla base delle dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del giudizio, degli accertamenti eseguiti dai carabinieri intervenuti nell’immediatezza dei fatti, dall’espletamento della c.t.u. cinematica, accertò un concorso di colpa, nella misura del 50% ciascuno a carico dei due conducenti coinvolti.

Quanto alla posizione dei signori C. e T., il Tribunale escluse la sussistenza di un danno biologico iure hereditatis, poichè il decesso di C.S. era stato immediato, nonchè di un danno biologico iure proprio a carico di C.A. e P.; accertò un danno biologico patito da T.M. liquidandolo in Euro 17.444,41.

Quanto al danno morale patito dai familiari, il Tribunale liquidò Euro 150.000 a favore di ciascun genitore ed Euro 100.000 a favore del fratello.

Infine, il Tribunale riconobbe il danno patrimoniale rappresentato dal venir meno del contributo che S. avrebbe dato al sostentamento dei soggetti più deboli della famiglia, liquidandolo in Euro 12.913,69 a favore di T.M. ed Euro 168.000 a favore del fratello P..

2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 866 del 22 febbraio 2013. La Corte ha ritenuto che il giudice di prime cure non abbia adeguatamente soppesato, quali elementi incidenti sul danno morale patito dai familiari, le circostanze della convivenza della vittima con la famiglia d’origine, la speciale intensità e assiduità della relazione affettiva con i familiari, cui S. forniva aiuto morale e materiale, consolazione e sostegno, anche per la rasserenante prospettiva della sua presenza accanto al fratello invalido anche in futuro. Ha quindi ritenuto sussistenti i presupposti per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale nella misura massima prevista dalle tabelle in vigore nel 2008, come richiesto dagli appellanti, attualizzati secondo gli indici istat.

La Corte di Appello, per quel che qui ancora rileva, ha confermato il rigetto delle domande relative al riconoscimento: del danno morale afferente il danno biologico subito dalla signora T., ritenendo congrua la liquidazione globale operata dal Tribunale; di un danno esistenziale dei familiari da liquidarsi in via autonoma, derivante dalla drammatica alterazione del proprio sistema di vita quale conseguenza dell’evento luttuoso, osservando che di una simile, indubitabile alterazione, il Tribunale aveva tenuto conto nel liquidare il danno da perdita del congiunto; del danno biologico iure hereditatis, osservando che nella specie, S. aveva perso conoscenza ed era morto praticamente subito, non divenendo quindi titolare di alcun danno morale per la sofferenza psichica dovuta alle lesioni riportate, non maturando perciò alcun diritto risarcitorio trasmissibile agli eredi per la sua liquidazione.

3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione C.A., in proprio e quale tutore del figlio C.P., nonchè T.M., sulla base di quattro motivi. Depositano anche memoria.

3.1 Resistono con controricorso la Allianz S.p.a. illustrato da memoria (già Lloyd Adriatico S.p.a.) e Società Reale Mutua di Assicurazioni. Gli intimati V.E. e M.F. non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “errata interpretazione, violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2043 e 2059 c.c., con particolare riferimento alla voce di danno attinente al risarcimento del danno non patrimoniale jure hereditatis”.

La decisione della corte d’appello sarebbe viziata nella parte in cui non ha riconosciuto ai ricorrenti il risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis conseguente al decesso di C.S., disattendendo i principi affermati dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1361/2014.

Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 15350 del 2015 emessa in sede di risoluzione di contrasto, hanno affermato il seguente principio di diritto: “In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, è fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicchè, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”.

A questo principio, risalente a costante orientamento di legittimità ribadito anche nella sentenza a Sezioni Unite del 2008 n. 26972 – non in contrasto con la Costituzione (Corte Costit. n. 372 del 1994), si è conformata la sentenza impugnata.

4.2. Con il secondo motivo, si denuncia “errata interpretazione, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2043 e 2059 c.c., con particolare riferimento alla voce di danno attinente al risarcimento del danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale”.

La Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato le tabelle in vigore nel 2008, con successiva attualizzazione dei relativi importi secondo gli indici Istat, e non quelle successive vigenti al momento della pronuncia, motivando tale decisione in ragione del fatto che così sarebbe stato richiesto dagli appellanti.

In realtà, i signori C. – T. avrebbero chiesto l’applicazione tabella 2008 solo con l’atto di citazione, mentre, successivamente, tanto in sede di precisazione delle conclusioni quanto nella comparsa conclusionale e nella relativa replica, avrebbero formulato domanda di liquidazione degli importi come risultanti dalle tabelle in vigore al momento della pronuncia di secondo grado.

Tali tabelle sarebbero state rideterminate, quanto alle soglie massime di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, in funzione delle intervenute sentenze del novembre del 2008 e del principio ivi affermato di unitarietà del danno non patrimoniale, innanzando i relativi importi ad Euro 300.000 in favore di ciascun genitore ed Euro 130.266 in favore di un fratello.

Il motivo è fondato.

La Corte d’Appello di Milano ha fatto espressamente applicazione delle tabelle in uso nel 2008, anno di deposito della sentenza di primo grado, piuttosto che a quelle in uso alla data della sentenza oggi impugnata (2013).

Questa Corte ha però affermato che, se le tabelle applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale da morte di un prossimo congiunto cambino nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d’appello) ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione, non essendo sufficiente la semplice rivalutazione degli importi liquidati in base alle tabelle vigenti alla data della decisione di primo grado, e non più in uso al momento della pronuncia impugnata (Cass. n. 7272/2012).

infatti, le tabelle in uso a partire dal 2009 sono state predisposte tenendo conto dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, e in particolare dalle sentenze a Sezioni Unite del 2008, in tema di unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale (cfr. Cass. n. 12408/12 cit.).

La liquidazione del danno derivante dalla perdita di un congiunto è stata oggetto, dapprima, delle sentenze di questa Corte nn. 8827 e 8828 del 2003, le quali hanno affermato che il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito per la definitiva perdita del rapporto parentale in conseguenza della morte di un congiunto lamenta l’incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, sia dall’interesse all’integrità morale, e ciò in quanto l’interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost..

Successivamente, le S.U., con la sentenza n. 26972 del 2008, hanno, tra l’altro, affermato che la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto – del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale.

Ne segue che la differenza tra le liquidazioni determinate, nel caso di specie, secondo le tabelle vigenti prima della sentenza del 2008, piuttosto che secondo quelle elaborate successivamente a tale sentenza, non è colmata dalla rivalutazione degli importi.

Pertanto, coglie nel segno la censura dei ricorrenti, sotto il profilo della violazione di legge, per la quale, applicando tabelle vigenti alla data del novembre 2003, e provvedendo al loro “aggiornamento” soltanto mediante la rivalutazione della differenza tra gli importi liquidati in secondo grado e quelli liquidati in primo grado, il giudice d’appello è pervenuto ad un’inadeguata valutazione equitativa del danno.

Nè la richiesta degli odierni ricorrenti, contenuta nell’atto di citazione in appello, di fare applicazione delle Tabelle vigenti nel 2008, potrebbe giustificare la decisione della Corte di Appello, posto che, successivamente, nella fase conclusionale, i ricorrenti hanno espressamente richiesto l’applicazione delle “nuove” Tabelle, intervenute dopo la notifica del medesimo atto.

Questa Corte, infatti, ritiene che non costituisca inammissibile mutamento della domanda la richiesta dell’attore che, nel domandare il ristoro del danno patito, dopo aver quantificato nell’atto di citazione la propria pretesa, all’udienza di precisazione delle conclusioni insti per il pagamento di una somma maggiore al fine di tenere conto dei nuovi criteri standard di risarcimento (c.d. “tabelle”) adottati dal Tribunale di Milano al momento della decisione (Cass. n. 7768/2016).

Deve peraltro tenersi conto della circostanza che la rielaborazione delle suddette tabelle è avvenuta quando il giudizio di gravame era già stato instaurato, senza che fosse stata ancora emessa la sentenza di relativa definizione. Di conseguenza, deve ritenersi sufficiente che l’applicazione delle nuove tabelle sia stata invocata anche solo in sede di precisazione delle conclusioni.

4.3. Con il terzo motivo, si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., con particolare riferimento alla voce di danno attinente alla lesione di pregiudizi di ordine morale nell’interesse della Sig.ra T.”.

La pronuncia sul danno morale riferibile alla signora T. sarebbe viziata ed incomprensibile perchè la Corte di Milano affermerebbe di condividere la decisione del Tribunale sul punto, in realtà inesistente, e perchè la stessa Corte farebbe riferimento al principio di unitarietà del danno non patrimoniale senza però specificare in quale altra voce di danno il pregiudizio morale sofferto dalla signora T. avrebbe trovato ristoro.

Le risultanze della c.t.u. medico-legale disposta sulla persona della ricorrente riporterebbero un quadro psicopatologico della periziata molto grave, con un fortissimo stato depressivo. Tale aspetto, assolutamente differente dal danno alla salute, non avrebbe trovato alcuna liquidazione nella sentenza di merito. Peraltro, dopo le sentenze gemelle del 2008, le Tabelle milanesi sarebbero state riviste ipotizzando un aumento automatico del punto base in ragione della componente di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza soggettiva, mediante ricorso ad una percentuale di aumento ponderata e variabile a seconda del grado di invalidità riscontrata, che, nel caso di specie, sarebbe pari al 27-28%.

4.4. Con il quarto motivo, si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., con particolare riferimento alla voce di danno non patrimoniale attinente alla lesione di diritti inviolabili e costituzionalmente garantiti dagli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost.”.

La Corte di Appello di Milano, pur avendo ritenuto indubitabile l’alterazione del sistema vita dei componenti della famiglia C., si sarebbe posto in contrasto con la costante giurisprudenza seguita alle Sezioni Unite del 2008 – la quale sancisce il pieno integrale ristoro del danno – non riconoscendo quale pregiudizio ulteriore subito dai ricorrenti, diverso sia da quello patrimoniale che da quello morale, lo sconvolgimento delle abitudini di vita e gli odierni ricorrenti a seguito del sinistro e delle conseguenze che tale evento provocato nell’esistenza degli stessi anche nei suoi aspetti ricreativi e relazionali.

4.5. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso rende superfluo l’esame del terzo e del quarto motivo che rimangono assorbiti.

Infatti, il giudice del rinvio provvederà alla rideterminazione del risarcimento applicando le Tabelle di Milano in vigore al momento della decisione di secondo grado, le quali hanno carattere tendenzialmente onnicomprensivo, quantificando già tutte le conseguenze non patrimoniali sia sotto il profilo morale soggettivo (c.d. danno morale) che sotto quello dinamico relazionale (c.d. danno esistenziale).

5. Pertanto la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al secondo motivo, così come in motivazione, dichiara assorbito il terzo e quarto motivo e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, a diversa sezione della Corte di Appello di Milano.

PQM

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al secondo motivo, dichiara assorbito il terzo e quarto motivo e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, a diversa sezione della Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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