Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3785 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. I, 14/02/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 14/02/2020), n.3785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FEDERICO Guido – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32758/2018 r.g. proposto da:

I.S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Diego Giuseppe

Perricone, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Caltanissetta, alla via T. Tamburini n. 2;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CALTANISSETTA depositato in data

08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 06/12/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. I.S., nativo del (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Caltanissetta dell’8 ottobre 2018, n. 1878, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) e c), o il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. In particolare, quel tribunale ritenne scarsamente credibili e prive di plausibilità – condividendo l’analogo giudizio della commissione territoriale – le dichiarazioni del richiedente e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Le formulate censure ascrivono al decreto impugnato, rispettivamente:

I) “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. b), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”, quanto al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), asseritamente avvenuto senza valutazione, sul punto, di alcuno dei fatti emersi nel corso del giudizio ed oggetto di discussione;

II) “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, circa la ritenuta insussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

III) “Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in ordine alla denegata protezione umanitaria;

IV) “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 35-bis, comma 17, (per come previsto dalla L. n. 13 del 2017), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, con riguardo all’avvenuta revoca dell’ammissione dell’odierno ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

3. I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente perchè connessi, sono complessivamente insuscettibili di accoglimento.

3.1. Giova premettere che questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 18431 del 2019), ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

3.1.1. In primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (medesimo D.Lgs., art. 3, comma 5). Ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (cfr. Cass. n. 17069 del 2018). Al contrario, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la richiesta di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015).

3.1.2. Infatti, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3.1.3. Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

3.2. Nella specie, il Tribunale di Caltanissetta: i) ha condiviso la valutazione di scarsa credibilità e plausibilità del racconto del ricorrente, già affermata dalla Commissione territoriale, con valutazione in fatto qui evidentemente non sindacabile (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, secondo cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito”), se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità – cfr. Cass., SU. n. 8053 del 2014 in cui è oggi prospettabile, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso l’8 ottobre 2018: vizio motivazionale, nella specie, peraltro non denunciato su questo specifico aspetto; ha ponderato, indicando le fonti del proprio convincimento (rapporto EASO dell’agosto 2017: trattasi di documentazione da reputarsi ragionevolmente aggiornata in rapporto al momento – 26 settembre 2018 – di deliberazione del decreto suddetto), la situazione sociale, politica ed economica del Paese ((OMISSIS), distretto di (OMISSIS)) di provenienza dell’odierno ricorrente (dove, dunque, questi andrebbe, se del caso, rimpatriato), escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), laddove il ricorrente invoca, oggi, anche con riferimento alla invocata protezione umanitaria (cfr., rispettivamente, il secondo ed terzo motivo), circostanze e/o fatti di violenza indiscriminata e/o mancato riconoscimento di diritti nel suddetto Paese avulsi del tutto da ogni contestualizzazione.

3.3. E’ utile ricordare, poi (con specifico riguardo al primo motivo dell’odierno ricorso, ed alla esistenza, rispetto ad esso, di un effettivo interesse della corrispondente doglianza del ricorrente), che, quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), stante il giudizio di scarsa credibilità e plausibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente protezione, la stessa non avrebbe comunque potuto riconoscersi, nè avrebbe imposto al giudice ulteriori accertamenti sulla corrispondente istanza (cfr. Cass. n. 15794 del 2019).

3.4. Deve, dunque, ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda scarsamente credibile, riguardo alla quale, evidentemente, non vi era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità: credibilità che il giudice merito ha escluso, con giudizio qui non ulteriormente sindacabile per le ragioni già precedentemente evidenziate, dovendosi soltanto rimarcare che l’assunto riguardante l’inattendibilità del richiedente protezione e la motivazione addotta a sostegno di tale convincimento non sono stati specificamente e/o adeguatamente censurati in questa sede dal ricorrente.

3.5. Quanto, poi, all’invocato riconoscimento della protezione umanitaria da scrutinarsi sulla base della corrispondente disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018: questa Corte, infatti, ha recentemente sancito, anche a Sezioni Unite (cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; n. Cass. n. 4890 del 2019), che “la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata DAL D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima – come quella in esame. Ndr dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge” – è evidente che la scarsa attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che, al fine di valutare se il richiedente abbia ivi subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del Paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente, come si è già detto, l’attivazione dei poteri officiosi.

3.5.1. Nella specie, non solo la narrazione dei fatti è stata ritenuta scarsamente attendibile, ma il tribunale ha altresì osservato (cfr. pag. 5 del decreto impugnato) che “…nessuna circostanza o fatto rilevante, tale da integrare una possibile situazione di vulnerabilità è stato allegato ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria…. non bastando, al riguardo, il regolare svolgimento, in Italia, di attività lavorativa”.

3.5.2. Il terzo motivo dell’odierno ricorso si risolve, invece, nel mero e generico richiamo ad una situazione di scontri tra forze governative ed alcuni gruppi armati terroristici presenti sul territorio del (OMISSIS) e/o al mancato riconoscimento ivi di diritti umani fondamentali avulsi del tutto da ogni riferimento alla concreta situazione personale del ricorrente. La riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può, però, essere surrogata dalla situazione generale del Paese di provenienza, perchè, altrimenti, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Stato d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e tenuto conto che il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato, come presupposto della protezione umanitaria, non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale, che, tuttavia, nella specie, è stata sostanzialmente esclusa, alla stregua delle riportate affermazioni del tribunale.

3.6. In definitiva I.S., con i motivi in esame, per come concretamente argomentati, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nel decreto impugnato una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale e di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

4. Il quarto motivo, infine, è inammissibile, atteso che questo Collegio ritiene di dover aderire all’opinione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 32028 del 2018; Cass. n. 3028 del 2018; Cass. n. 29228 del 2017; contra, invece, Cass. n. 7191 del 2016), secondo cui la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il provvedimento che definisce il giudizio di merito, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non ne comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R. n., dovendosi escludere che quel provvedimento, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione.

5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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