Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3784 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. II, 17/02/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 17/02/2010), n.3784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE TRASTEVERE 259, presso lo studio dell’avvocato BARTOLI

PIER LUIGI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 78, presso lo studio dell’avvocato D’ASTICE

FRANCESCO GIAMBATTISTA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PICARONE CARLO;

– controricorrente –

e contro

COND. (OMISSIS) in persona

dell’Amministratore pro tempore;

– intimato –

e sul ricorso n. 3608/2005 proposto da:

COND (OMISSIS) in persona

dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLE NAVI 30, presso lo studio dell’avvocato RUFFINI

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente ric. incidentale –

contro

C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 78, presso lo studio dell’avvocato D’ASTICE

FRANCESCO GIAMBATTISTA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PICARONE CARLO;

– controricorrente –

e contro

D.L.V. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 4739/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

15/01/2010 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;

udito l’Avvocato D’ASTICE Francesco G. difensore della resistente che

si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. C.R. chiedeva nei confronti del condominio di via (OMISSIS) provvedimenti urgenti al fine di eliminare le infiltrazioni d’acqua nell’appartamento di sua proprieta’ sito nello stabile condominiale.

Il condominio si costituiva e deduceva che i lavori necessari per eliminare l’inconveniente erano stati impediti da T.F. e D.L.V., rispettivamente proprietaria ed occupante dell’appartamento soprastante quello della C..

Il D.L., chiamato in causa, eccepiva l’incompetenza per materia del giudice adito e l’inammissibilita’ della domanda proposta nei suoi confronti.

Espletata c.t.u., veniva ordinato al condominio di eseguire i lavori necessari all’eliminazione delle infiltrazioni ed al D.L. di consentire l’accesso nell’immobile da lui occupato.

Con atto di riassunzione C.R. conveniva in giudizio il condominio ed il D.L. chiedendo la conferma dei provvedimenti urgenti e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.

Il condominio chiedeva di essere manlevato dal D.L. il quale sollevava numerose eccezioni in fatto e in diritto.

Con sentenza 25/2/1999 il tribunale di Roma dichiarava cessata la materia del contendere in ordine all’eliminazione della cause delle infiltrazioni e condannava in solido i convenuti al pagamento in favore dell’attrice di L. 7.800.000, dichiarando i detti convenuti, nel rapporto interno di condebitori solidali, tenuti nella misura del 50% con diritto di rivalsa in pari misura.

Avverso la detta sentenza il D.L. proponeva appello al quale resistevano C.R. ed il condominio il quale spiegava appello incidentale.

Con sentenza 10/11/2003 la corte di appello di Roma rigettava i gravami osservando: che i sei motivi dell’appello principale del D. L. erano infondati in quanto:

a) la C. aveva lamentato anche un danno alla salute reclamando il risarcimento per cui la causa era da considerare di valore indeterminato e, quindi, di competenza del tribunale adito;

b) non sussisteva l’asserito difetto di contraddittorio nei confronti di T.F. anche perche’ i provvedimenti cautelari erano stati emessi solo nei confronti del D.L. e del condominio;

c) sussisteva la legittimazione passiva del D.L. nei cui confronti la C. aveva fatto valere una responsabilita’ di natura personale per il suo comportamento ostruzionistico per non aver consentito l’accesso nell’appartamento da lui occupato;

d) per i danni in questione andava ribadita la responsabilita’ del D.L., in solido con il condominio, nella pari misura del 50% in considerazione della reiterata opposizione dello stesso all’accesso al suo appartamento senza valide giustificazioni;

e) non vi era motivo per disattendere la quantificazione dei danni effettuata dal tribunale in misura necessariamente equitativa e sulla base delle risultanze della c.t.u.;

f) in sede di precisazione delle conclusioni il D.L. non aveva confermato quanto domandato in via riconvenzionale. La corte di merito rilevava poi che doveva confermarsi la responsabilita’ del condominio sia pur nella misura del 50% da ritenersi equitativamente congrua tenuto conto di quanto accertato dal c.t.u. in ordine alle cause delle infiltrazioni in questione.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Roma e’ stata chiesta da D.L.V. con ricorso affidato ad un solo motivo. Hanno resistito con separati controricorsi C.R. ed il condominio di via (OMISSIS) il quale ha proposto ricorso incidentale sorretto da tre motivi illustrati da memoria. La C. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale del condominio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale del D.L. e quello incidentale del condominio vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Con l’unico motivo del ricorso principale il D.L. denuncia violazione dell’art. 102 c.p.c., dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 1130 c.c., nonche’ vizi di motivazione e violazione delle norme sulla competenza e, in particolare, dell’art. 38 c.p.c..

Con il detto motivo il ricorrente articola le seguenti censure.

1) Difetto di legittimazione passiva deducendo che, come risultava da quanto esposto sia dal condominio che dalla C., sin dall’origine della vertenza era chiaro che l’indagine peritale doveva essere indirizzata alla verifica dell’eventuale risalita delle acque luride dai dotti fognanti ai locali siti al piano terra abitati dalla C., senza necessita’ di svolgere indagini tecniche al piano superiore nell’appartamento abitato da esso D.L..

2) La corte di appello, nel ritenere inammissibile perche’ tardiva la prova per testi chiesta da esso ricorrente nel giudizio di secondo grado, ha violato l’art. 345 c.p.c. atteso che tale prova era indispensabile ai fini della decisione e riguardava fatti acclarati dopo il giudizio di primo grado.

3) La decisione impugnata per la parte relativa alla proporzione delle responsabilita’ di esso D.L. e del condominio – con le connesse conseguenze sulla condanna al risarcimento dei danni e alle spese processuali – e’ priva di logica e non e’ sorretta da alcuna valida motivazione.

4) Nella precisazione delle conclusioni in primo grado il difensore di esso ricorrente, nel richiamare “tutte le difese scritte ed orali”, ha inteso richiamare l’integrale contenuto della comparsa di risposta ivi compresa la spiegata domanda riconvenzionale senza rinunciare – al contrario di quanto affermato dalla corte di appello – a detta domanda.

5) Le decisioni del condominio di costituirsi in giudizio, di chiamare in causa esso D.L. e di resistere all’appello, sono state assunte in assemblee viziate e pertanto illegittime.

6) Il tribunale era incompetente a decidere sulla domanda proposta ex art. 700 c.p.c. dalla C. in quanto i danni da infiltrazione erano derivati da acqua piovana per cui non era sussistente il danno alla salute: la controversia non puo’ pertanto essere ritenuta di valore indeterminabile.

Le dette censure sono tutte o inammissibili o infondate.

Con riferimento alla prima e’ appena il caso di rilevare che il D. L. dimentica di essere stato chiamato in causa per la sua responsabilita’ personale dovuta – ed accertata dai giudici del merito – al suo atteggiamento ostruzionistico consistito nel ripetuto rifiuto di concedere l’ingrasso nel suo appartamento indispensabile per procedere alle indagini tecniche al fine di individuare la causa delle infiltrazioni e il tipo di intervento necessario per l’eliminazione di dette infiltrazioni.

La seconda censura – relativa alla mancata ammissione della prova per testi chiesta in grado appello – e’ inammissibile non avendo il ricorrente specificamente indicato la circostanza dedotta nelle istanze istruttorie disattese dalla Corte e che, secondo la sua valutazione, avrebbe potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata. La giurisprudenza di questa Corte ha piu’ volte indicato che, qualora con il ricorso per Cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonche’ di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ un controllo sulla decisivita’ delle prove. Cio’ per dar modo al giudice di legittimita’ di verificare la validita’ e la decisivita’ delle disattese deduzioni di prova sulla sola base del ricorso per Cassazione, stante il principio di autosufficienza di tale atto di impugnazione, senza che si rendano necessarie indagini integrative o che possa, all’uopo, svolgere funzione sostitutiva il richiamo “per relationem” ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio. Nella specie detto onere non e’ stato rispettato dal D.L. per cui la censura in esame e’ inammissibile.

La terza censura dell’unico motivo del ricorso principale verra’ esaminata unitamente ai tre motivi del ricorso incidentale.

La quarta censura non e’ meritevole di accoglimento atteso che, come questa Corte ha avuto modo di precisare, la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni definitive, soprattutto allorche’ queste siano prospettate in modo specifico, di domande o eccezioni precedentemente formulate, implica normalmente una presunzione di abbandono o di rinuncia alle stesse. La presunzione di abbandono di una domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, fondandosi sulla interpretazione della volonta’ delle parti, puo’ essere vinta da specifici elementi sintomatici di una contraria volonta’. L’accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito, comunque, e’ insindacabile in sede di legittimita’, se (come appunto nella specie) sorretto da congrua e logica motivazione (tra le tante, sentenza 16/5/2007 n. 11315).

La quinta censura concernente l’asserito difetto di legittimazione attiva del condominio – e’ inammissibile perche’ prospetta una questione che si basa su elementi di fatto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (ne’ e’ stato dedotto in ricorso) che abbiano formato oggetto del contraddittorio nel giudizio di secondo grado.

Sul punto va ribadito il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimita’ secondo cui nel giudizio di cassazione non e’ consentita la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione difensiva, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel pregresso giudizio di merito e prospettino comunque questioni fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli ivi proposti. I motivi del ricorso per Cassazione devono infatti investire, a pena di inammissibilita’, statuizioni e problematiche che abbiano formato oggetto del giudizio di appello per cui non possono essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di indagine involgenti accertamenti non compiuti perche’ non richiesti in sede di merito.

Pertanto ove il ricorrente in sede di legittimita’ proponga una questione non trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

La tesi esposta dal ricorrente con la censura in esame non e’ quindi deducibile in questa sede di legittimita’ perche’ introduce per la prima volta un autonomo e diverso sistema difensivo che postula indagini e valutazioni non compiute dal giudice di appello perche’ non richieste.

La sesta censura e’ poi manifestamente destituita di fondamento non avendo considerato il D.L. che la C. con l’atto di riassunzione – come puntualmente posto in evidenza nella sentenza impugnata – lamento’ anche il danno alla salute reclamando il risarcimento del danno pure per tale titolo rientrante nella competenza per valore dell’adito tribunale in quanto di entita’ indeterminata.

Il D.L. con la terza censura sostiene che la decisione impugnata per la parte relativa alla proporzione delle responsabilita’ di esso D.L. e del condominio — con le connesse conseguenze sulla condanna al risarcimento dei danni e alle spese processuali — e’ priva di logica e non e’ sorretta da alcuna valida motivazione.

Con il primo motivo del ricorso incidentale il condominio di via (OMISSIS) denuncia vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello ha errato nel rigettare l’appello incidentale con il quale esso condominio aveva contestato la propria responsabilita’ ritenendo unico responsabile il D.L.. La corte di merito, pur riconoscendo il comportamento ostruzionistico del D.L. e l’indispensabilita’ dell’accesso al suo appartamento, ha immotivatamente affermato che detto comportamento aveva comportato semplicemente un aggravamento del danno per il ritardo in quanto le infiltrazioni provenivano da un giunto della tubazione condominiale.

Il giudice di secondo grado non ha considerato che gran parte delle somme liquidate dal tribunale riguardavano i danni – derivanti dalla ritardata eliminazione delle cause delle infiltrazioni – frutto del comportamento ostruzionistico del D.L. emerso dalle risultanze processuali.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale il condominio denuncia violazione degli artt. 2043 e 2055 c.c. deducendo che nella specie si verte in presenza di diverse ed autonome condotte prodromiche a diversi ed autonomi fatti illeciti distinguibili quanto agli effetti senza il sorgere di responsabilita’ solidale: da un lato vi e’ la responsabilita’ di esso condominio per i danni cagionati dalle infiltrazioni lamentate dalla C.; dall’altro vi e’ la condotta dilatoria del D.L. idonea da sola a cagionare il “danno da ritardo” non imputabile ad esso ricorrente incidentale.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale il condominio denuncia vizi di motivazione sostenendo che – come risulta dagli atti di causa – il danno per la maggior parte si e’ verificato tra il 1993 e il 1996 e se il D.L. ha continuato il proprio comportamento ostruzionistico anche nel periodo dal 1994 al 1996, e’ contraddittoria ed immotivata la decisione di addossare ad esso condominio, ai fini della limitazione del proprio diritto di rivalsa nei confronti del D.L., il 50% della responsabilita’ della causazione dei detti danni.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che – per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione -possono essere esaminate congiuntamente riguardando tutte, sia pur sotto profili diversi e contrapposti, la stessa questione dell’individuazione del responsabile dei danni subiti dalla C., dell’efficienza causale delle singole condotte del condominio e del D.L. e della graduazione delle rispettive colpe.

Va innanzitutto evidenziato che la corte di appello – al contrario di quanto sostenuto dal condominio con il secondo motivo del ricorso incidentale – nell’affrontare la detta questione ha correttamente interpretato ed applicato l’art. 2055 c.c.. In proposito la giurisprudenza di legittimita’ ha costantemente affermato che l’art. 2055 c.c. e’ applicabile ogni qualvolta un evento dannoso, unico rispetto al danneggiato, sia causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di piu’ soggetti e anche se uno o alcuni rispondano a titolo contrattuale e altri a titolo di responsabilita’ aquiliana. Cio’ da luogo ad un’ipotesi di solidarieta’ passiva, con gli effetti di cui alla citata norma.

Peraltro la responsabilita’ solidale, contrattuale o extracontrattuale (art. 1292 c.c. e art. 2055 c.c., comma 1), sussiste anche se l’evento dannoso e’ causalmente derivato dalle di piu’ soggetti, ciascuno dei quali abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa, restando irrilevante, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, la diseguale efficienza causale delle singole condotte, poiche’ il danneggiato puo’ pretendere l’intera prestazione anche da uno solo degli obbligati.

La diversa gravita’ delle rispettive colpe e l’eventuale diseguale efficienza causale puo’ avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna dell’obbligazione passiva di risarcimento tra i corresponsabili. Il giudice del merito adito dal danneggiato deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe e sull’efficienza causale delle rispettive condotte solo se – come appunto verificatosi nella specie – uno dei condebitori (nel caso in esame il condominio) abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento ai fini della ripartizione interna (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 21/9/2007 n. 19492; 9/11/2006 n. 23918; 25/8/2006 n. 18497;

22/7/2005 n. 15431).

Cio’ posto va segnalato che le censure in esame, pur se titolate come vizio di motivazione, si risolvono essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimita’, nonche’ nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione non e’ sindacabile in sede di legittimita’ se sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: il sindacato di legittimita’ e’ sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Ne’ per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice di merito e’ tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

Va aggiunto che, come questa Corte ha avuto modo di precisare, in tema di responsabilita’ per fatto illecito, la determinazione del grado delle colpe concorrenti e’ rimessa all’apprezzamento incensurabile del giudice del merito, il quale assolve l’obbligo della motivazione con l’esprimere il proprio convincimento circa la maggiore o uguale gravita’ dell’una o dell’altra colpa, in base ad una valutazione complessiva dei fatti e dell’efficienza causale del comportamento colposo di ciascuno dei corresponsabili.

Nella specie la corte di appello – confermando sul punto la decisione del primo giudice – ha ravvisato una responsabilita’ del D.L. e del condominio nella pari misura del 50%.

La Corte di appello e’ pervenuta alla detta conclusione (da entrambi i ricorrenti criticata con tesi contrapposte) attraverso complete argomentazioni, improntate a retti criteri logici e giuridici – nonche’ frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze di causa riportate nella decisione impugnate e, in particolare, del contenuto della relazione peritale del consulente tecnico con riferimento alla natura, entita’ e cause delle infiltrazioni lamentate dalla C.; – ed ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni il ricorrente principale e quello incidentale contrappongono le proprie contrapposte e contrastanti, ma della maggiore o minore attendibilita’ di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non e’ certo consentito discutere in questa sede di legittimita’, cio’ comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non puo’ avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Sono pertanto insussistenti gli asseriti vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

In definitiva, poiche’ resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimita’ ogni possibilita’ di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non possono i ricorrenti pretendere il riesame del merito sol perche’ la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dalla Corte territoriale non collima con le loro aspettative e confutazioni.

In definitiva devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.

Le spese di questo giudizio di legittimita’ vanno interamente compensate tra il D.L. ed il condominio in considerazione della reciproca soccombenza.

Le spese del giudizio di cassazione sostenute dalla C. per resistere sia al ricorso principale del D.L. che a quello incidentale del condominio vanno liquidate nella stessa misura indicata in dispositivo e poste a carico di ciascuno dei detti ricorrenti principali e incidentali.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra il D.L. ed il condominio le spese del giudizio di cassazione; condanna sia il D. L. che il condominio al pagamento, ciascuno, in favore della C. delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 1.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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