Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3783 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. I, 14/02/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 14/02/2020), n.3783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FEDERICO Guido – rel. Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32825/2018 proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Ficarra, del

foro di Gela, elettivamente domiciliato presso il suo studio nella

via Bivona n. 37, in Mazzarino;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il

17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il tribunale di Caltanissetta con il decreto n. 1704/18 pubblicato il 17 settembre 2018, ha rigettato la domanda proposta da A.G. cittadino proveniente dal (OMISSIS), escludendo il riconoscimento di ogni forma di protezione.

Il Tribunale, in particolare, ha escluso la credibilità del racconto del ricorrente, il quale aveva riferito di aver casualmente scoperto e denunciato all’autorità di polizia che all’interno delle cassette trasportate da lui e dal fratello erano nascoste armi e munizioni; essi avevano pertanto subito minacce cui aveva fatto seguito un attentato nel quale il fratello aveva perso la vita: il tribunale rilevava al riguardo che la ricostruzione dei fatti era poco chiara e generica e presentava incongruenze, quali le modalità della denuncia ed il comportamento della polizia che, trattenendo il richiedente ed il fratello, ne aveva consentito il riconoscimento da parte delle persone accusate.

Il tribunale ha inoltre escluso, sulla base delle informazioni acquisite dall’EASO aggiornate all’agosto 2017, la sussistenza nell’area di provenienza del richiedente ((OMISSIS)), di una situazione di violenza generalizzata e di conflitto armato, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità del richiedente, ed evidenziando che, dagli accertamenti svolti dall’Inps, risultava che questi non aveva mai svolto regolare attività lavorativa.

Il Ministero dell’Interno, costituitosi al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge, in relazione alla mancata traduzione in una lingua conosciuta dal ricorrente, sia della decisione della commissione, che dell’impugnato decreto.

Il motivo è inammissibile.

Avuto riguardo alla mancata traduzione della decisione della commissione va affermata la novità della questione, che non risulta essere stata sottoposta all’esame del tribunale, onde nessuna statuizione al riguardo è stata adottata.

Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha infatti l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass.2140/2006).

Inoltre, come questa Corte ha già affermato, in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove denunci l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare, in modo specifico, quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa (Cass.18723/2019).

Quanto invece alla mancata traduzione dell’impugnato decreto, si osserva che in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (Cass. 23760 del 2019).

Il terzo motivo denuncia violazione di legge, in relazione alla statuizione del decreto impugnato che ha ritenuto il racconto poco chiaro e non veritiero, deducendo che il Tribunale ha valutato in modo non corretto il materiale probatorio offerto dal ricorrente ed erroneamente applicato i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Il motivo è inammissibile.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. 3340/2019).

Orbene nel caso di specie il tribunale, con apprezzamento adeguato ha escluso la coerenza e credibilità del racconto del richiedente ed ha ritenuto poco chiara e credibile la dinamica dei fatti raccontati, avuto riguardo in particolare al comportamento della polizia, evidenziando inoltre che il richiedente aveva omesso di spiegare perchè non aveva richiesto protezione alle autorità competenti.

Il terzo motivo denuncia la violazione di diverse disposizioni di legge, in relazione alla statuizione del provvedimento impugnato che ha escluso, ai fini della concessione della protezione sussidiaria, la configurabilità di un danno grave per il richiedente.

Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la principale ratio del provvedimento impugnato, che ha escluso la credibilità del racconto del richiedente.

E’ evidente che la valutazione di scarsa credibilità si riflette sulla configurabilità della sussistenza di un danno grave in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), che non può prescindere dall’esame della situazione personale del ricorrente.

Quanto invece alla protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. c) la Corte territoriale ha accertato, mediante il ricorso a fonti internazionali attendibili citate in motivazione (Rapporto EASO aggiornato all’agosto 2017), secondo quanto richiesto dal recente indirizzo di questa Corte (Cass. 11312/2019) che la zona di provenienza dell’immigrato ((OMISSIS)) non risultava interessata da una situazione di violenza diffusa riconducibile a quella di cui all’art. 14, lett. c), non potendo rilevare gli episodi di matrice terroristica, talora verificatisi nella zona di provenienza, atteso che tali atti – mirati ad obiettivi determinati – non valgono ad integrare, per la loro episodicità, quella situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, richiesta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)).

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e, considerato che il Ministero dell’Interno, costituitosi al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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