Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37819 del 01/12/2021
Cassazione civile sez. II, 01/12/2021, (ud. 04/06/2021, dep. 01/12/2021), n.37819
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28956-2016 proposto da:
B.M., D.D., elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA BUCCARI 3, presso lo studio dell’avvocato WALTER FINI,
rappresentati e difesi dagli avvocati RICCARDO DE LODI, ANDREA
PERRON CABUS;
– ricorrenti –
contro
BA.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO MESSICO
7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE GRANARA;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 688/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 18/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/06/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Soldi Annamaria, la quale ha concluso per il rigetto tanto del
ricorso principale quanto di quello incidentale uditi gli avvocati
Riccardo De Lodi e Daniele Granara.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Ba.Gi. conveniva in giudizio D.D. e B.M. chiedendone la condanna alla remissione in pristino di un sottotetto di proprietà condominiale, trasformato dai convenuti in locale abitabile con apertura di finestre e appropriazione di bene comune.
2. I convenuti, nel costituirsi in giudizio, rivendicavano la proprietà esclusiva del sottotetto che doveva considerarsi come pertinenza del loro appartamento, non essendo lo stesso suscettibile di uso autonomo da parte dei condomini e non essendo elencato tra i beni per i quali opera la presunzione di condominialità ex art. 1117 c.c..
3. Il Tribunale, istruita la causa, respingeva la domanda dell’attore.
4. Ba.Gi. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5. La Corte d’Appello disponeva una consulenza tecnica d’ufficio volta ad accertare e descrivere lo stato dei luoghi e, in particolare, lo stato del sottotetto prima dell’intervento dei convenuti. All’esito della consulenza, in parziale accoglimento dell’appello, condannava gli appellati in solido al risarcimento dei danni patiti dall’appellante che liquidava nella somma complessiva di Euro 158.200,00.
La Corte d’Appello osservava che l’appartenenza del sottotetto doveva determinarsi in base ai titoli di proprietà e, in mancanza, in base alla funzione cui esso era destinato in concreto. Pertanto, trattandosi di un vano destinato esclusivamente a servire da protezione all’appartamento dell’ultimo piano e assolvendo l’esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento dal caldo, dal freddo e dall’umidità, mediante la creazione di una camera d’aria, esso doveva considerarsi pertinenza dell’appartamento dei convenuti posto all’ultimo piano e, dunque, proprietà esclusiva degli stessi. In primo grado, il Tribunale aveva valorizzato l’indicazione dei confini contenuta nel titolo di proprietà dei convenuti, affermando la proprietà esclusiva del sottotetto in capo ai convenuti. In particolare, il Tribunale aveva tratto il convincimento che l’originaria proprietaria dell’intero caseggiato avesse individuato nel tetto uno dei confini dell’appartamento alienato ai convenuti e avesse inteso ricomprendere il sottotetto nell’oggetto della vendita.
La Corte d’Appello, invece, riteneva dovesse valorizzarsi la descrizione della consistenza originaria del sottotetto contenuta nella relazione peritale, laddove il consulente tecnico aveva evidenziato che solo una piccola parte della superficie era calpestabile ed utilizzabile come bene autonomo. Il resto del sottotetto non era praticabile ed era stato realizzato come intercapedine tra il tetto del caseggiato e l’appartamento dei convenuti. Il sottotetto, dunque, non era suscettibile di utilizzazione separata senza che assumesse rilievo il fatto che l’attore potesse accedervi per effettuare le riparazioni della copertura del tetto o per la manutenzione dell’antenna o per raggiungere, fino a un certo periodo di tempo, la caldaia condominiale che ivi era collocata. Secondo la Corte d’Appello non era rilevante neanche il fatto che il sottotetto fosse raggiungibile da una scala interna posta sul pianerottolo condominiale accessibile anche dall’attore. Per accedere al sottotetto, infatti, era necessario passare da un ripostiglio posto in cima alla scala che apparteneva ai convenuti, i quali lo avevano sempre utilizzato come deposito di beni immobili di proprietà esclusiva. Pertanto, l’attore per accedere al sottotetto e per effettuare la manutenzione dei beni comuni doveva passare attraverso il ripostiglio dei convenuti, passaggio che configurava l’esercizio di una servitù, piuttosto che un diritto di natura dominicale di cui non vi erano i presupposti.
5.1 La Corte d’Appello, tuttavia, riteneva che la trasformazione edilizia del sottotetto eseguita dai convenuti, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, avesse causato dei danni a carico delle parti condominiali e della proprietà esclusiva dell’attore. Tali danni consistevano nella modifica della copertura dei prospetti, nella modifica del vano scale, nell’appropriazione di una porzione di ballatoio condominiale, nell’apertura di nuove vedute sulla proprietà dell’attore a distanza inferiore a quella legale dal confine, nella installazione di due nuovi scarichi di acqua piovana con effetto antiestetico sulle facciate del caseggiato. Non era invece risultata provata l’esistenza di un pregiudizio alla statica del caseggiato. Il CTU aveva accertato una lesione da infiltrazione all’appartamento dell’attore ma non aveva potuto attribuirla ai lavori eseguiti dai convenuti.
Il Giudice del gravame riteneva di aderire alla valutazione del consulente tecnico d’ufficio che aveva calcolato un abbattimento del valore commerciale del bene dell’attore pari al 60 per cento, da ridurre al 50 per cento, in considerazione del fatto che non poteva comprendersi il pregiudizio statico. Secondo la Corte d’Appello, il consulente tecnico aveva erroneamente utilizzato le tabelle relative alla fascia della zona B1 mentre l’immobile ricadeva nella zona C1 di valore inferiore e, dunque, il valore dell’appartamento doveva essere stimato moltiplicando il valore unitario di Euro 2800 per metro quadro per la superficie utile di metri quadri 113.
6. D.D. e B.M. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.
7. Ba.Gi. ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale autonomo fondato su cinque motivi e, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria con la quale ha insistito nella richiesta di rigetto del ricorso principale e di accoglimento del ricorso incidentale.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso del ricorso principale è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 per omessa esposizione delle ragioni a sostegno della decisione di determinare il danno applicando il metodo di quantificazione indicato dal consulente tecnico d’ufficio.
La censura si incentra sulla quantificazione del danno mediante l’utilizzo del metodo indicato dal consulente tecnico d’ufficio senza alcun approfondimento della questione e senza alcuna autonoma motivazione. Peraltro, il consulente tecnico, nella sua relazione, non aveva indicato alcun criterio di quantificazione del danno, facendo riferimento alla staticità del fabbricato che poteva essere stata compromessa.
La percentuale di abbattimento del valore dell’appartamento di proprietà dei signori Ba. nella misura del 60 (rectius 50) percento non sarebbe in alcun modo motivata, non comprendendosi quali siano i danni lamentati alle parti condominiali. Nel corso del giudizio, inoltre, le critiche mosse alla consulenza tecnica erano state specifiche e puntuali e la sentenza non avrebbe dato alcuna risposta alle stesse.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra le domande di Ba. e la pronuncia della Corte d’Appello in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 nullità della sentenza.
I ricorrenti evidenziano che la controparte aveva chiesto di dichiarare il sottotetto dell’immobile sito nel Comune di (OMISSIS), di proprietà comune e indivisibile, in regime di comunione tra i condomini in forza di un titolo contrattuale, ovvero, in subordine, per maturata usucapione ultraventennale in favore del Ba. per la quota di sua spettanza. Sul presupposto dell’accoglimento di tali domande aveva poi chiesto l’immediato ripristino dei luoghi e la demolizione delle opere e il risarcimento dei danni per le causali esposte o, in subordine un’indennità per l’occupazione dell’area del sottotetto sottoposta al regime di comunione.
Il Tribunale, infatti, aveva ritenuto assorbite le restanti domande sul presupposto che erano tutte connesse alla pretesa declaratoria di comproprietà del sottotetto. La controparte non aveva in alcun modo censurato tale pronuncia del giudice e si era limitata a contestare l’appartenenza condominiale del bene.
Secondo i ricorrenti, pertanto, l’accoglimento della domanda di accertamento della comunione del sottotetto costituirebbe un presupposto per la condanna all’eliminazione delle opere realizzate nonché al risarcimento dei danni per l’occupazione. Al rigetto delle prime dovrebbe corrispondere il rigetto delle seconde. Peraltro, il consulente non aveva riscontrato alcun danno alle parti condominiali ma solo il mancato consenso all’esecuzione delle opere e il danno alla staticità dell’immobile era stato escluso.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, per manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione nella determinazione del danno.
La censura, in parte ripetitiva del primo motivo, lamenta l’erronea determinazione del danno con il metodo indicato dal consulente tecnico che aveva come punto essenziale il pericolo per la statica dell’edificio, oltre al mancato consenso del condomino all’esecuzione di opere sulle parti condominiali.
In mancanza della prova del pregiudizio statico, dunque, la quantificazione del danno calcolata sull’abbattimento del valore del 50 per cento dell’appartamento dell’attore sarebbe del tutto sproporzionata, anche rispetto ad interventi certamente migliorativi delle condizioni generali dell’edificio.
4. Il primo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: violazione dell’art. 1117 c.c., n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ovvero l’indicazione dei confini dell’appartamento acquistato dai convenuti nell’atto a rogito notaio F.O., in data 10 aprile 1980. Omesso esame circa un ulteriore fatto decisivo per il giudizio, ovvero le caratteristiche di utilizzo della funzione concreta del sottotetto, come evidenziato nella relazione peritale del geometra M.M. consulente tecnico d’ufficio.
Secondo il ricorrente, il sottotetto dovrebbe ritenersi di natura condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c., sia sulla base dei titoli di proprietà che sulla base della sua funzione concreta. L’indicazione dei confini contenuta nel titolo di proprietà dei convenuti sarebbe del tutto erronea, in quanto l’atto di acquisto riguardava esclusivamente l’appartamento e le sue dipendenze, tra le quali non sarebbe ricompreso in alcun modo il sottotetto, né come vano, né come ripostiglio. Peraltro, al momento dell’acquisto da parte dei convenuti, il sottotetto sarebbe stato già in comunione con la proprietà Ba. e, dunque, la dante causa non avrebbe avuto alcun potere di alienarlo.
Quanto alla funzione svolta dal locale sottotetto, il ricorrente incidentale evidenzia che esso era sempre stato utilizzato dai condomini per porre in essere le opere di manutenzione del manto di copertura, delle antenne televisive ivi collocate e della canna fumaria. Dunque, il sottotetto non costituiva una pertinenza dell’appartamento dei convenuti vista anche la possibilità di accedervi da entrambi gli appartamenti. Lo stesso CTU, infatti, aveva espressamente accertato la natura condominiale del vano.
5. Il secondo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: in relazione art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 1158 c.c., in relazione art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ovvero il possesso ultraventennale, pacifico, ininterrotto, esercitato da Ba. e dal suo dante causa.
Il ricorrente ritiene erronea la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha escluso l’acquisto per usucapione del sottotetto nonostante il pacifico ed ultraventennale possesso esercitato sullo stesso. Anche le testimonianze assunte nel giudizio dimostravano tale possesso, sicché la motivazione sarebbe contraddittoria.
6. Il terzo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: in relazione art. 360 c.p.c., n. 4: nullità della sentenza per omessa pronuncia circa la domanda di corresponsione dell’indennità di occupazione. In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ovvero l’indebita occupazione del sottotetto da parte del ricorrente dal dicembre 2009. Il collegio avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna alla corresponsione dell’indennità da indebita occupazione del sottotetto.
7. Il quarto motivo del ricorso incidentale è così rubricato: in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ovvero la sussistenza di danni alla statica dell’edificio.
La censura attiene alla statuizione della Corte d’Appello secondo cui non sarebbe provata l’esistenza di un pregiudizio alla statica del caseggiato. Il CTU, invece, avrebbe accertato la difformità dal permesso di costruire di due cordoli di cemento armato non realizzati e delle rampe delle scale non realizzate in cemento armato, sicché anche secondo la consulenza sarebbe sussistente il concreto pericolo di un grave pregiudizio alla statica del caseggiato.
8. Il quinto motivo del ricorso incidentale è così rubricato: in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero le caratteristiche e le dimensione dell’appartamento di proprietà dell’appellante, la zona di pregio nella quale è ubicato l’edificio e i valori di mercato degli immobili con caratteristiche simili.
La censura attiene alla quantificazione del danno fondata su parametri erronei per essersi, la Corte d’Appello, discostata dalla consulenza tecnica d’ufficio.
9. Il collegio ritiene debbano essere esaminati in via prioritaria i primi tre motivi del ricorso incidentale, in quanto le censure attengono alla statuizione sulla proprietà del sottotetto e sono logicamente preliminari alle censure proposte tanto nel ricorso ricorrente principale quanto nei restanti motivi del ricorso incidentale, che attengono alla quantificazione del risarcimento del danno conseguente ai lavori eseguiti dai coniugi D.- B..
10. I primi tre motivi del ricorso incidentale, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono in parte inammissibili in parte infondati.
Preliminarmente deve escludersi che nella specie vi siano litisconsorti necessari pretermessi. Infatti, deve osservarsi che i proprietari dell’edificio risultanti dagli atti sono solo le parti costituite e che, in ogni caso, qualora un condomino agisca per l’accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un’apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione – con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato – la comproprietà degli altri soggetti (Sez. U, Sentenza n. 25454 del 2013).
La Corte d’Appello ha affermato la proprietà esclusiva del sottotetto in capo ai convenuti D.- B., trattandosi di un bene di pertinenza del loro appartamento. Infatti, il sottotetto in oggetto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, prima dei lavori non era suscettibile di uso autonomo da parte di Ba. e, dunque, non poteva presumersi la sua condominialità ex art. 1117 c.c..
In primo grado, il Tribunale aveva fatto riferimento al titolo di acquisto dei coniugi D.- B., valorizzando l’indicazione dei confini ivi contenuta, dalla quale doveva desumersi che la venditrice, originaria proprietaria dell’intero caseggiato, aveva individuato nel tetto uno dei confini dell’appartamento alienato ai convenuti e aveva inteso ricomprendere il sottotetto nell’oggetto della vendita.
La Corte d’Appello, invece, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio ha accertato che il sottotetto era rappresentato da una mera intercapedine tra il tetto del caseggiato e l’appartamento dei convenuti. Il sottotetto, dunque, non era suscettibile di utilizzazione separata senza che assumesse rilievo il fatto che l’attore poteva accedervi per effettuare le riparazioni della copertura del tetto o per la manutenzione dell’antenna o per raggiungere, fino a un certo periodo di tempo, la caldaia condominiale che ivi era collocata.
Secondo la Corte d’Appello non era rilevante neanche il fatto che il sottotetto fosse raggiungibile da una scala interna posta sul pianerottolo condominiale accessibile anche dall’attore. Per accedere al sottotetto, infatti, era necessario passare da un ripostiglio posto in cima alla scala che apparteneva ai convenuti, i quali lo avevano sempre utilizzato come deposito di beni immobili di proprietà esclusiva. Pertanto, l’attore per accedere al sottotetto e per effettuare la manutenzione dei beni comuni doveva passare attraverso il ripostiglio dei convenuti e ciò configurava l’esercizio di una servitù, piuttosto che un diritto di natura dominicale di cui non vi erano i presupposti.
La sentenza impugnata è conforme al principio più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale la natura del sottotetto di un edificio e’, in primo luogo, determinata dai titoli e, in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune solo se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune; il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Sez. 2, n. 17249 del 12/08/2011, Rv. 619027).
Ciò premesso, risultano infondate sia la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dall’indicazione dei confini dell’appartamento acquistato dai convenuti nell’atto a rogito notaio F.O. in data 10 aprile 1980, sia quella ulteriore di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalle caratteristiche del sottotetto.
Entrambi i suddetti fatti controversi sono stati ampiamente richiamati nella motivazione della Corte d’Appello e non vi è stata alcun omesso esame degli stessi. La motivazione spesa dalla Corte d’Appello è esaustiva e non rivela alcuna obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento, con piena corrispondenza con le risultanze istruttorie. Peraltro, quanto all’esame dei titoli, il giudice del gravame, ha ritenuto insufficiente il riferimento ai confini indicati nel titolo di acquisto dei coniugi D.- B. e per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto ha fatto esclusivo riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali. Di conseguenza le censure aventi ad oggetto l’erronea interpretazione del titolo di acquisto dei coniugi D.- B. sono inammissibili perché non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Quanto alla natura pertinenziale o condominiale del sottotetto, la censura, con tutta evidenza, si risolve in un’inammissibile richiesta di rivalutazione in fatto degli elementi istruttori, compresa la consulenza tecnica svolta nel giudizio di appello sulla quale si è fondata la decisione di rigetto del motivo di appello di Ba.. La sentenza, infatti, ha recepito le conclusioni e i passi salienti della relazione di consulenza tecnica e il ricorrente non ha indicato le ragioni dell’erroneità delle conclusioni dell’elaborato peritale, limitandosi ad una mera prospettazione di una diversa lettura degli elementi istruttori, risolvendosi in tal modo la censura nella richiesta di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità.
Anche la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dal possesso ultraventennale, pacifico e ininterrotto, esercitato da Ba. unito a quello della sua dante causa, è infondata. Il ricorrente, infatti, deduce un possesso pro quota di un bene condominiale che egli afferma aver posseduto sin dal momento dell’acquisto dell’appartamento. Tale possesso pro quota deve ritenersi pacificamente escluso una volta accertata la non fruibilità autonoma del sottotetto. Peraltro, la stessa prospettazione del ricorrente di utilizzo del sottotetto per le opere di manutenzione del manto di copertura, delle antenne televisive e della canna fumaria è nel senso di escludere un possesso utile ad usucapire la proprietà, potendosi al più, come indicato dalla Corte d’Appello, ipotizzarsi il possesso di una servitù di passaggio per l’accesso al medesimo sottotetto. Da quanto detto consegue l’infondatezza anche della censura relativa alla nullità della sentenza per omessa pronuncia circa la domanda di corresponsione dell’indennità per l’indebita occupazione del sottotetto.
In conclusione, risulta immune dalle censure prospettate la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui si afferma, sulla base degli accertamenti effettuati, che prima dei lavori effettuati dai coniugi D.- B., il sottotetto in esame aveva la funzione di mera intercapedine, posto che non era suscettibile di autonomo utilizzo e il suo solo uso, per come accertato, era quello di fungere da accesso alla manutenzione del tetto e delle antenne.
11. Una volta dichiarati infondati i primi tre motivi del ricorso incidentale si deve passare all’esame dei tre motivi del ricorso principale, i quali possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione. Il primo e il terzo motivo sono fondati mentre il secondo è infondato.
Anche in questo caso si deve esaminare preliminarmente il secondo motivo del ricorso principale che attiene al vizio di ultra petizione rispetto alla domanda di risarcimento danni, questione che viene logicamente prima di quella relativa alla mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno.
12. Il secondo motivo è infondato, in quanto dagli atti risulta che la originaria domanda del Ba. aveva ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno oltre che per l’appropriazione del sottotetto, anche per l’apertura di nuove finestre che costituivano vedute sul fondo dell’attore, oltre all’appropriazione di una porzione di proprietà condominiale. Pertanto, rispetto all’apertura delle vedute e all’appropriazione di una piccola porzione di pianerottolo, che dalla sentenza risultano accertate, non vi è stato alcun vizio di ultra petizione nel riconoscimento di un danno risarcibile.
13. Ciò posto devono ritenersi fondate, invece, le censure relative alla mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione dei danni derivati al Ba. dai lavori effettuati dai coniugi D.- B. sul sottotetto di loro proprietà, in quanto la sentenza impugnata è del tutto sfornita di motivazione su tale aspetto.
Il collegio in proposito intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito tenuto conto degli elementi istruttori agli atti” (Sez. L, Ord. n. 3819 del 2020).
Peraltro, anche qualora si volesse ritenere che la Corte d’Appello abbia fatto ricorso ad un criterio equitativo (vi è un cenno a pag. 5 della sentenza) comunque l’onere di motivazione non risulta assolto. Infatti, nel caso di ricorso ad un criterio equitativo, il giudice del merito deve comunque indicare gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum, esplicitando i criteri di valutazione equitativa che, se pure rimessi alla sua prudente valutazione discrezionale, devono consentire una quantificazione del danno che sia adeguata e proporzionata, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato. In tale prospettiva, si e’, infatti, sottolineato come la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato in motivazione, a rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.
In ogni caso, quindi, è necessario che il giudicante indichi i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, (cfr. Cass. 31.1.2018 n. 2327 e in motivazione 2018 n. 22272).
Orbene, nello specifico, la Corte d’Appello non si è attenuta agli enunciati principi laddove ha ritenuto che la trasformazione edilizia del sottotetto eseguita dai coniugi D.- B. avesse determinato una rilevante diminuzione (50 per cento) del valore commerciale dell’appartamento del Ba.. Nella sentenza gravata, peraltro, si è dato atto che non risultavano danni alla statica dell’edificio, sicché restavano solo da quantificare i danni accertati in relazione alla modifica dei prospetti e delle vedute dell’edificio e all’appropriazione di una parte di un pianerottolo.
La quantificazione dei suddetti danni è stata effettuata dalla Corte d’Appello senza esplicitare il criterio seguito, se non mediante un generico richiamo alla relazione peritale. La motivazione del Giudice del gravame, infatti, si esaurisce in un mero richiamo alla valutazione del consulente tecnico d’ufficio senza neanche riportarne il contenuto. Ne consegue che il criterio di calcolo dei danni pari al 50 per cento del valore commerciale dell’appartamento del Ba., risulta del tutto sfornito di motivazione, tanto più che i danni causati dai lavori di ampliamento del sottotetto sono prevalentemente di natura estetica: la modifica della copertura e dei prospetti, la modifica del vano scale, l’appropriazione di una porzione di ballatoio condominiale, l’apertura di nuove vedute sulla proprietà dell’attore a distanza inferiore a quella legale dal confine, e l’installazione di due nuovi scarichi di acqua piovana con effetto antiestetico sulle facciate del caseggiato.
In conclusione, la motivazione della Corte d’Appello sul punto è del tutto apparente, in quanto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, tramutandosi in violazione di legge, quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale.
15. Il quarto motivo del ricorso incidentale è inammissibile in quanto implica una rivalutazione delle risultanze della CTU.
La Corte d’Appello ha escluso il pregiudizio alla statica del caseggiato e la censura proposta si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto. Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
16. Il quinto motivo del ricorso incidentale è assorbito dall’accoglimento del primo e terzo motivo del ricorso principale, in quanto anch’esso ha ad oggetto il criterio di quantificazione del danno.
17. In conclusione, la Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo motivo del ricorso principale e i primi tre motivi del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il quarto motivo del ricorso incidentale e assorbito il quinto, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo motivo del ricorso principale e i primi tre motivi del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il quarto motivo del ricorso incidentale e assorbito il quinto motivo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 4 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021