Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37818 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. II, 01/12/2021, (ud. 03/06/2021, dep. 01/12/2021), n.37818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13946 – 2016 R.G. proposto da:

P.G.A., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato

in Roma, al viale Bruno Buozzi, n. 99, presso lo studio

dell’avvocato Antonio D’Alessio e dell’avvocato professor Carmine

Punzi che disgiuntamente e congiuntamente lo rappresentano e

difendono in virtù di procura speciale per notar R. in data

13.4.2016;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE MONICA s.a.s. di Renaldin Giuseppe & C., – p.i.v.a.

(OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Germanico, n. 96, presso

lo studio dell’avvocato Attilio Taverniti che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Martino Marasciulo la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 836/2016 della Corte d’Appello di Milano;

udita la relazione nella camera di consiglio del 3 giugno 2021 del

consigliere Dott. Abete Luigi.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto in data 2.10.2010 la “Immobiliare Monica s.a.s. di Renaldin Giuseppe & C.”, proprietaria in (OMISSIS) di una porzione del complesso immobiliare denominato “(OMISSIS)”, citava a comparire dinanzi al Tribunale di Varese P.G.A., proprietario di una confinante porzione del medesimo complesso immobiliare.

Esponeva che nel muro divisorio a confine tra le due porzioni immobiliari esisteva da epoca immemorabile un’apertura lucifera, apertura che il convenuto nel maggio del 2009 aveva indebitamente chiuso merce’ la costruzione di un muro adiacente.

Chiedeva che il tribunale accertasse e dichiarasse, con riferimento all’apertura lucifera già esistente, la sussistenza di una servitù di luce ed aria a vantaggio della porzione immobiliare di sua proprietà ed a carico della porzione immobiliare di proprietà del convenuto; chiedeva che il tribunale condannasse il convenuto al ripristino dello status quo ante ed al risarcimento dei danni.

2. Si costituiva P.G.A..

Deduceva l’insussistenza del diritto di servitù ex adverso preteso.

Deduceva che attraverso l’apertura aveva per anni subito moleste immissioni sonore, immissioni che attraverso l’erezione del muro aveva inteso scongiurare.

Instava per il rigetto dell’avversa domanda e, in riconvenzionale, per la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni.

3. All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 133/2014 il Tribunale di Varese rigettava le domande tutte hinc et inde esperite.

Evidenziava il tribunale che l’apertura oggetto di contesa, siccome priva dei requisiti di cui all’art. 901 c.c., aveva carattere di luce irregolare, sicché all’acquisizione della servitù pretesa dall’attrice poteva farsi luogo unicamente per contratto, non già per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.

Evidenziava inoltre che non vi era prova dei danni lamentati dal convenuto.

4. Proponeva appello la “Immobiliare Monica” s.a.s..

Resisteva P.G.A..

5. Con sentenza n. 836/2016 la Corte d’Appello di Milano accoglieva in parte il gravame ed in parziale riforma della gravata sentenza, in ogni altra parte confermata, dichiarava che la porzione del complesso immobiliare denominato “(OMISSIS)” di (OMISSIS) di proprietà della “Immobiliare Monica s.a.s. di Renaldin Giuseppe & C.” fruiva, attraverso l’apertura lucifera oggetto di contesa, per destinazione del padre di famiglia, di una servitù di aria e luce a carico della porzione dello stesso complesso immobiliare di proprietà di P.G.A.; condannava l’appellato a rimuovere a sua cura e spese il muro eretto a chiusura dell’apertura ed a ripristinare lo status quo ante.

Evidenziava la corte che l’apertura per cui era contesa, doveva annoverarsi tra quelle aperte all’interno di un edificio condominiale o, comunque, “all’interno di un complesso immobiliare integrante una prospettiva condominiale”.

Evidenziava di conseguenza che la qualificazione di luce irregolare – suscettibile in ogni tempo di chiusura e quindi insuscettibile di acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia – cui il tribunale aveva atteso, non era aderente allo stato dei luoghi, trattandosi, appunto, di apertura non già su fondo aperto altrui bensì su spazi interni a vocazione condominiale.

Evidenziava quindi che la conformazione dell’apertura e, segnatamente, la grata che vi era collocata, rappresentavano opere che in maniera visibile e permanente davano ragione, allorché “(OMISSIS)” aveva cessato d’esser di proprietà esclusiva, della costituzione e dell’esercizio della servitù di aria e luce per destinazione del padre di famiglia.

Evidenziava, per altro verso, che l’appellato non aveva esperito impugnazione avverso il primo dictum, nella parte in cui il tribunale aveva negato la sussistenza dei presupposti della tutela risarcitoria domandata in relazione alle asserite intollerabili immissioni acustiche.

Evidenziava quindi che, in dipendenza della preclusione da giudicato “interno” conseguentemente determinatasi, la disciplina in tema di immissioni sonore intollerabili non poteva dall’appellato essere invocata, onde dar ragione del carattere non “emulativo” del muro costruito a chiusura dell’apertura lucifera.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso P.G.A.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La “Immobiliare Monica s.a.s. di Renaldin Giuseppe & C.” ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

7. Il ricorrente ha depositato memoria.

8. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 901 e ss. c.c. e dell’art. 115 c.p.c..

Deduce che l’affermazione di cui al dictum di prime cure del Tribunale di Varese, secondo cui l’apertura per cui è controversia, in difetto dei requisiti di cui all’art. 901 c.c., ha natura di luce irregolare, non è stata oggetto di contestazione e di impugnazione da parte dell'”Immobiliare Monica”, sicché sul punto vi è giudicato.

Deduce di conseguenza che del tutto illegittimamente la corte di merito ha ritenuto di non far luogo all’applicazione della disciplina in tema di luci irregolari ovvero della disciplina che osta all’acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia della servitù di aria e luce relativamente alle medesime aperture.

9. Il primo motivo di ricorso va respinto.

10. Si premette che il mezzo in disamina non e’, a rigore, debitamente specifico ed “autosufficiente”.

In particolare, ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto vaglio dei suoi assunti, riprodurre più o meno testualmente i passaggi dell’avverso atto di appello, onde dar ragione della mancata contestazione, dell’omessa censura dei passaggi motivazionali del primo dictum, alla cui stregua il Tribunale di Varese aveva qualificato in guisa di luce irregolare l’apertura lucifera per cui è controversia (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880, secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso; Cass. 20.7.2012, n. 12664; Cass. (ord.) 22.1.2018, n. 1479).

Del resto, questa Corte spiega, in tema di ricorso per cassazione, che, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (cfr. Cass. 9.8.2016, n. 16655).

11. In ogni caso, contrariamente all’assunto del ricorrente, la “Immobiliare Monica” aveva, in parte qua, espressamente censurato il primo dictum, così come si evince dai passaggi dell’atto di appello pedissequamente riprodotti alle pagine 5 e 6 del controricorso.

Nell’atto di gravame, invero, la controricorrente aveva, dapprima, posto in risalto che il tribunale aveva motivato “il rigetto della domanda sostenendo che la luce irregolare “può essere acquisita soltanto per convenzione tra i proprietari confinanti e non può acquisirsi né per usucapione né per destinazione del padre di famiglia””.

Indi, aveva soggiunto che “l’assunto del primo Giudice (…) non può essere condiviso in quanto contrastante con il principio più volte enunciato dalla Suprema Corte secondo il quale le aperture lucifere site all’interno di un edificio condominiale, come nel caso di specie, a differenza di quelle che si aprono sul fondo altrui sono sottratte alla disciplina degli artt. da 901 a 904 c.c. e possono essere acquisite per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (…)”.

12. In pari tempo, non può non rimarcarsi che era per certi versi fuor di contestazione la natura “irregolare” – non avendosi riscontro dell’osservanza delle prescrizioni di cui all’art. 901 c.c., – dell’apertura per cui è contesa.

Piuttosto, la la materia del contendere concerneva il “se l’apertura di cui si discute possa annoverarsi fra le luci aperte all’interno di un edificio condominiale” (così sentenza d’appello, pag. 7), quaestio cui la Corte di Milano (nel solco dell’insegnamento di questa Corte: cfr. Cass. 14.5.1990, n. 4117; Cass. 22.6.2006, n. 14442) ha dato risposta affermativa sulla scorta di un accertamento “di fatto” esente da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte (la corte di merito ha precisato, infine, che “non si versa comunque in una situazione che consentirebbe la costruzione in aderenza del vicino, com’e’, tipicamente, il caso delle luci irregolari sul fondo aperto altrui”: così sentenza d’appello, pag. 9).

13. Per altro verso, per nulla si giustifica il rilievo veicolato – da ultimo – dal mezzo di impugnazione in disamina, secondo cui non sarebbe stato assolto l’onere probatorio gravante sull’attore – nella specie sulla “Immobiliare Monica” in “confessoria servitutis”.

Con accertamento “di fatto” del pari esente da qualsivoglia “anomalia motivazionale”, la Corte di Milano ha dato conto della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia alla stregua delle “opere visibili e permanenti destinante all’esercizio di una servitù di ricevere aria e luce dal cortile ora di proprietà del sig. P.” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Con riscontro ineccepibile, siccome fuor di contestazione la costruzione del “muro in mattoni che attualmente impedisce il passaggio di aria e luce attraverso l’apertura (de qua)” (così sentenza d’appello, pag. 10; cfr. ricorso, pagg. 16 e 21), si è dato poi conto degli impedimenti e delle turbative – rilevanti ex art. 1079 c.c. – atte ad ostacolare l’esercizio della servitù.

14. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di limiti oggettivi del giudicato.

Premette che la servitù attribuisce al proprietario del fondo dominante unicamente le facoltà necessarie al suo esercizio, sicché il proprietario del fondo servente, a fronte di comportamenti emulativi del proprietario del fondo dominante, è legittimato ad impedirne il compimento.

Premette, con riferimento alle servitù acquistate per destinazione del padre di famiglia, che, ai fini della determinazione dell’estensione delle facoltà spettanti al proprietario del fondo dominante, occorre aver riguardo alle modalità con cui l’unico proprietario ha goduto in precedenza delle due porzioni di fondo e che, ai fini del riscontro dell’aggravamento della servitù, “occorre necessariamente verificare se l’innovazione attuata sul fondo assoggettante abbia in qualche misura alterato l’originario equilibrio di relazione con il fondo assoggettato” (così ricorso, pag. 18).

Indi deduce che nel caso di specie si è verificato un radicale mutamento dello stato dei luoghi a causa ed a seguito della trasformazione di un immobile destinato ad abitazione in un bar-discoteca aperto al pubblico.

Deduce dunque che ha errato la corte territoriale a reputare preclusa da giudicato “interno” – dipendente dall’omessa impugnazione del primo dictum, nella parte in cui era stata respinta la domanda riconvenzionale di risarcimento danni – la disamina della questione della costruzione – non “emulativa” – del muro a chiusura dell’apertura lucifera allo scopo di impedire la propagazione delle intollerabili immissioni acustiche.

15. Il secondo motivo di ricorso analogamente va respinto.

16. Va debitamente rimarcato che l’impugnata statuizione non contiene alcun riferimento ai prospettati profili dell’estensione della servitù e delle relative modalità di esercizio da parte del proprietario del fondo dominante, al prospettato profilo dell'”aggravamento della servitù in seguito alla trasformazione operata all’interno del fondo dominante” (così ricorso, pag. 18; al riguardo cfr. anche memoria, pag. 10), asseritamente idonei a dar “titolo” e “causa” e a giustificare “la erezione del muro a chiusura dell’apertura (de qua)” (così ricorso, pag. 21).

17. In questi termini inevitabile è il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto (e’ il caso dei dedotti surriferiti profili) – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (cfr. Cass. (ord.) 13.12.2019, n. 32804; Cass. 9.8.2018, n. 20694).

Ovviamente il ricorrente ha poi, a rigore, l’onere di denunciare, in aderenza alle indicazioni di cui alla statuizione n. 17931 del 24.7.2013 delle sezioni unite di questa Corte, una omissione di pronuncia.

18. Ebbene, per effetto del mancato assolvimento degli oneri suindicati le surriferite quaestiones, i surriferiti profili devono in questa sede considerarsi “nuovi”.

Cosicché esplica valenza l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. 25.10.2017, n. 25319; Cass. 13.9.2007, n. 19164).

19. Va dunque condiviso il rilievo di novità de questioni de quibus formulato dalla “Immobiliare Monica” (cfr. controricorso, pag. 16).

Del resto, allorché il ricorrente prospetta che la domanda risarcitoria preclusa dal giudicato “interno” ha diverso “petitum”, ha diversa “causa petendi” (cfr. ricorso, pagg. 20 – 21), implicitamente ammette che i profili dell’estensione della servitù, delle relative modalità di esercizio e dell’asserito suo aggravamento – profili cui, a fronte del diritto di servitù di parte avversa, non può che correlare la domanda volta a conseguire il riscontro del carattere non “emulativo” dell’erezione del muro – costituiscono questioni “nuove”.

20. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

21. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, P.G.A., a rimborsare alla controricorrente, “Immobiliare Monica” s.a.s. di R.G. & C.”, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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