Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 378 del 10/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 378 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 20379-2010 proposto da:
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI C.F. 80213330584, in
persona del Direttore pro tempore, domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA
q

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente –

2013

contro

2759

BIANCO PIA LUISA, MIORI SIRA MRISRI49T49G214K;
– intimate –

Nonché da:

Data pubblicazione: 10/01/2014

MIORI SIRA MRISRI49T49G214K, domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 58, presso lo studio degli avvocati COSSU
BRUNO e BOMBOI SAVINA,che la rappresentano e difendono
giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI C.F. 80213330584, in
persona del Direttore pro tempore, domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– con troricorrente al ricorso incidentale nonchè contro

BIANCO PIA LUISA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 4078/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 30/11/2009 r.g.n. 3424/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato DE SOCIO GIANNA;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso Avvocatura, rigetto del ricorso
Miori.

contro

FATTO
Miori Sira — funzionario nei ruoli dell’Area promozione culturale del Ministero
degli Affari Esteri (M.A.E.) inquadrata nell’Area funzionale C, posizione
economica C3 (già IX livello), nominata Direttore dell’Istituto Italiano di
Cultura di Bruxelles (1.I.C.) dall’8 gennaio 2001 — con D.M. del 15 maggio
2003 venne richiamata presso l’Amministrazione Centrale a seguito di
soppressione del posto suddetto e contestuale istituzione, nella stessa sede,
di un posto ai sensi dell’art. 14 co.6° della L. n. 401/1990 ( già effettuata con

D.M. 5736 del 20.6.2002) a ricoprire il quale fu nominata Bianco Pia Luisa
nella qualità di persona “di prestigio culturale ed elevata competenza anche
in relazione alla organizzazione della promozione culturale”.
La Miori, ritenendo illegittimo tale comportamento, convenne in giudizio
innanzi al Tribunale di Roma il detto Ministero e la Bianco chiedendo
l’accertamento del suo diritto a riprendere servizio a Bruxelles quale Direttore
dell’I.I.C. almeno fino al compimento dei quattro anni previsti dall’Accordo
sindacale o, comunque, dei tre previsti dalla legge, rifiutando l’adempimento
della sua prestazione in una sede e con mansioni diverse, ed al trattamento
economico a lei dovuto come Direttore del suddetto istituto nonché al
risarcimento dei danni subiti ( morale, alla salute, professionale). Chiedeva,
altresì, dichiararsi la illegittimità della sanzione disciplinare inflittale in data
22.4.2004, consistente in una multa di euro 60,64 e della relativa pubblicità
sul Foglio di Comunicazioni M.A.E. del giugno 2004, con condanna del
Ministero alla restituzione di detta somma ed al risarcimento danno da lei
subito per non aver potuto presentare per due anni domanda di affidamento
di un incarico presso altro istituto di cultura italiano all’estero.
L’adito giudice rigettava la domanda.
Tale decisione veniva riformata, in parte, dalla Corte di appello di Roma, con
sentenza del 30 novembre 2009, che, accogliendo parzialmente il gravame
interposto dalla Miori, dichiarava l’illegittimità del provvedimento con il quale
la appellante era stata richiamata presso l’Amministrazione Centrale ed il suo
conseguente diritto a riprendere servizio a Bruxelles quale Direttore
dell’Istituto Italiano di Cultura fino al compimento dei tre anni di permanenza,
condannando il Ministero degli Affari Esteri al pagamento in suo favore della
somma di euro 100.000,00 a titolo di risarcimento del danno alla immagine
ed alla dignità professionale, oltre accessori dalla pronuncia al saldo nonché
alla restituzione di euro 60,64, oltre rivalutazione monetaria ed interessi
legali dalla data della relativa trattenuta.
1

La Corte, per quello che ancora interessa, rilevava: che era da escludere la
nullità del provvedimento di rimozione della Miori dall’incarico di Direttore
dell’I.I.C. di Bruxelles per motivi di discriminazione politica; che il disposto
dell’art. 13, comma 3 0 , della L. n. 401/1990, secondo cui il personale in
servizio presso gli istituti non può essere trasferito prima del decorso di tre
anni, non doveva necessariamente cedere nella ipotesi, prevista dall’art. 14,
comma 6°, della stessa legge, di “esigenze di particolari sedi” che

inducevano a conferire la funzione di direttore non ad un funzionario del
Ministero ma a soggetti esterni che fossero” … persone di prestigio culturale
ed elevata competenza anche in relazione alla organizzazione e della
promozione culturale”; che, quindi, la norma di cui all’art. 14 citato non
consentiva di rimuovere prima dei tre anni il dipendente già nominato
direttore di una di quelle sedi, potendo trovare applicazione solo nel caso di
sedi scoperte e non in una ipotesi quale quella della sede di Bruxelles che
aveva già un suo direttore (la Miori); che neppure si giustificava la istituzione,
attuata con D.M. del 30.12.2002 a decorrere dal 1° gennaio 2003, di un
nuovo posto di Direttore dell’I.I.C. di Bruxelles ai sensi dell’art. 14, comma 6°,
L. n. 410/1990 ed il richiamo della Miori presso l’Amministrazione Centrale
disposto con D.M. del 15 maggio 2003 perché operato prima del periodo
minimo di permanenza nella sede di tre anni.
La Corte osservava, altresì: che il periodo minimo di permanenza nella
sede non era stato portato a quattro anni dall’accordo sindacale del 22
maggio 2002 il quale aveva solamente previsto che l’Amministrazione
doveva provvedere d’ufficio a porre in avvicendamento il dipendente al
quarto anno di permanenza continuativa nella sede all’estero per poi
disporne il movimento nel quinto anno solare; che , con riferimento ai danni
lamentati, poteva essere riconosciuto solo il danno non patrimoniale
derivante dalla lesione del diritto allo svolgimento dell’attività professionale,
all’immagine ed alla dignità professionale, ma non anche quello alla salute
rimasto non provato.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Ministero degli Affari
Esteri affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso la Miori che propone ricorso incidentale fondato su
tre motivi cui resiste con controricorso il Ministero.
La Bianco è rimasta intimata.
La Miori ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
DIRITTO
2

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti
avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Sempre in limine va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso
principale per essere stato proposto dal Ministero degli Affari Esteri “in
persona del Direttore pro-tempore”, figura indeterminata che non consente in
alcun modo di individuare quale sia in effetti il soggetto in persona del quale
il Ministero ha agito. E, comunque, anche a voler ritenere che si sia inteso far

riferimento ad un Dirigente di un Ufficio Dirigenziale Generale di cui all’art.
16 del d.Lgs. n. 165/2001, lo stesso sarebbe privo della capacità di
rappresentare in giudizio l’Amministrazione alla luce di quanto affermato da
Cass. Sez. un. n. 7862/2008.
L’assunto è infondato. Questa Corte ha, in varie occasioni, avuto modo di
precisare che, relativamente allo Stato, la ripartizione in diversi rami
amministrativi rileva dal punto di vista della legittimazione passiva, come
onere per i terzi di esatta individuazione, ma non sotto il profilo della
legittimazione attiva, sempreché l’Amministrazione sia costituita – come nella
specie – a mezzo dell’Avvocatura dello Stato (Cfr. Cass. n. 1345 del
04/02/1995; Cass. n.2905 del 9 giugno 1978; cfr. anche Cass. n. 14315 del
06/06/2013, in motivazione). Il fatto che questa, nella specie costituitasi,
esprima una funzione di patrocinio potenzialmente riferibile a ciascuna delle
articolazioni amministrative non può non rendere superata la improprietà
della indicazione del soggetto che agisce ( Cass. n. 2080 del 23 febbraio
1995). Peraltro, nel caso in esame, nella intestazione del controricorso a
ricorso incidentale, l’improprietà contenuta nel ricorso principale risulta
essere stata emendata in quanto è dato leggere “Il Ministero degli Affari
Esteri in persona del Ministro pro-tempore” e, comunque, nei precedenti
gradi di giudizio il Ministero era stato in giudizio in persona del Ministro protempore sicchè non può ragionevolmente sussistere incertezza
sull’amministrazione costituita nel presente giudizio.
Passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo viene
denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 14 della L.n.
401/1990.
Si assume che dette norme andavano interpretate nel senso che l’art. 13 cit.
precludesse la possibilità per l’interessato di chiedere il trasferimento a
domanda prima del decorso di tre anni dall’assegnazione, ma non limitasse il
potere dell’amministrazione di porre termine anticipatamente all’incarico in
presenza di particolari esigenze di servizio, mentre l’art. 14 comma 6° cit. ( in

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forza del quale è conferito al Ministero degli Affari Esteri il potere di nominare
persone esterne all’Amministrazione stessa in presenza di “esigenze di
particolari sedi, anche in relazione alla organizzazione della promozione
culturale,..”) era da intendersi quale norma speciale con conseguente
idoneità a derogare alle disposizioni generali di cui all’ari. 13 co. 3 0 ;
diversamente opinando, infatti, la disposizione di cui all’art. 14 co. 6° sarebbe
stata spogliata di ogni effettiva rilevanza atteso che l’attribuzione al Ministro

della predetta prerogativa di nomina sarebbe stata svuotata di contenuto se
esercitabile solo in relazione a posti vacanti.
Il motivo è infondato.
Vale riportare il testo delle norme in questione.
L’art. 13 al comma 3 0 stabilisce “Il personale in servizio presso gli Istituti non
può rimanere all’estero più di otto anni consecutivi, né essere trasferito prima
che siano trascorsi tre anni. I direttori non possono permanere nella stessa
sede più di sei anni consecutivi.”. Il comma 6°dell’art. 14 recita:” La funzione
di direttore può essere altresì conferita, in relazione alle esigenze di
particolari sedi, a persone di prestigio culturale ed elevata competenza
anche in relazione alla organizzazione della promozione culturale, con le
procedure di cui all’art. 168 del decreto del Presidente della Repubblica 5
gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni, sentito il parere della
Commissione di cui all’ari. 4 della presente legge. Le nomine, di durata
biennale, rinnovabili per una pari durata una sola volta, potranno essere
effettuate entro il limite massimo di dieci unità con le modalità di destinazione
e con il trattamento economico stabilito dall’art. 168 del citato decreto del
Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, e successive modificazioni”.
Osserva il Collegio che effettivamente la lettera dell’ari. 13 non parla affatto
di trasferimenti a domanda ma disciplina proprio il trasferimento unilaterale
da parte del Ministero e, soprattutto, non limita il diritto a non essere
trasferito prima dei tre anni al solo caso di avvicendamento con il personale
interno, come vorrebbe il Ministero ricorrente.
Neppure la ratio della norma conforta la interpretazione data dal Ministero in
quanto la previsione di un periodo minimo di permanenza ( nel caso in
esame tre anni) costituisce garanzia necessaria per consentire
l’espletamento del compito di direttore degli istituti in questione in relazione
ad una programmazione della loro attività in un determinato arco di tempo
onde evitare una situazione di permanente precarietà contraria allo scopo
perseguito dalla norma.
4

Né dalla lettura dell’art. 14 comma 6° che conferisce al Ministro il potere di
nominare quale Direttore degli 1.I.C. anche persona estranea
all’amministrazione può dedursi che tale prerogativa possa essere esercitata
estromettendo dal posto chi ne è già titolare. In effetti la norma finisce con il
disciplinare i presupposti oggettivi ( esigenze di particolari sedi) ed i requisiti
soggettivi per la nomina nonché il limite numerico e di durata delle nomine

ma non contiene alcuna deroga espressa al disposto di cui all’art. 13 comma
30
Le esigenze di particolari sedi, dunque, rilevano solo come situazione che
legittima il Ministro alla nomina di persone estranee all’amministrazione non
anche alla sostituzione con queste ultime di direttori per i quali non sia
ancora trascorso il periodo minimo di permanenza nella sede stabilito dalla
legge.
Con il secondo motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso per il giudizio.
Si sostiene che la Corte di merito – laddove aveva affermato, con
motivazione del tutto insufficiente, che ” il posto di direttore dell’I.I.C. di
Bruxelles era sempre lo stesso ..” – non avrebbe tenuto conto del fatto che
con D.M. 5736/2002 si era provveduto, sin dal 1°.1.2003, ad istituire presso
l’Istituto Italiano di Cultura in Bruxelles un posto di direttore ai sensi dell’art.
14 comma 6 ( “di chiara fama”) della L.n. 401/1990 ed era stato soppresso
l’originario ricoperto dalla Miori. Inoltre, in modo contraddittorio , dopo aver
affermato che il “posto era lo stesso” aveva argomentato che non si
giustificava la istituzione, disposta con il D.M. 5736/2002, di un (diverso)
posto di direttore ai sensi del citato art. 14, co.6°.
Osserva il Collegio che la Corte di appello correttamente ha rilevato che
l’art. 14 co. 6° consente al Ministro di nominare direttori degli istituti italiani di
cultura all’estero persone di “chiara fama” ma non di sopprimere i posti
esistenti di direttore per sostituirli con altri ciò in quanto la funzione sia dei
direttori provenienti dall’amministrazione che di quelli nominati ex ari. 14 co.
6° sono le medesime; il tal senso va intesa l’espressione ” il posto è lo
stesso” utilizzata in sentenza. La lettera dell’art. 14 cc. 6° è chiara e non
prevede la istituzione di “nuovi posti” di Direttori di 1.I.C. ai quali nominare
persone individuate ai sensi della stessa norma, ma consente al Ministro tali
nomine solo in posti che risultino essere vacanti.
Va, inoltre, rilevato che il motivo è privo del requisito dell’autosufficienza
nella parte in cui, nell’argomentare sul vizio di motivazione, si afferma che il

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richiamo della Miori presso l’Amministrazione Centrale non si giustificava, in
quanto non avrebbe tenuto conto che la qualifica posseduta dalla predetta
non era più idonea per ricoprire il posto istituito ex art. 14 co. 6° L. n.
401/1990. Ed infatti non viene indicato quando tale rilievo era stato mosso
nei precedenti gradi di giudizio, visto che non è stato in alcun modo oggetto
di trattazione nella impugnata sentenza ( Cass. n. 23675 del 18/10/2013;
Cass. n. 1435 del 22/01/2013, Cass. n. 324 del 11/01/2007, ex multis).

Peraltro, una volta ritenuto che la soppressione del posto occupato dalla
Miori e la istituzione in sua sostituzione di un posto di Direttore ex art. 14
co.6° cit., il richiamo della Miori presso l’amministrazione di provenienza
effettivamente rimaneva privo di giustificazione.
Con il terzo motivo viene denunciata insufficiente e contraddittoria
motivazione in ordine ad un fatto controverso per il giudizio per aver la Corte
attribuito una capacità lesiva del diritto allo svolgimento dell’attività
professionale e del diritto alla immagine ed alla dignità personale a fatti
incongruenti rispetto alla ritenuta lesione, fatti individuati nelle pubblicizzate e
brusche modalità della improvvisa rimozione della Miori preceduta da accuse
generiche e prive di riscontro. Si assume, infatti, che i toni utilizzati nella
missiva con la quale era stata comunicata la misura organizzativa assunta
riguardo alla sede di Bruxelles erano stati tutt’altro che bruschi, così come la
notizia del richiamo di un funzionario presso la sede centrale non poteva
comportare alcun effetto lesivo integrando un fatto normale e fisiologico.
Il motivo è inammissibile in quanto censura la valutazione della lesività della
condotta tenuta dalla amministrazione operata dalla Corte di appello
proponendone una diversa e, quindi, sollecitando una nuova valutazione del
merito della controversia non consentita in questa sede.
Peraltro, quando il giudice del gravame fa riferimento al brusco richiamo
presso la sede centrale evidentemente non si riferisce ai toni utilizzati nella
missiva con la quale si comunicava alla Miori il trasferimento ma al fatto che
Io stesso era avvenuto in modo improvviso ed in anticipo sul termine minimo
triennale di durata dell’incarico e, proprio per tale motivo, non fisiologico e,
per di più, preceduto da accuse generiche e prive di riscontro. Nella
sentenza impugnata si evidenzia, inoltre, come la notizia di detta rimozione
anticipata aveva avuto anche diffusione internazionale, proprio per la
particolare rilevanza dell’incarico ricoperto, con conseguente lesione del
diritto all’immagine ed alla dignità personale della Miori.
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Quanto alla risarcibilità della lesione dei menzionati diritti il giudice di appello
ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di
questa Corte in tema di danno non patrimoniale che sussiste quando
ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge o sia stato leso in
modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione ed è risarcibile
sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un
inadempimento contrattuale ( Cass. SU n. 26972 del 11/11/2008 e

successive conformi).
In definitiva, la motivazione è immune dalle lamentate incongruenze ed è
sorretta da argomentazioni coerenti dal punto di vista logico-formale.
Con il quarto motivo viene dedotta motivazione insufficiente laddove la Corte
di merito ha proceduto ad una liquidazione equitativa del danno non
patrimoniale sulla scorta di un giudizio del tutto apodittico omettendo del tutto
di indicare il percorso logico seguito e le circostanze prese in esame.
Il motivo è inammissibile in quanto non considera che nella impugnata
sentenza vi è una puntuale elencazione dei fatti che hanno determinato il
prodursi del danno non patrimoniale e sulla cui scorta si è proceduto alla
valutazione equitativa dello stesso e, dunque, è conforme al principio
richiamato dal ricorrente stesso secondo cui il giudice deve dar conto delle
circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione
equitativa e del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della
liquidazione ( Cass. n. 12408 del 07/06/2011; Cass n. 11039 del 12/05/2006;
Cass. n. 20320 del 20/10/2005).
Né nel motivo vengono indicati elementi che se valutati dal giudice di merito
avrebbero potuto condurre il giudizio ad un esito diverso.
Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo viene denunciata
violazione dell’art. 2729 c.c. con riferimento alla domanda di nullità del
provvedimento di rimozione della Miori dall’incarico di Direttore dell’I.I.C. di
Bruxelles e di nomina in sua sostituzione di Pia Luisa Bianco per ragioni di
discriminazione politica. Si assume che la Corte di merito, a fronte di una
serie di elementi indiziari indicati e sintomatici della ricorrenza di un intento
discriminatorio, non avrebbe indicato quale fatto oggettivo fosse
incompatibile con detti indizi e, dunque, idoneo a precludere il ricorso alla
prova presuntiva.
Il motivo è inammissibile.
Osserva il Collegio che nonostante il formale richiamo alla violazione di
norme di legge, contenuto nell’intestazione del motivo, la censura si risolve
7

nella denuncia di vizio di motivazione della sentenza impugnata per errata
valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei
fatti.
Vale qui ricordare che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare
ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del
relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con
apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al

sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di
motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non
può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal
giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e
contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la
sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio
di omesso esame di un punto decisivo.(Cass. n. 8023 del 02/04/2009; Cass.
n. 10847 del 11/05/2007; Cass. . 15737 del 21/10/2003).
Peraltro, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360,
comma primo, n. 5), cod. proc. civ., non equivale alla revisione del
“ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del
merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che
una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si
risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione
assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.
Orbene, nel caso in esame la Corte di appello ha precisato come gli
elementi indiziari che, nell’assunto della Miori, avrebbero dovuto provare che
la discriminazione politica era stato il motivo unico ed esclusivo della sua
rimozione non erano a ciò sufficienti evidenziando gli stessi solo la sua
appartenenza ad una parte politica diversa da quella al governo in quel
determinato momento.
Con il secondo motivo viene dedotta omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio riguardante il diritto della Miori, ai sensi
degli artt. 2 e 8 dell’Accordo Sindacale del 22.5.2002, a non essere trasferita
prima del decorso del termine minimo di quattro anni; in alternativa,
violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. con riferimento ai citati articoli
dell’accordo sindacale.
La Corte avrebbe errato nell’interpretare il disposto dell’art. 8, comma 6°, e
dell’art. 2, comma 4 0 , richiamato nell’art. 8, nel senso che il periodo di
quattro anni costituiva il lasso di tempo dopo il quale l’amministrazione
8

doveva provvedere d’ufficio a porre il posto in avvicendamento e non il
periodo minimo di permanenza nella sede assicurato al dipendente. Si
evidenzia, infatti, che l’art. 8 disciplinava i trasferimenti d’ufficio mentre l’art.
2 quelli a domanda.
Il motivo è infondato.
La lettura della norma fornita dalla Corte di appello parte dal rilievo che il
periodo minimo di permanenza fissato dalla legge n. 401/1990 è quello di tre

anni e, quindi, la disposizione di cui all’ad. 8, comma 6°, stabilisce le
modalità con cui l’amministrazione deve necessariamente provvedere alla
sostituzione del personale che stia per compiere il periodo massimo di
permanenza in una sede (cinque anni). Ciò, però, non esclude che si possa
procedere d’ufficio a trasferimenti prima del quarto anno per il personale che
abbia compiuto il periodo minimo di permanenza nella sede (tre anni)
stabilito dalla legge.
Correttamente la Corte di appello ha ritenuto che è al limite minimo di tre
anni che occorre far riferimento per individuare il termine decorso il quale il
Ministro possa esercitare il potere a lui riconosciuto dall’ad. 14 comma 6°
della L. 401/1990 e procedere alla copertura dei posti disponibili con persona
di “prestigio culturale ed elevata competenza anche in relazione alla
organizzazione della promozione culturale”.
Con il terzo motivo si deduce insufficiente motivazione circa fatti decisivi per
il giudizio e relativi alla domanda di risarcimento del danno alla salute per
non avere la Corte di appello tenuto conto delle molteplici circostanze – in
particolare, del contenuto della relazione medico legale della dott.ssa Mulpas
— dalla quali emergeva la ricorrenza del nesso di causalità tra le vicissitudini
professionali della ricorrente e gli infortuni a lei occorsi e le malattie nella
stessa riscontrate.
La censura è infondata in base alla premessa, costantemente affermata
da questa Corte, che il controllo di legittimità sulla motivazione delle
sentenze riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il
ricorso) il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in
base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito,
delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle
prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse
quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo
complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano

9

logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda (v. tra le varie, S.U.
5802/1998; Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007).
Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni
del giudice di merito, il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo, e
invocati dalla ricorrente, siano in contrasto con le valutazioni del giudice o
con la sua ricostruzione complessiva e finale. Il controllo, in sede di
legittimità, sul giudizio di fatto del giudice di merito non può infatti spingersi

fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa
rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, in una sorta di
terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti,
perché ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa muovere
esclusivamente nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (ex multis, Cass.
6064/2008, Cass. 9477/2009).
Occorre, pertanto, che gli specifici dati della controversia, dedotti per
invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per
cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento
svolto dal giudicante o determini, al suo interno, radicali incompatibilità sì da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione (v., tra le varie, Cass. 24744/2006, Cass. 17076/2007).
Alla luce di tali principi, nel caso in esame la motivazione della impugnata
sentenza, sintetica ma esaustiva, è immune dal vizio denunciato.
La Corte di appello ha, infatti, considerato generici i certificati medici
prodotti e non contenenti elementi oggettivi tali da ricondurre le malattie ivi
accertate al comportamento del Ministero degli Affari Esteri, e non ha
ritenuto, sul punto, probante la relazione medico legale prodotta e non
potendo essere considerate a tal fine sufficienti le semplici dichiarazioni
dell’interessata.
In siffatto carente quadro probatorio ha, quindi, correttamente valutato non
ammissibile una consulenza tecnica d’ufficio che avrebbe avuto un contenuto
esplorativo.
Alla luce di quanto esposto tanto il ricorso principale che quello incidentale
vanno rigettati.
Le spese del presente giudizio, stante la reciproca soccombenza, vanno
interamente compensate tra il Ministero e della Miori; non si prowede in
ordine alle spese del presente giudizio nei confronti della Bianco rimasta
intimata.
10

P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese tra il
Ministero degli Affari Esteri e Miori Sira; nulla per le spese nei confronti di
Bianco Pia Luisa.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2013
Il Presidente

Il Consigliere est.

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