Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37794 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/12/2021, (ud. 18/05/2021, dep. 01/12/2021), n.37794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14807-2020 proposto da:

M.C., L.F., L.G., tutte n.q.

di eredi di Li.Fr., elettivamente domiciliate in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’Avvocato MARINO MAURIZIO PUNTURIERI;

– ricorrenti –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso

lo studio dell’Avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato SALVATORE ATTINA’;

– controricorrenti –

G.C., L.S., L.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 154/2020 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 13/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che M.C., L.F. e L.G. ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 154/20, del 13 febbraio 2020, della Corte di Appello di Reggio Calabria, che – accogliendo solo parzialmente il gravame dalle stesse esperito avverso la sentenza n. 65/08, del 6 ottobre 2008, del Tribunale di Reggio Calabria, Sezione distaccata di Melito di Porto Salvo – ha condannato G.C. e la società Assitalia-Le Assicurazioni d’Italia S.p.a. (poi divenuta società Generali Italia S.p.a.) a pagare, rispettivamente, a M.C. l’importo di Euro 127.830,92, nonché a L.F. e L.G. quello di Euro 100.334,49 cadauno, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al decesso del loro congiunto Li.Fr.;

– che, in punto di fatto, le odierne ricorrenti riferiscono di aver agito in giudizio (al pari di L.S. e L.P.) per conseguire il ristoro di tutti i danni – patrimoniali e non – derivanti dalla morte del loro marito (nel caso di M.C.) e padre (quanto, invece, a L.F. e L.G.), vittima di un sinistro stradale occorsogli il (OMISSIS), la cui responsabilità esse ascrivevano integralmente alla condotta della G., la cui vettura risultava assicurata per la “RCA” con la società Assitalia;

– che l’adito giudicante, tuttavia, ravvisava le condizioni per l’applicazione della presunzione di eguale responsabilità ex art. 2054 c.c., comma 2, negando, in sede di liquidazione del danno, l’applicazione delle cd. “tabelle” del Tribunale di Roma (o di Milano), sebbene più favorevoli al soggetto danneggiato ed escludendo, inoltre, la risarcibilità del danno patrimoniale invocato dalla M. “quale conseguenza della minor somma resa disponibile al coniuge in sede di reversibilità, pur attesane l’inequivoca evidenza”, disponendo, infine, la compensazione delle spese del grado;

– che esperito gravame dalle odierne ricorrenti, il giudice di appello lo accoglieva solo parzialmente, rideterminando – nella misura già sopra indicata – l’entità del risarcimento dovuto per il danno non patrimoniale, facendo applicazione delle “tabelle” del Tribunale milanese, disattendendo invece i motivi sull’an debeatur e sul danno patrimoniale spettante alla M., compensando, infine, parzialmente le spese del grado di appello, nulla disponendo “in ordine alla censurata compensazione delle spese liquidate nella pur censurata sentenza di primo grado”;

– che avverso la sentenza della Corte reggina la M. e le L. ricorrono per cassazione, sulla base – come detto – di quattro motivi,

– che il primo motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), “con riferimento alla corretta applicazione degli artt. 444 e 445 c.p.p., ed all’onere probatorio in sede civile”;

– che le ricorrenti – nel richiamare il principio enunciato da questa Corte, secondo cui la sentenza di patteggiamento costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito, esonerando, in particolare, controparte dall’onere della prova – assumono che la G. avrebbe dovuto assolvere l’onere, su di essa gravante, “in ordine alla propria asserita esclusione di responsabilità”, con la conseguenza, dunque, di dover “assumersi la sua piena responsabilità nell’accadimento del sinistro”;

– che il secondo motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), “con riferimento alla corretta applicazione del disposto di cui all’art. 2054 c.c.”;

– che in questo caso si censura la “palese erroneità ed illogicità motivazionale” quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro stradale, in particolare per avere la sentenza impugnata riconosciuto la concorrente responsabilità del Li. nella causazione dell’incidente di cui fu vittima, essendosi i giudici di appello “inerpicati sui sentieri della congettura”, discostandosi “dal dato fattuale”, per giunta di carattere “oggettivo” (giacché risultante dalla CTU in atti), “fondato su rilievi tecnici e descrizione della scena del sinistro con ricostruzioni cinematiche”;

– che il terzo motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), “con riferimento all’onere probatorio in tema di danno patrimoniale in capo alla M.”;

– che al fine di “dedurre l’infondatezza sul punto” della sentenza impugnata, le ricorrenti richiamano quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (e’ citata Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2018, n. 12564) in merito alla non operatività della cd. “compensatio lucri cum damno”, circa i rapporti tra risarcimento del danno patrimoniale e fruizione della pensione di reversibilità, nel senso che la presenza di quest’ultima – sottolineano le ricorrenti – “non esclude l’automatica valutazione del già richiesto danno non patrimoniale (senza onere di quantificazione dello stesso in capo al richiedente)”;

– che dei principi enunciati da questa Corte non vi sarebbe “traccia nella sentenza gravata, che liquida il rigetto della richiesta sotto il profilo dell’assenza di richiesta e di assolvimento dell’onere probatorio”;

– che, infine, il quarto motivo è proposto nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), “con riferimento alla omessa valutazione in ordine alla censurata compensazione delle spese del primo grado di giudizio”;

– che si censura la sentenza impugnata per avere omesso di decidere in merito al motivo di gravame che investiva la disposta compensazione delle spese del giudizio innanzi al Tribunale, giacché, “in caso di accoglimento dei motivi di appello, con il conseguente annullamento della prima sentenza”, risulterebbe necessario “decidere anche sulla liquidazione delle spese del primo grado”;

– che ha resisto all’avversaria impugnazione, con controricorso, Generali Italia, chiedendo dichiararsi la stessa inammissibile o comunque non fondata;

– che è rimasta invece intimata la G., così come soltanto intimati risultano anche L.S. e L.P.;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio per il 18 maggio 2021.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va accolto, in relazione al solo quarto motivo;

– che il primo motivo – con il quale si denuncia la non corretta applicazione degli artt. 444 e 445 c.p.p., assumendo che, in difetto di prova, da parte della G., della propria assenza di responsabilità, la sua esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro avrebbe dovuto ritenersi per ciò solo dalla stessa ammessa, in forza dell’intervenuta sentenza di applicazione della pena su richiesta – non è fondato;

– che va dato, infatti, seguito al principio secondo cui “la sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, non ha efficacia di vincolo né di giudicato e neppure inverte l’onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l’inefficacia agli effetti civili (art. 444 c.p.p.)” (così Cass. Sez. 3, sent. 30 luglio 2018, n. 20170, Rv. 650182-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, ord. 11 marzo 2020, n. 7014, Rv. 657161-01);

– che il secondo motivo – che censura la “palese erroneità ed illogicità motivazionale” quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro stradale – è inammissibile, giacché “in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 5 giugno 2018, n. 14358, Rv. 649340-01);

– che, peraltro, il sindacato su tale ragionamento deve compiersi alla luce dell’avvenuta riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sul vizio motivazionale (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01), quale conseguenza della “novellazione” del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio);

– che il vizio di motivazione, dunque, costituisce evenienza ormai ipotizzabile quando essa rechi “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), o risulti affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01), ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata);

– che, nella specie, il dedotto vizio motivazionale, lungi dall’evidenziare profili di “irriducibile contraddittorietà” o “illogicità manifesta” che emergano “direttamente dal testo della sentenza”, si risolve proprio nella denuncia di un contrasto con le risultanze istruttorie (e, segnatamente, con quelle della CTU disposta in corso di causa), e quindi, in sostanza, in un’inammissibile richiesta di riesame, da parte di questa Corte, del merito del giudizio;

– che il terzo motivo – con il quale si denuncia il vizio di violazione di legge, “sub specie” di contrasto tra la sentenza impugnata e quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte in merito alla non operatività della cd. “compensatio lucri cum damno”, in relazioni ai rapporti tra risarcimento del danno patrimoniale e fruizione della pensione di reversibilità – è inammissibile;

– che il motivo non e’, infatti, specifico, se è vero che “l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c, comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura”, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” (ciò che nella specie non è avvenuto), ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01);

– che, nella specie, i passaggi della sentenza impugnata che avrebbero disatteso i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che le ricorrenti hanno inteso richiamare a sostegno del presente motivo, non solo non sono riprodotti, ma neppure vengono sommariamente individuati;

– che l’illustrazione del presente motivo, oltretutto, fa riferimento -quale “ratio decidendi” assunta, sul punto, dalla pronuncia resa dalla Corte territoriale – alla ritenuta “assenza di richiesta” del danno patrimoniale (oltre che “di assolvimento dell’onere probatorio”), e dunque ad un profilo rispetto al quale il richiamo all’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte sulla “compensatio lucri cum damno” neppure risulta conferente;

– che il quarto motivo di ricorso – sulla mancata decisione in ordine alla disposta compensazione spese del primo grado di giudizio, quantunque la sentenza del primo giudice fosse stata parzialmente riformata – è fondato, visto che la “caducazione della pronuncia di primo grado sulle spese (…) interviene per legge, in virtù del cd. effetto espansivo interno previsto dall’art. 336” c.p.c., e quindi “senza necessità di alcuna riforma espressa sul punto, e a prescindere dall’esistenza o meno di tale riforma”, sicché “il silenzio serbato dal giudice di appello in ordine alle spese processuali non può lasciar “sopravvivere” la decisione del giudice di primo grado sulle spese”, integrando “un’omessa pronuncia, come tale denunciabile in sede di impugnazione della sentenza di appello” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 18 luglio 2005, n. 15112, Rv. 582879-01);

– che, in conclusione, il presente ricorso va accolto solo in relazione al quarto motivo, sicché la sentenza impugnata va cassata in relazione, con decisione nel merito da parte di questa Corte, ai sensi della seconda alinea dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;

– che, pertanto, questa Corte, pronunciandosi nel merito, ritiene che l’accoglimento – ancorché solo parziale – della domanda risarcitoria proposta dalla M. e dalle L. comporti il riconoscimento, in favore delle stesse, delle spese di ambo i gradi del giudizio di merito, da porsi a carico di G.C. e di Generali Italia S.p.a. e da liquidarsi con riferimento alle somme riconosciute alle già attrici all’esito del giudizio di appello, e ciò in applicazione del principio secondo cui, mentre in caso di rigetto della domanda la liquidazione delle spese di lite avviene sulla base del criterio del “disputatum”, all’opposto, “quando la domanda sia accolta il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese deve essere pari alla somma attribuita dal giudice” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 12 giugno 2019, n. 15857, Rv. 654312-01);

– che, dunque vanno liquidati per il giudizio di primo grado Euro 7.386,50 per compensi (somma così determinata: Euro 2.430,00 per fase di studio della controversia; Euro 1.550,00 per fase introduttiva del giudizio; Euro 5.400,00 per fase istruttoria e/o di trattazione; Euro 4.050,00 per fase decisionale; aumento del 10% per pluralità parti pari Euro 1.363,50; dimidiazione del 50% D.M. 55 del 2014, ex art. 4, comma 1), oltre Euro 340,00 per esborsi, più 15% per spese generali c accessori di legge;

– che per il giudizio di appello vanno invece liquidati Euro 7.494,25 per compensi (somma così determinata: Euro 2.835,00 per fase di studio della controversia; Euro 1.820,00 per fase introduttiva del giudizio; Euro 4.120,00 per fase istruttoria e/o di trattazione; Euro 4.860,00 per fase decisionale; aumento del 10% per pluralità parti pari Euro 1.343,00; dimidiazione del 50% D.M. 55 del 2014, ex art. 4, comma 1), oltre Euro 340,00 per esborsi, più 15% per spese generali e accessori di legge;

– che le spese del presente giudizio vanno, invece, compensate tra le parti dello stesso nella misura di un quarto, in ragione dell’accoglimento di un solo motivo di ricorso, dovendo liquidarsi come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e il terzo mentre accoglie, invece, il quarto, cassando in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna G.C. e Generali Italia S.p.a. a rifondere a M.C., L.F. e L.G. le spese del primo e del secondo grado di giudizio, che liquida, quanto al primo grado, in Euro 7.386,50 per compensi, oltre Euro 340,00 per esborsi, più 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché, per il secondo grado di giudizio, in Euro 7.494,25 per compensi, oltre Euro 340,00 per esborsi, più 15% per spese generali ed accessori di legge.

Compensa, invece, per un quarto le spese del presente giudizio di legittimità, condannando, pertanto, la società Generali Italia S.p.a. a rifondere le stesse a M.C., L.F. e L.G., liquidandole in Euro 2.000,00, più Euro, 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali oltre accessori di legge.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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