Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3779 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. I, 14/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 14/02/2020), n.3779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Luca – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35083/2018 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in Roma piazza Cavour presso

la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv.to Lorenzo Trucco con studio in Torino via

Guicciardini n. 3, giusta procura speciale in calce al ricorso,

ammesso in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello

Stato;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 295/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/11/2019 da Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. D.M., cittadino del (OMISSIS), ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Perugia che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza del Tribunale con la quale la Commissione territoriale di Firenze, sezione Perugia, aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale richiesta, declinata in via gradata nelle fattispecie di “stato di rifugiato”, “protezione sussidiaria” e “protezione umanitaria”.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente ha narrato di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè durante una festa etnica si era recato a sorvegliare le mucche ed era contemporaneamente scoppiato un incendio, evento del quale era stato accusato. Conseguentemente, era stato spronato a lasciare il villaggio per paura di essere arrestato: ha dedotto, al riguardo, che non poteva far rientro nel paese per il timore di essere ucciso da chi lo accusava.

2. Il Ministero dell’Interno intimato non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con unico articolato motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 ed art. 10 Cost.

1.1 Lamenta, con esclusivo riferimento alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che egli, a prescindere dalla storia narrata, doveva ritenersi un soggetto vulnerabile, anche per le condizioni fisiche in cui versava, in quanto era affetto da infezione tubercolare.

1.2. Il motivo è inammissibile non contenendo, rispetto alla sentenza impugnata, censure specifiche e limitandosi a richiamare la necessità di valutare il livello di integrazione raggiunto nel paese di accoglienza ed a richiamare “le terribili esperienze subite”, unite alle deteriori condizioni di salute.

1.3. In tal modo, tuttavia, il ricorrente mostra di non aver colto la ratio decidendi su cui è fondato il percorso argomentativo della Corte che ha, invero, esaminato entrambe le questioni rilevate facendo corretta applicazione dei principi postulati, sulla specifica fattispecie, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis Cass. 4455/2018; Cass. SU 29460/2019).

1.4. La sentenza impugnata, infatti, affronta tutti gli aspetti della specifica vicenda che ha interessato il ricorrente ed ha escluso che ricorressero i presupposti per la protezione umanitaria sia in relazione al carattere strettamente privato dei fatti narrati – rispetto ai quali la condizione politica del (OMISSIS) non consentiva di far riscontrare un clima di insicurezza tale da mettere a rischio i diritti fondamentali della persona – sia in relazione alle sue condizioni fisiche.

1.5. Su queste ultime, infatti, la Corte territoriale si è specificamente soffermata ed ha escluso che fosse stata fornita prova sufficiente della sua condizione di vulnerabilità in quanto il richiedente, dopo essersi sottoposto ad una cura, perchè affetto da tubercolosi, non aveva dato più notizie del suo stato di salute (cfr. pag. 5 cpv 6 della sentenza impugnata).

1.6. A fronte di tale statuizione, nessuna specifica critica è stata prospettata: e vale solo la pena di rilevare che il rilievo relativo al mancato giudizio di comparazione è espressamente rivolto alla pronuncia del Tribunale e non alla sentenza impugnata (cfr. pag. 9 penultimo cpv del ricorso) che resta pertanto, rispetto alla speculare questione, non validamente censurata.

2. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

3. La mancata difesa dell’intimato esime la Corte dalla decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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