Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37783 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. II, 01/12/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 01/12/2021), n.37783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 19530/’17) proposto da:

D.F.A., (C.F.: (OMISSIS)) e N.M., (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale

apposta a margine del ricorso, dagli Avv.ti Aurelio Monti e Mario

Ferri ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in

Roma, v. G. Puccini, n. 10;

– ricorrenti –

contro

M.M., (C.F.: (OMISSIS)) e R.L., (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dagli Avv.ti Carlo Granelli e Luigi Parenti ed

elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, al

viale delle Milizie, n. 114;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 447/2017

(pubblicata il 3 febbraio 2017);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 settembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. CARRATO Aldo;

lette le memorie depositate dai difensori di entrambe le parti ai

sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., del giugno 2014 M.M. e R.L. chiedevano al Tribunale di Pavia che – previo accertamento di aver acquistato con rogito del 29 luglio 2009 la proprietà di una cantina sita nel Condominio di v. (OMISSIS) (confinante “a nord e a est R.G. o aventi causa; a sud N.; ad ovest corridoio Comune”) – i venditori F.A. e N.M. venissero condannati a rilasciare loro il citato immobile libero a persone e cose.

Si costituivano i resistenti, i quali, oltre ad instare per il rigetto del ricorso, formulavano domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna dei ricorrenti alla restituzione del ripostiglio trasferito di fatto con l’appartamento.

Con ordinanza del 21 gennaio 2015 il Tribunale adito rigettava la domanda attrice.

2. Decidendo sull’appello avanzato dai soccombenti attori e nella costituzione degli appellati (che formulavano anche appello incidentale in via subordinata ai fini dell’ottenimento della pronuncia già sollecitata in primo grado per l’eventualità della ritenuta fondatezza della domanda principale), la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 447/2017 (pubblicata il 3 febbraio 2017), accoglieva il gravame principale e, in riforma dell’impugnata ordinanza, accertava e dichiarava che oggetto dell’acquisto effettuato dagli appellanti con il predetto rogito era, oltre all’appartamento, la cantina evidenziata con i confini prima indicati, condannando, conseguentemente, gli appellati a consegnare immediatamente agli appellanti detta cantina, libera da persone cose.

Con la sentenza in discorso la Corte milanese respingeva l’appello incidentale subordinato e condannava gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte territoriale – disattesa, in via pregiudiziale, l’eccezione di asserita inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. – rilevava che, in base ai complessivi dati identificativi delle porzioni immobiliari (anche in virtù dell’espressa previsione dei confini e della loro composizione) oggetto della compravendita intercorsa tra le parti con la conclusione dell’anzidetto atto pubblico, era risultato che, anche tenendo conto degli elementi contenutistici dell’atto di provenienza del 1991 in favore dei coniugi N.- F., la cantina costituiva parte integrante dell’oggetto di quest’ultimo atto, restando irrilevante la circostanza che nel 2006 essi avevano proceduto allo scorporo della parte adibita a “ripostiglio”, annettendolo all’immobile venduto agli stessi appellati ed il resto della cantina ad altro immobile ubicato nel medesimo edificio.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, D.Favini A. e N.M., resistito con controricorso dagli intimati M.D. e R.L..

I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione dell’art. 342 c.p.c., sul presupposto che con detta pronuncia la Corte di appello aveva respinto l’eccezione – proposta dai coniugi N. – di inammissibilità del gravame per difetto di specificità.

2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità dell’impugnata sentenza e del procedimento, sostenendo che la Corte di appello era incorsa nel travisamento della prova circa l’identificazione dell’oggetto della controversa compravendita e, quindi, nella violazione dell’art. 115 c.p.c. con riguardo alla domanda introduttiva dei sigg. M.- R..

3. Con la terza ed ultima doglianza i ricorrenti hanno prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – un ulteriore vizio della nullità della sentenza di appello e del procedimento, denunciando il travisamento della prova e la violazione dell’art. 115 c.p.c., con riferimento alla valutazione dell’appello incidentale dagli stessi formulato.

4. Rileva il collegio che il primo motivo è inammissibile e, in ogni caso, privo di fondamento.

Infatti, con il ricorso, i ricorrenti si sono limitati a riportate il contenuto delle loro doglianze formulate in appello circa la supposta violazione dell’art. 342 c.p.c., ma non hanno trascritto o comunque idoneamente riportato gli avversi motivi di appello.

Pertanto, deve trovare in proposito applicazione il pacifico orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 86/2012 e Cass. n. 29495/2020) secondo cui il principio di necessaria specificità del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella indispensabilità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – si applica anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito, con la conseguenza che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., derivante dalla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte, precisandosi che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del menzionato principio di necessaria specificità di esso.

In ogni caso, sulla base del contenuto del controricorso (v. pagg. 5-6), emerge chiaramente che i motivi di appello erano stati sufficientemente dedotti, come peraltro rilevato nell’impugnata sentenza dalla Corte di appello (per quanto emergente dai passaggi argomentativi presenti nella pag. 6 della motivazione).

5. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente siccome all’evidenza connessi.

Essi sono infondati e vanno, perciò, rigettati.

Con essi, in effetti, i ricorrenti mettono in discussione l’apprezzamento di merito del giudice di secondo grado in ordine alla operata valutazione dei titoli necessari alla ricostruzione e alla determinazione dell’attribuzione della proprietà del controverso vano adibito a cantina.

A tal proposito la Corte di appello ha, sulla scorta dei titoli di provenienza (ovvero l’atto notarile del 23 dicembre 1991, nel quale si descriveva puntualmente la composizione dei vani dell’immobile oggetto di compravendita, ivi compresi la cantina ed un piccolo ripostiglio ricavato nel sottoscala di accesso, con la precisa delimitazione dei relativi confini di riferimento, e l’atto notarile del 29 luglio 2009, laddove si poneva formalmente riferimento solo alla cantina, con la precisazione complessiva degli inerenti confini), spiegato con adeguata e logica motivazione che, in realtà, il vano cantina indicato come oggetto del secondo trasferimento era coincidente con quello a suo tempo acquistato dai coniugi N. nel 1991, rimanendo irrilevante la circostanza – di mero fatto – che nel 2006 essi avevano proceduto allo scorporo della parte “ripostiglio”, annettendo quest’ultimo all’immobile venduto agli appellati ed il resto della cantina ad altro immobile sito nel medesimo edificio.

In tal modo la Corte di appello è pervenuta all’accoglimento del gravame sulla scorta della puntuale descrizione dei dati immobiliari risultanti dagli atti pubblici di acquisto, da considerare, perciò, prevalenti sui dati catastali (cfr., ad es., Cass. n. 9896/2010 e Cass. n. 3996/2017).

Bisogna, in particolar modo, rimarcare come la Corte di appello abbia idoneamente accertato che nell’atto di vendita le parti avevano attestato che oggetto della vendita era la “cantina” e non il “ripostiglio”, come sostenuto dai coniugi N., che i due locali (“ripostiglio” e “cantina”) risultanti dall’asserito scorporamento non potevano essere individuati concretamente, difettando, per entrambi, l’indicazione dei nuovi confini e per la cantina di risulta anche i dati catastali (essendo quelli in atti riferiti al “ripostiglio”). Per effetto proprio dell’indeterminatezza dei dati catastali la Corte territoriale ha ritenuto che non sussistevano le condizioni per l’accoglimento dell’appello incidentale condizionato con il quale gli appellati avevano richiesto la condanna alla restituzione del “ripostiglio”.

Oltretutto, – indipendentemente dalla esatta determinazione del vano ripostiglio – è determinante rilevare come fosse da ritenersi pacifico tra le parti che, in virtù del rogito per notar M. del 2009, i coniugi R. avevano acquistato un solo locale nel sotterraneo del Condominio di v. (OMISSIS), ragion per cui, nel momento in cui le controparti avessero provveduto alla consegna della cantina acquistata in forza di tale atto pubblico (come accertato dalla Corte di appello), i controricorrenti avrebbero proceduto al contestuale rilascio del “ripostiglio” ricavato precedentemente alla stipula del predetto atto notarile nella parte in cui non coincideva con il vano cantina (ovvero al rilascio del “piccolo ripostiglio ricavato nel sottoscala d’accesso del piano terreno al primo piano”).

6. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso va integralmente respinto con conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico degli stessi ricorrenti (sempre con vincolo solidale), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

 

 

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