Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37776 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/12/2021, (ud. 21/09/2021, dep. 01/12/2021), n.37776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26391/2020 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Califano Anna;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, elettivamente domiciliate in

Roma, Via Accademia dei Virtuosi n. 7, presso lo studio

dell’avvocato Maria Alessandra Iannicelli rappresentata e difesa

dall’avvocato Stefania Iannicelli;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 115/2020 della Corte d’appello di Salerno,

depositata il 29/1/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 115/2020 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 29/1/2020, con cui, in accoglimento del gravame della Banca Monte dei Paschi di Siena spa, in riforma della decisione di primo grado, è stata respinta la domanda del M. di ripetizione di indebito, previo accertamento della nullità delle pattuizioni concernenti l’applicazione di interessi ultralegali, della capitalizzazione trimestrale, delle commissioni di massimo scoperto, di tassi usurari, e risoluzione del contratto, in relazione a rapporto di conto corrente bancario acceso, nel novembre 1998, dall’attore presso filiale della Banca Monte dei Paschi di Siena spa.

La Corte territoriale ha respinto il primo motivo di gravame dell’Istituto di Credito, in ordine all’inammissibilità dell’azione ex art. 2033 c.c. promossa dal correntista a fronte di un conto corrente di corrispondenza non ancora chiuso, rilevando che, seppure effettivamente in relazione ad un conto corrente “affidato” per proporre domanda ex art. 2033 c.c. è necessario che il conto sia stato previamente chiuso, non avendo le annotazioni in conto corrente delle poste relative a commissioni ed interessi valenza di rimesse solutoria e di pagamenti suscettibili di possibile ripetizione, nella specie, non era stata fornita alcuna prova dal correntista, onerato, dell’esistenza di un contratto di apertura di credito, in epoca antecedente alla previsione della sua obbligatoria forma scritta, attraverso documenti o allegazioni (ad es. la stabilità dell’esposizione a debito, l’entità del saldo debitore, l’assenza di elementi sintomatici di un rientro del correntista, etc…), avendo anzi il consulente tecnico d’ufficio nominato in appello espressamente escluso ciò, “senza specifiche osservazioni di carattere tecnico da parte dell’appellato” di segno contrario. La Corte d’appello ha quindi accolto il secondo motivo di gravame, in ordine alla carenza probatoria della domanda attrice, deduzione formulata in appello da MPS e ritenuta mera difesa e non nuova eccezione di merito, rilevando che mancavano gli estratti conto relativi alla prima fase del rapporto di conto corrente dal 28/11/1998 all’1/1/2001 ed in parte quelli relativi all’anno 2008, dall’1/4/2008 al 31/12/2008 e quelli relativi all’ultimo periodo (tra il 30/9/2013 ed il 25/9/2014, neppure essendo stati dedotti “elementi utili al fine di desumere con certezza l’andamento del rapporto e l’eventuale saldo negativo o positivo per il correntista”, con conseguente rigetto delle domande attoree di accertamento e condanna al versamento dell’indebito. Il terzo motivo di gravame, concernente il rigetto dell’eccezione di prescrizione perché formulata dalla banca in modo generico, è stato ritenuto, di conseguenza, assorbito.

A seguito di un prima proposta di improcedibilità per mancato deposito del ricorso, nel termine di venti giorni dalla notifica, ex art. 369 c.p.c., comma 1, sulla base di attestazione della Cancelleria dell’ottobre 2020, essendo stato rinvenuto successivamente il ricorso, lo stesso veniva tolto dal Ruolo dell’adunanza camerale dell’8/4/21. E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 117 TUB, in relazione ad argomentazione espressa dalla Corte d’appello, seppure in riferimento al rigetto del primo motivo di gravame della banca, in ordine al “falso presupposto che il rapporto di conto corrente dedotto in giudizio non fosse assistito da affidamenti”, avendo così la Corte di merito ignorato le allegazioni del ricorrente correntista volte a provare l’apertura di credito di fatto concessa per tutta la durata del rapporto e la conseguente natura, non solutoria ma, ripristinatoria di ciascun versamento avvenuto sul conto corrente in oggetto; b) la nullità del procedimento per violazione dell’art. 345 c.p.c., con riferimento all’accoglimento del secondo motivo di appello ed alla natura di mera difesa e non di nuova eccezione della deduzione dell’Istituto di crediti appellante in ordine alla mancata produzione da parte del correntista attore in ripetizione dell’intera sequenza degli estratti conto, senza soluzione di continuità; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e artt. 3 e 24 Cost., sempre in relazione alla statuizione in ordine alla necessita per il correntista che agisca in giudizio in ripetizione di indebito di produrre l’intera sequenza degli estratti conto dall’apertura alla chiusura del rapporto bancario.

2. La prima censura è inammissibile, per carenza di interesse.

Invero, il ricorrente si duole dell’affermazione ad opera della Corte di merito in ordine alla non sussistenza di un’apertura di credito in relazione al conto corrente, non avvedendosi che la Corte d’appello ha utilizzato quell’argomento per respingere un motivo di gravame specifico sollevato dalla banca appellante, in ordine all’inammissibilità dell’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. proposta dalla correntista allorché il conto corrente era ancora aperto. Invero, la Corte d’appello, a pag. 7, conclude così: “a voler ritenere diversamente, e cioè che trattasi di conto affidato, l’azione doveva effettivamente ritenersi inammissibile poiché il conto corrente era ancora aperto alla data della notifica dell’atto di citazione del 26 settembre 2014”.

Ne consegue che con il motivo si censura, contraddittoriamente, un asserito “falso presupposto” che ha sorretto il complessivo ragionamento logico della Corte di merito ai fini dell’affermata ammissibilità dell’azione di ripetizione di indebito, proprio perché correlata a conto non affidato, le cui rimesse quindi dovevano reputarsi automaticamente solutorie, con valenza di pagamenti suscettibili di possibile ripetizione.

Non può essere caducata, dal complessivo ragionamento del giudice, un’unica frazione dell’argomentare logico solo perché asseritamente non condivisibile.

3. Il secondo motivo è infondato.

Le mere difese si collocano al di fuori del campo di applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2: ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, difatti, non sono ammissibili in appello nuove eccezioni, al di fuori di quelle rilevabili anche d’ufficio, mentre sono proponibili le mere difese, che si differenziano dalle prime poiché con esse le parti si limitano a contestare genericamente le reciproche pretese (Cass. 19 luglio 2005, n. 15211, che ha giudicato ammissibile in appello la contestazione circa il difetto di prova sull’esecuzione di opere non autorizzate da parte del conduttore nell’ambito di un rapporto di locazione, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto bensì di mera difesa, in quanto volta a contestare un presupposto di fondatezza della domanda; Cass. 12 settembre 2005, n. 18096). Più in particolare, sono ritenute “mere difese” quelle volte a contrastare le avverse deduzioni senza tradursi nell’allegazione di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo rispetto alle stesse (Cass. 23796/2018; Cass. 14515/2019).

La proposizione di una mera difesa, sebbene nuova, non è dunque preclusa in appello, giacché le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero “non rilevabili d’ufficio”, e non, indistintamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte.

Nel caso in esame, è di tutta evidenza che la MPS, lungi dal dedurre la sussistenza di un fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell’avversa pretesa creditoria, ne ha semplicemente dedotto l’infondatezza per mancanza di prova, attesa – secondo la sua prospettazione – l’inidoneità a fini probatori della documentazione, parziale, prodotta.

4. Il terzo motivo e’, in parte, infondato, in parte inammissibile.

Questa Corte, da ultimo, ha chiarito che “nei rapporti bancari di conto corrente, una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista”: a) “la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso la produzione in giudizio dei relativi estratti a partire dalla data della sua apertura; non trattandosi tuttavia di prova legale esclusiva, all’individuazione del saldo finale possono concorrere anche altre prove documentali, nonché gli argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta del medesimo correntista” (Cass. 9526/2019); b) in caso sia riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, riportando il primo dei disponibili un saldo iniziale a debito del cliente, “occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio”, cosicché “nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire

indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, idonei quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta”, mentre, “nel caso di domanda proposta dal correntista, l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi i quali consentano di affermare che il debito, nell’intervallo temporale non documentato, sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo dal primo saldo debitore documentato” (Cass. 11543/2019).

Successivamente, si è precisato (Cass. 23852/2020) che, nei rapporti bancari di conto corrente, sempre ove si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, “il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, la proposizione di contrapposte domande da parte della banca e del correntista implica che ciascuna delle parti sia onerata della prova della propria pretesa”, “in assenza di elementi di prova che consentano di accertare il saldo nel periodo non documentato, ed in mancanza di allegazioni delle parti che permettano di ritenere pacifica l’esistenza, in quell’arco di tempo, di un credito o di un debito di un certo importo, “deve procedersi alla determinazione del rapporto di dare e avere, con riguardo al periodo successivo, documentato dagli estratti conto, procedendosi all’azzeramento del saldo iniziale del primo di essi”.

Anche in ultimo precedente (Cass. 29190/2020) si è ribadito che il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca (e dunque da lui pagato) con il saldo finale del rapporto “non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di ripetizione soltanto mediante la produzione in giudizio di tutti gli estratti conto mensili, ben potendo la prova dei movimenti del conto desumersi anche “aliunde”, vale a dire attraverso le risultanze dei mezzi di cognizione assunti d’ufficio e idonei a integrare la prova offerta (nella specie mediante consulenza tecnica contabile disposta dal giudice sulle prove documentali prodotte)”.

Nella specie, dalla sentenza impugnata si evince che non solo mancavano tutti gli estratti conto relativi alla prima fase del rapporto di conto corrente, dal novembre 1998 al gennaio 2001 ed in parte quelli relativi all’anno 2008, per tre trimestri, nonché quelli relativi all’ultimo periodo (tra il 30 settembre 2013 ed il 25 settembre 2014), ma non erano stati dedotti e non emergevano “elementi utili al fine di desumere con certezza l’andamento del rapporto e l’eventuale saldo negativo o positivo per il correntista” (il quale aveva promosso azione di ripetizione di indebito, in difetto di domanda riconvenzionale contrapposta della banca convenuta). Quindi non si poneva solo un problema di carenza iniziale ed infra-annuale degli estratti conto ma anche di carenza probatoria correlata all’ultimo anno di vita del rapporto.

La pronuncia impugnata risulta quindi avere deciso in senso conforme ai principi di diritto sopra richiamati ribaditi da questa Corte, considerato che nella specie, a fronte di lacune probatorie nella produzione degli estratti conto che riguardavano non solo il periodo iniziale e quello intermedio ma anche quello finale, non erano stati offerti ulteriori elementi comunque utili a ricostruire il complessivo andamento del rapporto.

Ed il ricorso non attinge a tale complessivo giudizio espresso dalla Corte di merito.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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