Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37771 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/12/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 01/12/2021), n.37771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19816-2020 proposto da:

P.V., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dagli

avvocati PAOLA CAGOSSI, ANDREA GORI;

– ricorrente –

contro

ACEA COSTRUZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUCIA BOCCHI;

– controricorrente –

contro

ALLIANZ SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 783/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ELENA

BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 783 depositata il 23.10.2019 la Corte di appello di Bologna, confermando la pronuncia del Tribunale di Modena, respingeva la domanda proposta da P.V. di condanna del datore di lavoro Acea Costruzioni s.p.a. al pagamento del danno patrimoniale e non patrimoniale per la malattia professionale acquisita in considerazione dello svolgimento, nelle mansioni di operaio comune, di compiti usuranti senza l’ausilio di mezzi meccanici.

2. La Corte distrettuale, ritenuto provato un comportamento omissivo del datore di lavoro circa gli obblighi di protezione del lavoratore operato di ernia discale il (OMISSIS), ha confermato la correttezza della insussistenza, o comunque, della minima entità della diminuzione della capacità di lavoro specifica (tale da non incidere sulla capacità di guadagno); ha aggiunto, con riguardo al danno non patrimoniale, che il ricorso introduttivo del giudizio non conteneva alcuna allegazione (e prova) circa la personalizzazione del danno e che il raffronto tra la determinazione con i criteri civilistici del danno non patrimoniale con il valore capitale della rendita assegnata dall’Inail per la quota corrispondente al danno biologico non evidenziava alcun danno differenziale da porre a carico del datore di lavoro.

3. Avverso la detta sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e la società resiste con controricorso.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per aver trasfuso, la decisione impugnata, le insanabili contraddizioni nelle quali era incorso il consulente tecnico d’ufficio. Presupposto di tutte le statuizioni delle sentenze di merito è la contestata insanabile contraddittorietà intrinseca della consulenza tecnica d’ufficio che dapprima afferma che le patologie riscontrate sono insorte nell’ambito del rapporto di lavoro e poi in sede di quantificazione del danno smentisce immotivatamente la premessa affermando, anche in sede di chiarimenti, che l’attività lavorativa presso Acea avrebbe determinato soltanto modesto peggioramento delle condizioni di salute del lavoratore sicché la condotta illecita della convenuta sarebbe intervenuta su un terreno già compromesso.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 191 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la sentenza di appello, permesso l’efficacia di prova legale attribuita alle certificazioni mediche in atti e tutte elencate dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio e ad essa legate che danno conto della natura, dell’insorgenza e dell’ingravescente progressiva delle patologie invalidanti tutte riconducendole al solo periodo in cui il lavoratore svolgeva la propria attività lavorativa alle dipendenze di Acea e con le modalità da essa volute.

3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2087 c.c., del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, degli artt. 1218,2087 e 2697 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dovendosi operare un computo per poste omogenee, sicché, dall’ammontare complessivo del danno biologico va detratto, non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’Inail, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, il danno biologico stesso. La comparazione svolta dalla Corte territoriale, per effetto delle erronee e contraddittorie conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha omesso di valorizzare le voci di danno lamentate ossia il danno morale e il danno biologico personalizzabile con riferimento alla documentata insorgenza di patologie ansioso depressiva colpevolmente ignorata sia dal consulente tecnico d’ufficio che dal giudice di merito.

4. I primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili in quanto, con particolare riguardo alla decisività dei vizi di motivazione prospettati, le censure non risultano conformi alla critica richiesta da consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità, pur nell’innegabilità del principio di massima salvaguardia del diritto alla salute.

4.1. In particolare, con riguardo ai lamentati errori e alle lacune della consulenza tecnica d’ufficio, sono suscettibili di esame in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza, quando siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche o affermazioni scientificamente errate e non già quando si prospettino semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e la valutazione della parte (Cass. nn. 1405 del 2021, 24628 del 2019, 4124 del 2017, 3307 del 2012, 22707 del 2010, 569 del 2011).

4.2. Costituisce orientamento costante della Cassazione quello secondo il quale nel giudizio in materia d’invalidità, il vizio – denunciabile in sede di legittimità – della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (Cfr. per tutte Cass. nn. 23990 del 2014, 1652 del 2012).

4.3. Nel quadro del suddetto enunciato si e’, altresì, precisato che le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni perché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; e tale profilo non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. ex plurimis, Cass. nn. 14374/2008, 7341/2004 e 15796/2004).

5. Il terzo motivo è inammissibile perché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione…” (Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini Cass. 25.9.2009 n. 20652).

5.1. E’ pur vero che questa Corte di legittimità ha recentemente affermato (cfr. Cass. n. 9112 del 2019) che, in tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione Inail, D.Lgs. n. 38 del 2000, ex art. 13, ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente.

5.1. Nel caso di specie difetta, peraltro, la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha effettuato una comparazione tra la complessiva rendita erogata dall’Inail (comprensiva del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale) e il danno biologico determinato con i parametri civilistici, bensì ha “raffrontato il danno non patrimoniale, liquidato in base alle tabelle di Milano (Euro 11.281,80), con il valore capitale della rendita assegnata dall’Inail per la quota corrispondente al danno biologico (Euro 52.398,31) a cui andrebbero, peraltro, giunti ratei erogati nelle more a tale titolo – e dunque secondo poste omogenee (già l’indennizzo corrisposto per il danno biologico in prima battuta, quando il grado di invalidità era stato cioè stimato nella misura del 12% ammontava a Euro 12.978,18)”. Inoltre, la Corte territoriale ha sottolineato che nessun elemento era stato allegato dal lavoratore ai fini della personalizzazione del danno, precisando che tale passaggio motivazionale della sentenza del giudice di primo grado non era stato specificamente censurato dal lavoratore-appellante.

5.2. Le censure, pertanto, non colgono la ratio decidendi perché il ricorrente insiste sulla errata comparazione del danno non patrimoniale (liquidato dall’Inail e determinato in base ai principi civilistici) e sulla omessa considerazione del danno morale e del danno biologico personalizzabile ma nulla deduce sulla specifica puntualizzazione in punto di “poste omogenee” effettuata dalla Corte territoriale e sulla dedotta carenza di allegazioni in ordine alla personalizzazione del danno non patrimoniale.

6. Per le ragioni indicate il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

7. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

 

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