Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37763 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/12/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 01/12/2021), n.37763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18544/2020 R.G., proposto da:

DITTA INDIVIDUALE Z.L., rappresentato e difeso dagli

avv.ti Diego Novello e Eugenio Demo, con domicilio eletto in Roma,

Via Premuda n. 1/A, presso l’avv. Andrea Petretto.

– ricorrente –

contro

ZA.SA. E z.s., rappresentate e difese dagli avv.ti

Eugenio Targa e Massimo Zuppa, con domicilio in Rovigo, Vicolo

Siviero n. 13/D. Avv. Alberto Tucci (Dom);

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 689/2020,

depositata in data 24.2.20202;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno

15.7.2021 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Z.L. ha adito il tribunale di Venezia, instando per il pagamento del saldo del corrispettivo dei lavori eseguiti presso gli immobili di Za.Sa. e z.s..

Le convenute, ritualmente costituite, hanno eccepito la presenza di vizi delle opere e di aver effettuato l’integrale pagamento del prezzo, chiedendo di respingere la domanda.

In corso di giudizio lo Z. ha disconosciuto la firma apposta in calce ai documenti attestanti il versamento, da parte delle committenti, dell’importo di Euro 15.000,00.

All’esito il tribunale ha respinto la domanda regolando le spese, con pronuncia confermata in appello.

La Corte distrettuale, accertata la stipulazione del contratto e l’esecuzione dei lavori da parte del ricorrente, ha stabilito che, a fronte di un prezzo preventivato di Euro 16.500, le Za. avevano versato Euro 18.5500, reputando generico ed irrituale il disconoscimento delle firme presenti sulle quietanze comprovanti il versamento, in favore dell’appaltatore, dell’acconto di Euro 15.000,00, sull’assunto che lo Z. non avesse indicato “i profili concreti e specifici di falsità” e le ragioni per le quali le sottoscrizioni presenti sulle quietanze differirebbero da quelle apposte sul mandato”.

La pronuncia ha ritenuto inammissibili anche le istanze istruttorie formulate in giudizio e perciò indimostrata sia la sussistenza dei vizi denunciati, sia la spettanza di un compenso maggiore di quanto già percepito dall’appaltatore, pervenendo – per tali ragioni – a confermare integralmente la decisione di primo grado.

Per la cassazione della sentenza Z.L. propone ricorso in un unico motivo.

z.s. e Za.Sa. resistono con controricorso.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente fondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in Camera di consiglio.

1.2. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 214,215 e 216 c.p.c., dell’art. 2179 c.p.c., nonché l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della lite, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-5.

Assume il ricorrente che il disconoscimento della sottoscrizione della quietanza non era assimilabile al disconoscimento della conformità della copia e che, non essendo stata proposta istanza di verificazione delle firme, le quietanze era inutilizzabili, restando preclusa al giudice anche la possibile di accertare l’autenticità della sottoscrizione sulla base degli altri elementi acquisiti al processo.

Il motivo è inammissibile.

E’ decisivo considerare che la Corte di merito ha ritenuto che lo Z. avesse disconosciuto l’autenticità della sottoscrizione apposta sulla quietanza in modo irrituale e non circostanziato, non avendo “indicato profili concreti e specifici di falsità, né le ragioni per le quali le sottoscrizioni dovevano considerarsi difformi dalla firma apposta dal ricorrente sul mandato ad litem”, e che, per tale ragione, ha utilizzato la quietanza quale prova del versamento di Euro 15.000 a titolo di prezzo.

La sentenza ha invero precisato che, agli effetti dell’art. 214 c.p.c., non basta una contestazione generica, ma occorre una deduzione specifica ed argomentata, in mancanza della quale il documento diviene pienamente utilizzabile.

Ora, riguardo alla ritualità della contestazione della firma, il ricorso si limita ad asserire che il disconoscimento era esplicito ed inequivoco (cfr. ricorso, pag. 10 nota 1), e che la documentazione non poteva essere utilizzata se non che all’esito della verificazione, senza in alcun modo confutare le premesse in diritto che hanno indotto il giudice di merito a ritenere necessaria – ai sensi dell’art. 214 c.p.c. – l’indicazione delle ragioni di falsità anche in rapporto alla firma assunta in comparazione, e senza sottoporre a critica, con la dovuta specificità argomentativa, l’apprezzamento della Corte territoriale – sindacabile solo sotto il profilo della correttezza e logicità della motivazione (Cass. n. 1537 del 2018; Cass. n. 12448 del 2012) quanto alla dichiarata genericità ed insufficienza del disconoscimento.

In sostanza, la censura – nei limiti in cui è preposta e per le ragioni esposte – non attinge il giudizio di irritualità della contestazione delle firme sollevata dal ricorrente, irritualità da cui conseguiva la piena utilizzabilità delle quietanze, non configurandosi – in tale situazione – alcun onere delle committenti di proporre istanza di verificazione, dovendo ritenersi la scrittura tacitamente riconosciuta (Cass. n. 3655 del 1987; Cass. n. 3431 del 1998; Cass. n. 2290 del 1996; Cass. n. 12448 del 2002).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio delle spese liquidate in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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