Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3775 del 15/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3775 Anno 2018
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: MOCCI MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 25335-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. 06363391001), in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
MIROMA SRL;
– intimataavverso la sentenza n. 790/7/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il
30/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 09/01/2018 dal Consigliere Relatore Dott.
MAURO MOCCI.

Data pubblicazione: 15/02/2018

Rilevato:
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla
relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere
con motivazione semplificata;
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei

della Puglia che aveva accolto solo parzialmente il suo appello
contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di
Bari. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione della Miroma
s.r.l. contro la richiesta di disapplicazione della disciplina
antielusiva in tema di tributi, per l’anno 2011;
Considerato:
che il ricorso è affidato a tre motivi;
che, col primo rilievo, si denuncia nullità della sentenza e del
procedimento ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c.: la CTR avrebbe erroneamente ritenuto
impugnabile il diniego circa la disapplicazione di norme
antielusive;
che, con la successiva doglianza, ai sensi dell’art. 360 n. 4
c.p.c., si invoca violazione e falsa applicazione dell’art. 100
c.p.c., giacché nella specie sarebbe mancato del tutto
l’interesse della controparte ad ottenere la richiesta
declaratoria di nullità, non comportando affatto la relativa
declaratoria l’autorizzazione preventiva a disapplicare le
disposizioni dettate in tema di società non operative;
che, attraverso l’ultima censura, l’Agenzia deduce nullità della
sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 comma
2° D.Lgs. n. 546/1992 e 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art.
360 n. 4 c.p.c.: la sentenza avrebbe omesso di dare conto
delle ragioni di fatto e di diritto che avevano determinato il
rigetto dell’appello;
Ric. 2016 n. 25335 sez. MT – ud. 09-01-2018
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confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale

che l’intimata non ha resistito;
che il primo motivo è infondato;
che questo Collegio intende dare continuità all’orientamento
già espresso dalla Suprema Corte in una fattispecie analoga,
secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione

dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la
facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi
l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben
individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali
e giuridiche, sicché è possibile un’interpretazione estensiva
delle disposizioni, in materia in ossequio alle norme
costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e
di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in
considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria
operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Sez. 6-5, n.
13963 del 05/06/2017; conf. Sez. 5 n. 11929 del
28/05/2014);
che il contribuente ha dunque la facoltà di impugnare
il diniego del Direttore Regionale delle Entrate
di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma
8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso
non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del
d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui
l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur
senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento
in ordine ad un determinato rapporto tributario;
che anche il secondo motivo non è fondato, posto che il
diniego, provenendo dall’ente impositore, ha portato,
comunque, a conoscenza del contribuente una specifica
pretesa tributaria (quella appunto risultante dal diniego
Ric. 2016 n. 25335 sez. MT – ud. 09-01-2018
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degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31

dell’invocata disapplicazione delle norme antielusive), con
esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, senza
la necessità di una forma autoritativa (Sez. 5 n. 3315 del
19/02/2016; Sez. 5, n. 25297 del 28/11/2014), radicando così
il suo interesse, concreto ed attuale, ad agire;

parlare di nullità della sentenza, a fronte della pur succinta
giustificazione fornita dalla CTR “in base alla documentazione
esibita dalla società a sostegno dell’interpello” ed al fatto che,
in ogni caso, l’Agenzia non ha provato di aver sollevato in
appello la questione inerente il valore concludente della licenza
di esercizio rilasciata in data 25/07/2011, sicché, in ossequio
ad un principio di simmetria alla luce del raffronto tra la
formulazione dell’atto di gravame e la motivazione del
provvedimento impugnato, solo ad argomentazioni specifiche e
dettagliate del primo devono corrispondere puntuali
argomentazioni, idonee a confutarle, da parte del giudice di
appello (Sez. 2, n. 4695 del 23/02/2017);
che al rigetto del ricorso non segue la condanna della
ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della
controricorrente, stante la mancanza di attività difensiva da
parte di quest’ultima.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2018
Il Presid nte

che neppure il terzo motivo è fondato, giacché non si può

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