Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37735 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. II, 01/12/2021, (ud. 15/09/2019, dep. 01/12/2021), n.37735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19592-2017 proposto da:

P.M., B.R., elettivamente domiciliate in Nicosia

(EN) v.lo del Mercato n. 8, presso lo studio dell’avv.to ANTONINO

FARINELLA che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

DIVI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, V. EMILIA 88, presso lo

studio dell’avvocato ROSAMARIA LO GRASSO, rappresentata e difesa

dagli avvocati DOMENICO NASELLI e GIUSEPPE MATARAZZO;

– controricorrenti –

nonché contro

V.F., CONSORZIO EDIL TEC;

– intimati –

avverso la sentenza n. 15/2017 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 30/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2021 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I coniugi B.R. e P.M. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Nicosia la società Di.Vi.. Gli attori esponevano che, in data 2 dicembre 1998, avevano stipulato con la società convenuta un contratto preliminare avente ad oggetto l’acquisto di un appartamento facente parte di un fabbricato in corso di costruzione, sito in (OMISSIS) nella contrada Sant’Antonino. Il corrispettivo pattuito era di Lire 140.000.000 e avrebbe dovuto essere versato in 6 rate correlate alla graduale realizzazione dell’opera. La stipula dell’atto definitivo di compravendita avrebbe dovuto avere luogo entro il 31 dicembre 2000. A tale data gli attori avevano versato acconti per complessive Lire 60.000.000 e, successivamente, nel corso dell’anno 2001 avevano preso possesso dell’alloggio. La promittente venditrice si era resa inadempiente all’obbligazione assunta in contratto di consegnare l’immobile completo e rifinito a regola d’arte. Infatti, all’interno dell’alloggio e sulle parti comuni dell’edificio, erano stati riscontrati numerosi vizi e difetti costruttivi che lo avevano reso inadatto all’uso convenuto. Gli attori chiedevano, pertanto, fosse dichiarata la risoluzione del negozio per inadempimento della parte convenuta, con condanna al risarcimento dei danni subiti, con rivalutazione monetaria e interessi.

2. Si costituiva la società Di.Vi. che, in via riconvenzionale, chiedeva la risoluzione del contratto per grave inadempimento degli attori che, malgrado i ripetuti inviti, si erano sottratti all’obbligo di contrarre il rogito definitivo e di versare il saldo dovuto con accollo del mutuo contratto dalla società Di.Vi..

La convenuta chiedeva, pertanto, anche il rilascio dell’alloggio e la condanna degli attori al pagamento dell’equivalente pecuniario derivante dall’uso dal godimento del bene a far data dalla consegna dell’immobile fino all’effettivo rilascio. Venivano chiamati in garanzia anche il direttore dei lavori e la società costruttrice, i quali contestavano le domande proposte, rilevando come ad essi non fosse ascrivibile alcuna responsabilità per i vizi costruttivi lamentati.

3. Il Tribunale di Nicosia, all’esito dell’istruttoria, accoglieva la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento degli attori e condannava questi ultimi al rilascio dell’immobile in favore della convenuta; disponeva, inoltre, il pagamento alla società Di.Vi. della somma di Euro 250 mensili a decorrere dal mese di novembre 2001, fino all’effettivo rilascio dell’alloggio.

4. Gli attori proponevano appello avverso la suddetta sentenza, lamentando l’incompletezza dell’elaborato peritale redatto dal consulente tecnico d’ufficio e chiedendone l’integrazione e la rinnovazione in uno con la riforma dell’impugnato provvedimento.

5. La Corte d’Appello di Caltanissetta, disposta la rinnovazione della consulenza tecnica, confermava integralmente la sentenza di primo grado, rigettando l’impugnazione.

Il consulente tecnico, infatti, all’esito dell’indagine fondata su un preciso esame dello stato dei luoghi e su considerazioni tecniche immuni da errori logici e scientifici aveva accertato che a fronte del corrispettivo di acquisto di Euro 72.303,97 pattuito nel preliminare, il costo necessario per rimuovere le criticità riscontrate all’interno dell’appartamento messo in vendita era pari a complessivi Euro 6582 mentre per quelle relative agli impianti dell’intero palazzo e per le opere esterne il calcolo doveva effettuarsi pro quota. Infatti, il contratto preliminare aveva ad oggetto una sola unità abitativa unitamente alle parti comuni del fabbricato condominiale, pertanto, valutando comparativamente la condotta delle parti contrattuali doveva confermarsi la statuizione del giudice di primo grado che aveva addebitato la responsabilità dell’inadempimento all’appellante, tenuto conto dell’entità della somma non corrisposta rispetto a quella pattuita per l’immobile promesso in vendita, dell’interesse della società promittente venditrice notevolmente sacrificato dal mancato pagamento della somma e, infine, del calcolo di superficie condominiale pro quota in relazione agli esborsi occorrenti per l’eliminazione dei vizi costruttivi. Gli esborsi necessari per dare efficienza prestazionale all’appartamento non superavano Euro 10.000, con la conseguenza che l’inadempimento imputabile alla società appellata non aveva determinato uno squilibrio del sinallagma contrattuale tale da giustificare una pronuncia di risoluzione del preliminare per colpa della promittente venditrice. In tal senso, veniva citata giurisprudenza di legittimità. La Corte d’Appello rigettava anche il motivo di gravame relativo al capo di sentenza con il quale gli appellanti erano stati condannati a corrispondere alla società Di.Vi. la somma di Euro 250 al mese a decorrere dal novembre 2001 fino all’effettivo rilascio dell’appartamento. La somma di Euro 250 era inferiore al canone di mercato richiesto per la locazione di un appartamento di nuova costruzione della tipologia di quelli oggetto del preliminare e rispetto alla richiesta di Euro 500 al mese formulata in riconvenzionale dai convenuti non vi era stata neanche una formale contestazione.

5. B.R. e P.M. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

6. La società Di.Vi. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione in relazione agli artt. 1453 e 1455 c.c..

A parere dei ricorrenti sarebbe erroneo il giudizio di comparazione circa il comportamento delle parti per stabilire quale di esse con riferimento ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiori. In caso di inadempimento reciproco, la gravità dell’adempimento di una delle parti non andrebbe commisurata all’entità del danno ma alla rilevanza della violazione in relazione all’interesse che la parte intendeva perseguire, tenuto conto anche della funzione economico sociale del contratto. Ripercorsi gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità, la Corte di merito si sarebbe discostata dall’interpretazione dell’art. 1455 c.c., data dalla Corte di Cassazione, essendosi limitata soltanto ad una formale ed asettica valutazione del quantum degli inadempimenti.

1.2 Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente cita numerose pronunce di questa Corte ma ne trae conclusioni che, riferite al caso concreto, non possono essere condivise. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, con la conseguenza che, qualora l’inadempimento di una delle parti sia valutato come prevalente deve considerarsi legittimo il rifiuto dell’altra di adempiere alla propria obbligazione e alla risoluzione del contratto deve seguire l’esame dell’eventuale richiesta di risarcimento del danno della parte non inadempiente” (Sez. 2, Ord. n. 13827 del 2019).

Dunque, in caso di denuncia di inadempienze reciproche è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sez. 2, Sent. n. 13627 del 2017).

La Corte d’Appello, condividendo il giudizio del giudice di primo grado, ha ritenuto prevalente l’inadempimento dei ricorrenti e il percorso argomentativo si rivela congruo e privo di vizi logici, per cui, in applicazione del citato principio di diritto, esso non è sindacabile in questa sede. D’altra parte, la censura secondo la quale per valutare i reciproci inadempimenti non si può fare riferimento ad un criterio meramente quantitativo mostra di non comprendere la motivazione della sentenza impugnata. La Corte d’Appello, infatti, ha effettuato una valutazione complessiva del rapporto contrattuale, dell’interesse delle parti e del loro comportamento in riferimento al sinallagma contrattuale.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Il giudice di merito avrebbe tralasciato di considerare la mancata offerta di eliminazione dei vizi in relazione alla valutazione del comportamento di entrambe le parti. Inoltre, anche le testimonianze valorizzate dalla Corte di Appello sarebbero smentite dalla documentazione in atti.

I ricorrenti, infatti, si erano presentati alla stipula del definitivo presso lo studio del notaio R. con una relazione descrittiva dello stato dei luoghi con ricognizione fotografica dell’immobile controverso a firma dell’ingegner G.M. corredata da 27 fotografie con dichiarazione degli stessi alla luce della precisata relazione descrittiva, di ritener inesatta la prestazione offerta dalla Di.Vi. e pertanto non accettabile allo stato di fatto, con verbale di contestazione ad opera di ufficiale giudiziario. In tale occasione il legale della società non aveva fatto osservazioni. Non vi era dunque stata alcuna offerta di riparazione o di ripristino dei luoghi. Peraltro, i ricorrenti avevano anche offerto di adempiere a fronte dell’esatta adempimento della Di.Vi. a dimostrazione della propria buona fede.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

In primo luogo, deve osservarsi che la Corte d’Appello, sulla scorta delle dichiarazioni dei testi sentiti ha affermato che la società Di.Vi. aveva dichiarato la propria disponibilità alla rimozione dei vizi. A fronte di tale accertamento non assume alcuna rilevanza il documento indicato nel ricorso nel quale si dà atto della mancanza di osservazioni dei legali rappresentanti della promittente venditrice in occasione del rifiuto alla stipula del definitivo dei coniugi B.. Questi ultimi, infatti, si erano presentati davanti al notaio con il proprio legale, esibendo una relazione descrittiva dell’immobile a firma dell’ing. G.M. in base alla quale avevano affermato di ritenere non accettabile la prestazione offerta dalla società Di.Vi.. Il fatto che in occasione del rifiuto da parte dei ricorrenti di stipulare il contratto definitivo i legali della società Di.Vi. non abbiano fatto osservazioni nel verbale di contestazione redatto dall’Ufficiale giudiziario è circostanza del tutto irrilevante, in quanto non idonea in alcun modo ad inficiare le dichiarazioni dei testi sentiti nel corso dell’istruttoria circa l’offerta di rimozione dei vizi da parte della controricorrente. Pertanto, non vi è stato alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e i ricorrenti, con la censura in esame, tendono ad ottenere un’inammissibile nuova e diversa valutazione degli elementi istruttori.

L’ulteriore censura di omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dall’offerta ad adempiere contenuta nella missiva del 23 agosto del 2003 è inammissibile. In primo luogo, si tratta di questione nuova rispetto alla quale i ricorrenti non indicano in quale atto del giudizio di appello l’hanno sollevata. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

Inoltre, gli stessi ricorrenti riportano il contenuto della presunta offerta evidenziando che la stessa era subordinata all’esatto adempimento della società Di.Vi., il che rende la stessa palesemente irrilevante visto che la Corte d’Appello, nella valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti, ha ritenuto illegittimo il rifiuto di stipulare il contratto definitivo in relazione ai vizi eccepiti.

3. Il ricorso è rigettato.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4.500 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 15 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

 

 

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