Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3772 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. I, 14/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 14/02/2020), n.3772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Luca – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25698/2018 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in Roma piazza Cavour presso

la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv.to Giovanni Tarantini con studio in Panicale via Col

Giordano Vecchio 26, giusta procura speciale in calce al ricorso,

ammesso in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello

Stato;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura

Generale Dello Stato. che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 345/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 16/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/11/2019 dal Cons. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. I.S., proveniente dal Bangladesh, ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Perugia che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Firenze (sezione Perugia) di diniego della domanda di protezione internazionale, declinata in via gradata nelle fattispecie di “stato di rifugiato”, “protezione sussidiaria” e “protezione umanitaria”.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal paese di origine poichè temeva di essere vittima di ritorsioni e violenza da parte dei familiari della fidanzata che ostacolavano la loro relazione in quanto appartenevano a diverse fedi religiose.

2. Il Ministero intimato ha resistito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo, il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.1. Lamenta che la Corte territoriale aveva apoditticamente ritenuto non credibili le sue dichiarazioni omettendo di applicare lo specifico dovere di cooperazione istruttoria previsto in materia di protezione internazionale: assume, al riguardo, che il rischio di ritrovarsi vittima di ritorsioni e violenze da parte dei familiari della fidanzata trovavano riscontro nelle fonti informative disponibili sul paese di provenienza.

1.2. Il motivo è inammissibile.

La censura, infatti, contraddice in modo del tutto generico la valutazione di non credibilità formulata dalla Corte territoriale che, oltretutto, viene posta dai giudici d’appello su un piano subordinato rispetto al difetto di allegazione dei motivi di persecuzione, in ragione del fatto che la vicenda narrata, di natura sentimentale, doveva essere inquadrata nell’ambito dei rapporti familiari (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata): in tal modo, il ricorrente chiede una rivalutazione di merito delle sue dichiarazioni e della qualificazione dei fatti dedotti, non consentita in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7,8 e 14 e la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c..

2.1. Assume, al riguardo, che la Corte aveva erroneamente escluso che ricorressero i presupposti per la protezione sussidiaria declinata nelle tre ipotesi previste dalla norma invocata, senza tener conto delle minacce e violenze da lui subite e della situazione territoriale destabilizzata nella quale era possibile riconoscere una situazione di conflitto armato interno.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Premesso che nella prima parte della censura, sovrapponibile a quella precedente, il ricorrente insiste nel richiedere in modo generico una non consentita rivalutazione di merito della propria vicenda personale, nella seconda deduce l’omessa pronuncia sulla protezione sussidiaria: la critica, tuttavia, non coglie la ratio decidendi della sentenza, visto che i giudici d’appello, proprio soffermandosi sulla specifica fattispecie

in relazione alle varie ipotesi previste, hanno reso una motivazione congrua, logica ed al di sopra del minimo costituzionale (cfr. pag. 2 e 3 della sentenza).

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 5, comma 6 ed D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11.

3.1. Lamenta che era stata escluso il riconoscimento del suo diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla scorta della “natura privata della vicenda” ma senza tener conto della comparazione fra paese di provenienza e paese di accoglienza e della sua integrazione, anche lavorativa, di cui la Corte non aveva fatto menzione.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha affermato che “la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.” (cfr. Cass. 9304/2019). Nell’ambito di tale valutazione comparativa, pertanto, è necessario che il ricorrente alleghi circostanze dalle quali possa desumersi che, in relazione alla sua condizione personale, sussista un rischio specifico per il quale il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale.

3.3. Nel caso in esame, nulla di tutto questo risulta allegato visto che, al di là della propria vicenda sentimentale, manca la prospettazione di una situazione soggettiva rispetto alla quale, nel paese di origine, egli sarebbe sottoposto ad una riduzione dei diritti fondamentali riconducibile alle esigenze umanitarie che la norma invocata si propone di tutelare.

3.4. La censura, pertanto, prospetta in modo del tutto generico, una richiesta di rivalutazione di merito della vicenda, non consentita in questa sede anche in relazione a tale fattispecie (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018).

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

5. Deve, altresì, dichiararsi l’inesistenza del controricorso.

Si osserva, infatti, che l’atto difensivo del Ministero degli Interni risulta mancante degli elementi necessari minimi perchè sia riconoscibile come appartenente alla categoria descritta dall’art. 370 c.p.c. che, richiamando gli artt. 365 e 366 c.p.c., postula la speculare specificità della posizione difensiva del controricorrente.

5.1. Nel caso in esame, l’atto, oltre a non contenere alcun richiamo alla vicenda esaminata, riconduce le critiche del ricorrente al provvedimento del “Tribunale a quo” (cfr. pag. 1 del controricorso, penultimo rigo), dimenticando che la sentenza impugnata è stata emanata dalla Corte d’Appello, e lamenta genericamente che la controparte svolgeva valutazione “sui profili fattuali della vicenda” prospettando una posizione priva di specifica attinenza con il caso concreto.

6. Da ciò deriva che questo Collegio è esentato dalla decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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