Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37714 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. II, 01/12/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 01/12/2021), n.37714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15482/2016 R.G. proposto da

COMUNE DI CASTELROTTO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e

difeso dall’avv. Alfred Mulser, con domicilio eletto in Roma, Via

degli Scipioni n. 228, presso l’avv. Benedetto Giovanni Carbone;

– ricorrente –

contro

SCHWEIGKOFLER S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Peter Platter, Alexandre Bauer,

e Luigi Manzi, con domicilio eletto in Roma, Via Confalonieri n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento, sezione

distaccata di Bolzano, n. 50/2017, depositata in data 7.4.2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

17.6.2021, dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. Ceroni Francesca, che ha

chiesto di respingere il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza n. 1/2011, il Comune di Castelrotto ha ingiunto alla Schweigkofler s.r.l. il pagamento di Euro 171.706,50, contestandole la violazione della L.P. n. 13 del 1997, art. 50, tabella b), lett. a), per aver concesso in locazione taluni immobili realizzati su un suolo oggetto di assegnazione formale ai sensi degli artt. 46 L.P..

Il provvedimento è stato impugnato dinanzi al Tar, che ha declinato la propria giurisdizione relativamente all’opposizione all’ordinanza ingiunzione, rimettendo le parti dinanzi al giudice ordinario.

Riassunta ritualmente la causa, all’esito il tribunale ha annullato il provvedimento, con pronuncia confermata in appello.

La Corte di Bolzano, dopo aver ritenuto che il tribunale avesse erroneamente applicato il rito del lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 essendo il giudizio, già pendente al momento dell’entrata in vigore del decreto sulla semplificazione dei riti civili, regolato dalle disposizioni processuali previgenti, ha considerato tempestivo l’appello – sebbene proposto con ricorso anziché con citazione – in forza dell’ultrattività del rito seguito in primo grado.

La pronuncia ha inoltre respinto l’eccezione di estinzione del processo, osservando che la causa non rientrava tra quelle soggette alla sospensione feriale dei termini, per cui il ricorso in riassunzione, depositato in data 28.9.2012, era tempestivo.

Neppure era fondata – secondo la Corte distrettuale – l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione in quanto introdotta dinanzi al giudice amministrativo con ricorso depositato oltre il termine di legge, venendo in rilievo le sole formalità di proposizione del ricorso amministrativo e quindi la data della notifica (eseguita tempestivamente) e non quella di deposito dell’atto introduttivo.

Nel merito la pronuncia ha ritenuto illegittima la sanzione, rilevando che la società opponente era mera assegnataria formale dei suoli ai sensi della L.P. n. 13 del 1997, art. 46 e che la disciplina vigente all’epoca dell’assegnazione non imponeva un divieto assoluto di costituire diritti a favore dei terzi, ponendo inoltre in rilievo che l’art. 5 della convenzione urbanistica, derogando all’art. 47 bis L.P., prescriveva esclusivamente l’obbligo di non modificare la destinazione degli immobili.

La cassazione della sentenza è chiesta dal Comune di Castelrotto con ricorso in tre motivi.

Schweigkofler s.r.l. resiste con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale, il Comune ricorrente ha depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione della L. n. 69 del 2009, art. 59, art. 39 c.p.c., comma 3, L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che l’opposizione all’ordinanza ingiunzione era tardiva, poiché il giudizio amministrativo era stato introdotto con ricorso depositato oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento sanzionatorio in violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23.

La sola notifica tempestiva dell’atto introduttivo sarebbe inidonea a cagionare la salvezza degli effetti processuali della domanda, poiché la formulazione della L. n. 69 del 2009, art. 59 secondo cui, in caso di riassunzione, sono fatti salvi gli effetti che la domanda avrebbe prodotto se il giudice munito di giurisdizione fosse stato adito sin dall’instaurazione del primo giudizio, richiederebbe – secondo il Comune – la proposizione della domanda secondo il rito applicabile dinanzi al giudice munito di giurisdizione, anche in modo da evitare che la parte possa aggirare eventuali termini perentori posti a pena di decadenza.

Il motivo è infondato.

La L. n. 69 del 2009, art. 59 prevede, per quanto qui interessa, che il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria (o i giudici speciali), dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione (…). Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. La domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile (art. 59 cit., comma 2).

Poiché la causa di opposizione ad ordinanza ingiunzione è transitata al giudice ordinario a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo quo, viene altresì in rilievo il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 11 (codice del processo amministrativo), che, con formula che solo in parte ricalca il contenuto dell’art. 59, dispone che quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato.

1.1. Secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte, l’art. 59 è previsione di carattere generale che riguarda ogni ipotesi di circolazione del giudizio dal giudice ordinario a quelli speciali, e viceversa.

L’art. 11 è invece norma speciale che disciplina esclusivamente la translatio iudicii tra giudice amministrativo (dichiaratosi privo di giurisdizione) e le altre giurisdizioni.

Da ciò la conseguenza che, “secondo il canone di specialità, nei rapporti tra il giudice amministrativo e quelli ordinario e speciali, l’applicazione della L. n. 69 del 2009, art. 59 interviene soltanto in via sussidiaria, al cospetto di lacune della regolamentazione fornita dall’art. 11 codice del processo amministrativo” (Cass. S.U. 27163/2018).

1.2. Quanto alle modalità con cui si realizzano gli effetti della translatio iudicii, mentre l’art. 11 contempla esclusivamente la riproposizione del giudizio, la quale, già sul piano lessicale, implica una nuova instaurazione del processo dinanzi al giudice ad quem, l’art. 59 evoca invece sia la riassunzione (nei commi 3 e 4), che è atto d’impulso endo-processuale volto alla riattivazione di un processo pendente, sia la riproposizione della domanda (nei commi 2 e 5), sia la prosecuzione del giudizio (nel comma 4).

La diversità si spiega per il fatto la circolazione della domanda tra plessi giurisdizionali diversi non può che imporre i necessari adattamenti alle specificità delle singole giurisdizioni.

Questa Corte ha in proposito rilevato che “l’atto che determina la prosecuzione del giudizio va diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima.

Ove si passi da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio ad un giudizio esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l’atto di prosecuzione deve avere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del “petitum”. Qualora, invece, il giudizio prosegua verso un processo che abbia le medesime caratteristiche, l’atto di prosecuzione assume la forma della riassunzione ed è regolato dall’art. 125-bis disp. att. c.p.c. (Cass. s.u. 9130/2011; Cass. 25837/2016; Cass. s.u. 15223/2016; Cass. 8008/2021).

Inoltre, “se il giudizio va riattivato in una situazione in cui non vi sia una pronuncia declinatoria di giurisdizione passata in giudicato, appropriato è lo strumento endo-processuale della riassunzione, qualora non occorra adattare la domanda “con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile”; se, invece, il giudizio originario si sia concluso col passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione, inevitabile è la nuova proposizione della domanda, come previsto anche dall’art. 59, comma 2, cit. (Cons. Stato 353/2018 e 4205/2017, entrambe richiamate da Cass. S.U. 27163/2018).

In sintesi, l’art. 11 individua un percorso obbligato che vincola la conservazione degli effetti della domanda alla sua riproposizione dinanzi al giudice munito di giurisdizione, formalità che si rende necessaria in ogni ipotesi in cui l’azione deve subire un necessario adattamento, come ove si passi da un giudizio impugnatorio (quale quello dinanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità) ad un giudizio che ammetta una cognizione piena sul rapporto e non solo sull’atto (come è tipico dell’opposizione in tema di sanzioni: Cass. 12503/2018; Cass. 17799/2014; Cass. s.u. 1786/2010) e viceversa. In tal caso, la translatio iudicii è regolata anzitutto dall’art. 11 c.p.a. anche sul punto in discussione, esplicitamente disciplinato dalla norma (cfr. art. 11, comma 2) con formulazione (apparentemente) difforme da quella della L. n. 69 del 2009, art. 59 il quale ha una portata meramente sussidiaria.

1.3. Alla luce del tenore letterale del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 11, comma 2, e dell’analoga previsione della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 2, l’errore sulla giurisdizione non consente l’elusione dei termini temporali posti, a pena di decadenza, a tutela delle posizioni giuridicamente protette dinanzi al giudice dotato di giurisdizione.

Poiché il giudizio di opposizione ex L. n. 689 del 1981 dinanzi al giudice ordinario doveva essere introdotto nel termine di trenta giorni dalla notifica dell’ordinanza a pena di inammissibilità, anche il ricorso al g.a., erroneamente adito, doveva esser – quindi – proposto nel medesimo termine, per far sì che il provvedimento non divenisse definitivo e non fossero pregiudicati gli effetti della translatio iudicii. Ciò non vuol dire – però – che la società resistente fosse anche tenuta a depositare l’atto introduttivo nel termine di legge a pena di inammissibilità, osservando le modalità e le regole dell’opposizione dinanzi al giudice munito di giurisdizione.

E’ indubbio che l’art. 11 cit. – al pari della L. n. 69 del 2009, art. 59 – faccia salvi gli effetti dell’azione proposta al giudice erroneamente adito, ossia consenta di recuperare quegli effetti che si ricollegano e risalgono alla proposizione della domanda originaria (Cass. s.u. 27997/2013).

Ad esser fatti salvi sono – in altri termini – gli effetti processuali che la prima domanda è idonea a produrre in virtù della sua stessa proposizione, i quali sarebbero vanificati dall’assenza di un meccanismo di riattivazione o prosecuzione del processo dinanzi al giudice munito di potestas iudicandi.

D’altronde, la stessa Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità della L. n. 1034 del 1971, art. 30 aveva posto al legislatore il compito di dare “attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato – a seguito di declinatoria di giurisdizione – davanti al giudice che ne è munito (cfr. Corte Cost. 77/2007, par. 7).

Nulla di diverso prescrive – in effetti – la L. n. 69 del 2009, art. 59 nel punto in cui fa salvi gli effetti che la domanda avrebbe prodotto se il giudice munito di giurisdizione fosse stato adito sin dall’inizio: la norma è volta ad individuare gli effetti preservati dalla translatio iudicii, che sono quelli che la domanda avrebbe determinato ove correttamente proposta ma che, in presenza di un errore nell’individuazione del giudice, sono attribuiti (e fatti risalire) all’azione effettivamente spiegata.

Da tale prospettiva, come precisato anche dalla giurisprudenza amministrativa, l’inciso “ferme in materia le preclusioni e le decadenze intervenute”, contenuto nell’art. 59, comma 2 – ma recepito anche nell’art. 11 c.p.a. – va inteso nel senso che, ai fini del rispetto del termine per ricorrere, la domanda introdotta erroneamente si finge proposta davanti al giudice munito di giurisdizione, ma, affinché si abbia tale effetto utile, è necessario che sin dall’inizio – dinanzi al giudice a quo – siano stati rispettati eventuali termini perentori che sarebbe stato necessario osservare per l’esercizio dell’azione nella sede propria (Consiglio di Stato n. 940/2012; Consiglio di Stato n. 3031/2016).

Deve ritenersi allora che, poiché dinanzi al giudice erroneamente adito, la domanda si intendeva ritualmente proposta con la notifica del ricorso amministrativo, è a tale adempimento e alla sua tempestività che occorreva far riferimento per accertare l’eventuale decadenza dal potere di proporre l’opposizione ex L. n. 689 del 1981.

Il solo deposito del ricorso amministrativo era inidoneo a produrre effetti processuali dinanzi al giudice a quo suscettibili di esser preservati ai sensi dell’art. 11 c.p.a., una volta riproposta la domanda.

Alle medesime conclusioni deve giungersi – peraltro – anche a ritenere, come sostenuto da parte della dottrina, che, ove sia prevista la riproposizione dell’azione, non sarebbero fatti salvi gli effetti della prima domanda, ma sarebbe introdotta la retroattività di quella proposta ex novo dinanzi al giudice munito di giurisdizione, situazione nella quale detta retroattività non potrebbe logicamente operare che dal momento della pendenza del primo giudizio, individuata in base alla corrispondente disciplina processuale.

Non si profila – infine – il rischio che la parte possa profittare dell’errore sulla giurisdizione per aggirare eventuali decadenze, essendo comunque tenuta ad impugnare il provvedimento, osservando – con le descritte formalità – il termine di opposizione ex L. n. 689 del 1981.

1.4 In conclusione, la salvezza degli effetti processuali della domanda è collegata alla pendenza del giudizio a quo secondo il rito ad esso applicabile, non essendo imposti adempimenti mutuati dalla disciplina operante per il processo destinato a svolgersi dinanzi all’ufficio munito di giurisdizione.

In tal senso, proprio nei casi in cui la translatio si attua mediante la riproposizione della domanda, l’art. 59, comma 2 (norma applicabile in parte qua al caso in esame, in mancanza di una diversa disposizione del codice amministrativo), si limita a prevedere che essa segue le modalità e le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile, senza affatto imporre che le medesime formalità debbano essere osservate anche per l’introduzione del giudizio a quo.

In sostanza, la disciplina dà rilievo solo all’errore sulla giurisdizione e non all’errore sul rito (eventualmente applicabile al giudizio riproposto), predisponendo meccanismi volti ad evitare che esso si traduca “in un pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda (cfr. Corte Cost. 787/2007).

Quindi, l’avvenuta notifica del ricorso amministrativo nel termine fissato dalla L. n. 689 del 1981, art. 22 applicabile ratione temporis, ha impedito che la società decadesse dalla facoltà di proporre l’opposizione e la successiva riproposizione del processo dinanzi al g.o. entro tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia declinatoria della giurisdizione ha fatto salvi gli effetti della domanda proposta dinanzi al g.a..

2. Il secondo motivo denuncia la violazione della L.P. n. 13 del 1997, artt. 46, 48 e R.D. n. 262 del 1942, art. 12 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito omesso di considerare che l’art. 46 cit. prevede esclusivamente una deroga al principio secondo cui le assegnazioni formali non richiedono la previa adozione di un piano attuativo, senza esonerare gli assegnatari dall’obbligo di non costituire diritti sugli immobili a vantaggio dei terzi, come prescritto dall’art. 47 bis L.P..

Il terzo motivo denuncia la violazione della L.P. n. 13 del 2007, art. 47 bis ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che anche le assegnazioni formali sono regolate dall’art. 47 bis L.P., norma imperativa che impone sia il divieto di mutare la destinazione degli immobili, che di costituire diritti di godimento in favore dei terzi.

La stessa convezione sottoscritta dalle parti doveva conformarsi ad uno schema-tipo che non prevedeva alcuna deroga e comunque l’assegnatario poteva ritenersi sollevato solo dall’obbligo di pubblicizzare nelle forme di legge i divieti imposti dalla disciplina provinciale, che, per il resto, erano pienamente vigenti.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno respinti per le ragioni che seguono.

Anzitutto, l’insussistenza del divieto di costituire diritti a favore dei terzi in caso di assegnazione formale ai sensi dell’art. 46 L.P. e dell’obbligo di procedere alla relativa intavolazione, risulta già affermata dal Tar Bolzano con sentenza n. 3/2015, emessa tra le parti del presente giudizio, passata in giudicato.

Il ricorso al giudice amministrativo era rivolto anche all’accertamento, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, “della circostanza che l’accordo concluso tra la società ricorrente e l’amministrazione comunale (art. 5 della Convenzione Rep. n. 368 Atti del Segretario comunale del 1.8.2005) non autorizzava, né legittimava il Comune di Castelrotto a domandare anche l’annotazione tavolare del vincolo del divieto di cessione di diritti reali” (cfr. Tar Trentino Alto Adige, sez.Bolzano, n. 3/2015, pag. 3).

Va – ad ogni modo – considerato che la società resistente era destinataria, come si è detto, non di un’assegnazione in proprietà, ma di un’assegnazione formale ai sensi della L.P. n. 13 del 1997, art. 46, comma 2, essendo già proprietaria delle aree interessate.

Per tali ipotesi la L.P. n. 13 del 1997, art. 46, comma 2, prevedeva, nel testo all’epoca vigente, che, in attesa del piano di attuazione, potessero essere rilasciate concessioni edilizie per aree destinate all’ampliamento o alla ristrutturazione di aziende esistenti o alla costruzione di aziende.

Presupposti per il rilascio della concessione edilizia erano l’assegnazione dell’area da parte dell’ente competente e l’istanza tavolare di annotazione del vincolo di destinazione d’uso per insediamenti produttivi ai sensi dell’art. 47/bis L.P..

Come ha osservato il giudice amministrativo, già sul piano strettamente letterale la norma, diretta specificamente a regolare le sole assegnazioni formali, imponeva esclusivamente l’annotazione del vincolo di destinazione d’uso per insediamenti produttivi, senza imporre ulteriori prescrizioni.

Il divieto di cessione dei diritti sulla aree non poteva considerarsi assoluto neppure in base a disposto dell’art. 47 bis L.P.: la norma prevedeva che la delibera di assegnazione costituisse titolo per l’intavolazione del diritto di proprietà o di superficie e che, in base alla delibera, fossero annotati nel libro fondiario, a carico dell’area assegnata, il vincolo di destinazione d’uso per insediamenti produttivi e il vincolo di divieto di cessione di diritti reali sull’area, salvo le eccezioni o autorizzazioni da parte dell’ente assegnante.

In definitiva, come ha precisato la sentenza, la deroga al divieto di cessione era – nel caso in esame – del tutto legittima perché direttamente consentita dall’art. 47 bis L.P. (facendo salve le eccezioni e le autorizzazione dell’ente assegnate), ed espressamente contemplata dall’art. 5 della convenzione in atti, quale clausola derogatoria che prevedeva l’annotazione del solo vincolo di destinazione d’uso per insediamenti produttivi, con espressa esclusione dell’annotazione del divieto di cessione di diritti reali di cui all’art. 47 bis.

Per quanto detto, la Corte territoriale ha correttamente annullato la sanzione, non potendo imputarsi alla Schweigkofler s.r.l. la violazione dei vincoli imposti dalla convenzione urbanistica e dalla disciplina sull’assegnazione formale dei suoli.

Il ricorso è – in conclusione – respinto, con aggravio delle spese processuali liquidate in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi, ed Euro 5500,00 per compensi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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